Il 16 giugno sono stati pubblicati dall’Istat i dati relativi alla povertà in Italia nel 2020. Si tratta della versione definitiva delle statistiche relative alla povertà assoluta nel 2020, anticipate da Istat già nello scorso mese di marzo. Il dato di quest’anno può aiutare a capire quale sia stato l’impatto della crisi sulle famiglie più deboli e quanto siano state efficaci le misure introdotte dal governo per ridurne l’intensità. Il dato sulla povertà assoluta è in crescita rispetto al 2019, con un’incidenza sulle famiglie che è salita al 7,7 per cento, con oltre 300 mila nuovi nuclei sotto la soglia di povertà (da 1 milione e 674 mila a 2 milioni e 7 mila). Gli individui in povertà assoluta sono 5,6 milioni (9,4 per cento, contro il 7,7 del 2019). Il valore dell’intensità della povertà assoluta – che misura in termini percentuali quanto la spesa mensile delle famiglie povere è in media al di sotto della linea di povertà (cioè “quanto poveri sono i poveri”) – registra una riduzione dal 20,3 per cento del 2019 al 18,7 per cento nel 2020. Questo risultato è frutto anche delle misure emergenziali messe in atto dal governo, che hanno permesso sia a chi è scivolato sotto la soglia di povertà sia a chi si trovava già al di sotto di mantenere un livello di consumo vicino alla soglia. È infine in calo la povertà relativa, con l’incidenza che scende dall’11,4 al 10,1 per cento e 334 mila famiglie in meno sotto la soglia, anche se questo risultato potrebbe essere legato soprattutto a ragioni metodologiche, più che a un effettivo miglioramento della condizione delle famiglie povere. La soglia di povertà relativa, infatti, si calcola in percentuale alla spesa media nazionale, e il crollo della spesa per consumi di quest’anno ha portato a una riduzione della soglia, che ha fatto uscire molte famiglie dalla povertà, ma solo virtualmente.
L’importanza dell’istruzione, della qualità occupazionale e dell’età
L’incidenza della povertà dipende fortemente dal titolo di studio: è pari al 10,9 per cento se la persona di riferimento nella famiglia ha al massimo la licenza media, mentre scende al 4,4 per cento per chi ha almeno il diploma di scuola superiore. La crescita della povertà assoluta ha riguardato soprattutto le famiglie in cui la persona di riferimento è occupata, con un aumento dell’incidenza dal 5,5 al 7,3 per cento. Anche il tipo e il livello di occupazione contano: l’incidenza della povertà tra gli operai è del 13,2 per cento (dal 10,2 del 2019), mentre quella di dirigenti, quadri e impiegati è al 2,5 per cento (dall’1,7 del 2019). Anche tra gli autonomi si registra un aumento, dal 4 per cento del 2019 al 6,1 del 2020. Resta invece stabile l’incidenza tra i disoccupati (19,7 per cento) e tra i pensionati (4,4 per cento).
La povertà è più diffusa tra i giovani: l’incidenza tra i minori è pari al 13,5 per cento e anche quella per i giovani tra 18 e 34 anni è superiore al 10 per cento (11,3 per cento). Il dato cala di molto, seppure anch’esso in crescita rispetto al 2019, tra gli individui con più di 65 anni: 5,4 per cento.
Sempre più famiglie con figli e sempre più minori in povertà
Nel 2020, l’incidenza della povertà è al 20,5 per cento per le famiglie con almeno cinque componenti, mentre cala all’11,2 per cento con quattro componenti e all’8,5 per cento per le famiglie di tre persone. La povertà assoluta colpisce 1 milione 337 mila minori (13,5 per cento). Le famiglie con minori in povertà sono oltre 767 mila, con un’intensità della povertà pari al 21 per cento (contro il 18,7 a livello generale). Questo significa che le famiglie con minori, oltre ad essere più spesso povere, sono anche in situazione di maggiore disagio.
La povertà cresce soprattutto al Nord
L’aumento della povertà ha riguardato soprattutto il Nord: il numero di famiglie sotto la soglia di povertà assoluta è cresciuto di 217 mila unità, con un’incidenza che passa dal 5,8 al 7,6 per cento. Nonostante l’aumento in termini assoluti più consistente si sia registrato al Nord, la percentuale maggiore di famiglie in povertà rimane nel Mezzogiorno (9,4 per cento, rispetto all’8,6 del 2019). La forte crescita in termini assoluti al Nord ha creato uno squilibrio nella distribuzione territoriale della povertà: nel 2019, il 43,4 per cento delle famiglie in povertà assoluta viveva nelle regioni settentrionali e il 42,2 per cento in quelle meridionali, mentre nel 2020 le famiglie in povertà al Nord sono il 47 per cento del totale, contro il 38,6 per cento del Mezzogiorno.
Gli stranieri restano i più colpiti
Le famiglie con almeno uno straniero rappresentano l’8,6 per cento del totale, ma costituiscono il 28,3 per cento dei nuclei in povertà assoluta in Italia. L’incidenza tra le famiglie di soli italiani è del 6 per cento, un dato che sale al 25,3 per cento tra le famiglie con almeno uno straniero e al 26,7 per cento per quelle composte esclusivamente da stranieri. La percentuale di famiglie con minori e con almeno uno straniero che si trovano in povertà assoluta è pari al 28,6 per cento, un valore di oltre tre volte superiore all’8,6 per cento dei nuclei con minori composti da soli italiani.
Sembra, in sintesi, che le principali vittime della crisi del 2020 siano le stesse figure già colpite più di altre dalla precedente recessione del periodo 2008-13: i giovani (sia i minori sia in generale chi ha meno di 65 anni), gli immigrati, i lavoratori precari. Con una parziale novità: la forte concentrazione dell’incremento della povertà nelle regioni settentrionali.
Questi dati sollevano inoltre due osservazioni di tipo metodologico.
La prima riguarda il calcolo della misura di povertà assoluta. Secondo la definizione Istat è in povertà assoluta una famiglia che non riesce ad acquistare un determinato paniere di beni e servizi considerato essenziale per vivere in modo dignitoso, il cui valore dipende dal tipo di famiglia e dalla zona di residenza. Si è poveri quindi se si spende molto poco. Nel 2020 le varie misure di lockdown hanno materialmente impedito di effettuare molte spese, e la conferma viene dal forte incremento della propensione al risparmio. Alcune famiglie potrebbero quindi essere considerate povere perché non hanno avuto la possibilità di spendere.
Questo problema va tenuto in considerazione, anche se è possibile che il risparmio sia aumentato soprattutto tra le famiglie a reddito medio-alto, mentre può essere più difficile ridurre i consumi quando essi sono già bassi. Inoltre, se l’aumento della povertà fosse dovuto solo alla impossibilità di consumare provocata dal lockdown, l’incremento del rischio di povertà dovrebbe essere piuttosto uniforme tra le categorie socio-demografiche. Invece i dati ci dicono che per alcuni l’incidenza della povertà è cresciuta di più: per esempio di 1,8 punti percentuali per le famiglie con persona di riferimento occupata (3 punti per gli operai), contro 0,1 punti in più per le famiglie di chi è ritirato dal lavoro. L’aumento è inoltre di 1,1 punti percentuali per le famiglie di soli italiani, di 3,3 punti percentuali per le famiglie con stranieri.
La seconda osservazione riguarda l’andamento della povertà relativa, la cui incidenza è addirittura diminuita nel 2020. La ragione è metodologica: si è poveri relativi se si ha una spesa significativamente inferiore alla spesa media nazionale. La soglia viene ricalcolata ogni anno. Nel 2020 la spesa media è crollata, e con essa la soglia, passata da 1.093 euro nel 2019 a 1.002 nel 2020. Ma le famiglie a reddito basso hanno pochi margini per ridurre ulteriormente la spesa. Come scrive lo stesso comunicato Istat, alcune delle famiglie che nel 2019 risultavano povere si sono ritrovate a non esserlo più perché la linea di povertà è diminuita, anche se la loro condizione non è sostanzialmente cambiata.
(Tratto da www.lavoce.info)
L’importanza dell’istruzione, della qualità occupazionale e dell’età
L’incidenza della povertà dipende fortemente dal titolo di studio: è pari al 10,9 per cento se la persona di riferimento nella famiglia ha al massimo la licenza media, mentre scende al 4,4 per cento per chi ha almeno il diploma di scuola superiore. La crescita della povertà assoluta ha riguardato soprattutto le famiglie in cui la persona di riferimento è occupata, con un aumento dell’incidenza dal 5,5 al 7,3 per cento. Anche il tipo e il livello di occupazione contano: l’incidenza della povertà tra gli operai è del 13,2 per cento (dal 10,2 del 2019), mentre quella di dirigenti, quadri e impiegati è al 2,5 per cento (dall’1,7 del 2019). Anche tra gli autonomi si registra un aumento, dal 4 per cento del 2019 al 6,1 del 2020. Resta invece stabile l’incidenza tra i disoccupati (19,7 per cento) e tra i pensionati (4,4 per cento).
La povertà è più diffusa tra i giovani: l’incidenza tra i minori è pari al 13,5 per cento e anche quella per i giovani tra 18 e 34 anni è superiore al 10 per cento (11,3 per cento). Il dato cala di molto, seppure anch’esso in crescita rispetto al 2019, tra gli individui con più di 65 anni: 5,4 per cento.
Sempre più famiglie con figli e sempre più minori in povertà
Nel 2020, l’incidenza della povertà è al 20,5 per cento per le famiglie con almeno cinque componenti, mentre cala all’11,2 per cento con quattro componenti e all’8,5 per cento per le famiglie di tre persone. La povertà assoluta colpisce 1 milione 337 mila minori (13,5 per cento). Le famiglie con minori in povertà sono oltre 767 mila, con un’intensità della povertà pari al 21 per cento (contro il 18,7 a livello generale). Questo significa che le famiglie con minori, oltre ad essere più spesso povere, sono anche in situazione di maggiore disagio.
La povertà cresce soprattutto al Nord
L’aumento della povertà ha riguardato soprattutto il Nord: il numero di famiglie sotto la soglia di povertà assoluta è cresciuto di 217 mila unità, con un’incidenza che passa dal 5,8 al 7,6 per cento. Nonostante l’aumento in termini assoluti più consistente si sia registrato al Nord, la percentuale maggiore di famiglie in povertà rimane nel Mezzogiorno (9,4 per cento, rispetto all’8,6 del 2019). La forte crescita in termini assoluti al Nord ha creato uno squilibrio nella distribuzione territoriale della povertà: nel 2019, il 43,4 per cento delle famiglie in povertà assoluta viveva nelle regioni settentrionali e il 42,2 per cento in quelle meridionali, mentre nel 2020 le famiglie in povertà al Nord sono il 47 per cento del totale, contro il 38,6 per cento del Mezzogiorno.
Gli stranieri restano i più colpiti
Le famiglie con almeno uno straniero rappresentano l’8,6 per cento del totale, ma costituiscono il 28,3 per cento dei nuclei in povertà assoluta in Italia. L’incidenza tra le famiglie di soli italiani è del 6 per cento, un dato che sale al 25,3 per cento tra le famiglie con almeno uno straniero e al 26,7 per cento per quelle composte esclusivamente da stranieri. La percentuale di famiglie con minori e con almeno uno straniero che si trovano in povertà assoluta è pari al 28,6 per cento, un valore di oltre tre volte superiore all’8,6 per cento dei nuclei con minori composti da soli italiani.
Sembra, in sintesi, che le principali vittime della crisi del 2020 siano le stesse figure già colpite più di altre dalla precedente recessione del periodo 2008-13: i giovani (sia i minori sia in generale chi ha meno di 65 anni), gli immigrati, i lavoratori precari. Con una parziale novità: la forte concentrazione dell’incremento della povertà nelle regioni settentrionali.
Questi dati sollevano inoltre due osservazioni di tipo metodologico.
La prima riguarda il calcolo della misura di povertà assoluta. Secondo la definizione Istat è in povertà assoluta una famiglia che non riesce ad acquistare un determinato paniere di beni e servizi considerato essenziale per vivere in modo dignitoso, il cui valore dipende dal tipo di famiglia e dalla zona di residenza. Si è poveri quindi se si spende molto poco. Nel 2020 le varie misure di lockdown hanno materialmente impedito di effettuare molte spese, e la conferma viene dal forte incremento della propensione al risparmio. Alcune famiglie potrebbero quindi essere considerate povere perché non hanno avuto la possibilità di spendere.
Questo problema va tenuto in considerazione, anche se è possibile che il risparmio sia aumentato soprattutto tra le famiglie a reddito medio-alto, mentre può essere più difficile ridurre i consumi quando essi sono già bassi. Inoltre, se l’aumento della povertà fosse dovuto solo alla impossibilità di consumare provocata dal lockdown, l’incremento del rischio di povertà dovrebbe essere piuttosto uniforme tra le categorie socio-demografiche. Invece i dati ci dicono che per alcuni l’incidenza della povertà è cresciuta di più: per esempio di 1,8 punti percentuali per le famiglie con persona di riferimento occupata (3 punti per gli operai), contro 0,1 punti in più per le famiglie di chi è ritirato dal lavoro. L’aumento è inoltre di 1,1 punti percentuali per le famiglie di soli italiani, di 3,3 punti percentuali per le famiglie con stranieri.
La seconda osservazione riguarda l’andamento della povertà relativa, la cui incidenza è addirittura diminuita nel 2020. La ragione è metodologica: si è poveri relativi se si ha una spesa significativamente inferiore alla spesa media nazionale. La soglia viene ricalcolata ogni anno. Nel 2020 la spesa media è crollata, e con essa la soglia, passata da 1.093 euro nel 2019 a 1.002 nel 2020. Ma le famiglie a reddito basso hanno pochi margini per ridurre ulteriormente la spesa. Come scrive lo stesso comunicato Istat, alcune delle famiglie che nel 2019 risultavano povere si sono ritrovate a non esserlo più perché la linea di povertà è diminuita, anche se la loro condizione non è sostanzialmente cambiata.
(Tratto da www.lavoce.info)
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