Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo dell’ ex direttore dell’Opera di Damasco, amico di padre Dall’Olio e interprete personale di Assad padre e poi di Bashar, da qualche anno rifugiato nel nostro Piemonte ad Arona.
La Striscia di Gaza è lunga circa 41 km, larga tra 6 e 12 km, con una superficie totale di 362 km2; lì ci vivono 2 milioni di abitanti, con una densità di 5000 abitanti per km2. Due terzi degli abitanti di Gaza hanno lo status di rifugiati. Una gran parte di loro vive dentro gli otto campi per rifugiati dell’ONU, dal 1948. La Striscia di Gaza è stata sotto il controllo del governo egiziano dal 1948 (Nakba, prima sconfitta degli eserciti dei Paesi arabi contro una nazione ebraica di nascita recente) fino al 1967 (Naksa, sconfitta della Guerra dei sei giorni). Dal 1967 fino al 1994 è stata sotto il controllo del governo israeliano. Da questa data, la striscia è stata ceduta all’Autorità palestinese nel quadro dell’accordo di Oslo.
Il movimento di resistenza islamica Hamas è stato creato nel 1980. È alleato dei Fratelli musulmani egiziani. Sale al potere nel 2006 con lo slogan di distruggere Israele e di creare uno Stato islamico palestinese. Dal 2007 Hamas ha un controllo totale della striscia di Gaza.
L’ultima ostilità tra Israele e Hamas rappresenta, come sempre, una guerra asimmetrica in favore di Israele. I bombardamenti israeliani hanno causato 250 vittime, un terzo delle quali sono bambini, e 2000 feriti. Israele ha vinto la battaglia militare, ma ha perso quella dell’opinione pubblica mondiale. I due protagonisti, Hamas e Israele, tutti e due, hanno dichiarato la vittoria.
Dopo una tregua fragile di calma apparente, Gaza riprende a vivere, malgrado il bagno di sangue che ha eliminato, tra i civili, capi militari del movimento Hamas, e malgrado i danni visibili nelle abitazioni, infrastrutture, scuole e zona industriale. L’obiettivo della guerra è di cambiare la situazione precedente o di trascinare il nemico al tavolo della negoziazione. Questa regola di sempre non è valida nel caso di Hamas e Israele. Quindi è una tregua senza soluzione e senza prospettiva di concludere una pace.
I due protagonisti, nemici di sempre, sono tornati alla situazione precedente senza risolvere nulla dei problemi dei palestinesi. È proprio il popolo palestinese che ha pagato ancora una volta il prezzo più alto in vite umane e infrastrutture. Le regole del gioco sono cambiate? Assolutamente no. I due protagonisti sono pronti ad attaccare di nuovo. Perché tutti e due rappresentano la parte più radicale e più fondamentalista nei loro rispettivi campi. Hamas, classificato movimento terrorista, e i partiti israeliani di estrema destra religiosa non troveranno nessun modo di dialogare. Da questa serie di guerre asimmetriche, i palestinesi escono sempre più poveri, più fragili, più umiliati e frustrati.
Hamas è sostenuto dai Fratelli musulmani egiziani, dal Qatar e dall’Iran; viene invece rifiutato dal suo ambiente più vicino, l’Autorità palestinese, e dagli altri Paesi arabi. I razzi lanciati a pioggia contro Israele sono considerati come uno schiaffo. Sono costruiti a Gaza da ingegneri palestinesi con un trasferimento di tecnologia iraniana e di Hezbollah libanese. È una guerra per procura dell’alleato iraniano e così Hamas non ha niente da invidiare agli altri clienti dell’Iran come gli Houthi dello Yemen e Hezbollah iracheno e libanese. Sono già 3200 i razzi lanciati contro Israele per mano di Al Qassam, un esercito convenzionale di 5000 combattenti, un’élite di professionisti. Gli ultras di Hamas e gli ultras dei partiti religiosi israeliani fanno tra di loro l’equilibrio del terrore in attesa di un altro round di escalation, senza risolvere la radice del problema.
Le provocazioni di Gerusalemme hanno prodotto una reazione mal calcolata, suicidaria da parte di Hamas, poco pragmatico e poco flessibile a iniziare negoziati con un nemico israeliano che da parte sua impedisce tutti i contatti con un movimento classificato come terrorista.
Solo un processo politico tra i due protagonisti metterà fine a una lotta armata difficile da giustificare. Nell’attesa, tutto rimane uguale a prima a Gaza, strade, reti idrauliche, scuole, ospedali distrutti. La frustrazione dei giovani palestinesi, per il 45% disoccupati, è la fonte demografica da cui Hamas recluta i suoi combattenti e sfrutta il malessere generalizzato degli abitanti di Gaza. Le violenze, le frustrazioni e l’umiliazione alimentano l’odio e la violenza di domani, a cui solo una fazione moderata opposta a Hamas, con i partiti moderati israeliani, può mettere fine. Dopo la tregua, il leader di Hamas ha ringraziato l’Iran, suo amico e nemico di tutti i Paesi arabi dalla Siria al Libano, fino ai paesi del Golfo.
Gerusalemme, luogo sacro per eccellenza per la gente del Libro, ebrei, cristiani e musulmani, vive una guerra dei simboli, dove la religione ebraica e quella musulmana, due religioni invadenti nel credo e nel quotidiano, sono in perenne conflitto. Il fatto di nominare i palestinesi “arabi” da parte di Israele neutralizza una loro parte integrante e importante, quella dei palestinesi cristiani, che non soffrono meno di quella dei palestinesi musulmani a causa di un Israele colonialista e arrogante.
Hamas non ha capito la trappola mortale in cui è stato messo dall’Iran e da Ezbollah libanese e non ha capito la poca simpatia del mondo intero riguardo la sua posizione radicale, come non ha capito che la parola “islamico” lo rende poco affidabile, in un mondo che ha vissuto traumi sociali rivendicati dai gruppi simili a loro. Sarebbe stato più credibile nominalo “movimento di resistenza palestinese”, nome giustificato nel contesto di Gaza. Israele non ha capito ancora una volta che le critiche da parte dell’opinione pubblica alla sua violenza esagerata contro i civili non sono antisemitismo.
La soluzione di creare due Stati, uno israeliano e uno palestinese, è vista oggi come la soluzione definitiva di un conflitto che durata da 70 anni. Ma era già nella Risoluzione numero 181 ONU della spartizione della Palestina del 1947, una risoluzione che è stata rifiutata dai Paesi arabi, dai palestinesi e dagli ebrei. Solo i sionisti ci hanno guadagnato, così da proclamare la nascita dello Stato di Israele nel 1948 e arraffare la Palestina.
I palestinesi oggi in due “Stati”, uno in Cisgiordania e l’altro nella Striscia di Gaza, con due governi e due capi più divisi che mai, più diversi l’uno dall’altro e più isolati geograficamente, non possono difendere un popolo martoriato.
La Striscia di Gaza è lunga circa 41 km, larga tra 6 e 12 km, con una superficie totale di 362 km2; lì ci vivono 2 milioni di abitanti, con una densità di 5000 abitanti per km2. Due terzi degli abitanti di Gaza hanno lo status di rifugiati. Una gran parte di loro vive dentro gli otto campi per rifugiati dell’ONU, dal 1948. La Striscia di Gaza è stata sotto il controllo del governo egiziano dal 1948 (Nakba, prima sconfitta degli eserciti dei Paesi arabi contro una nazione ebraica di nascita recente) fino al 1967 (Naksa, sconfitta della Guerra dei sei giorni). Dal 1967 fino al 1994 è stata sotto il controllo del governo israeliano. Da questa data, la striscia è stata ceduta all’Autorità palestinese nel quadro dell’accordo di Oslo.
Il movimento di resistenza islamica Hamas è stato creato nel 1980. È alleato dei Fratelli musulmani egiziani. Sale al potere nel 2006 con lo slogan di distruggere Israele e di creare uno Stato islamico palestinese. Dal 2007 Hamas ha un controllo totale della striscia di Gaza.
L’ultima ostilità tra Israele e Hamas rappresenta, come sempre, una guerra asimmetrica in favore di Israele. I bombardamenti israeliani hanno causato 250 vittime, un terzo delle quali sono bambini, e 2000 feriti. Israele ha vinto la battaglia militare, ma ha perso quella dell’opinione pubblica mondiale. I due protagonisti, Hamas e Israele, tutti e due, hanno dichiarato la vittoria.
Dopo una tregua fragile di calma apparente, Gaza riprende a vivere, malgrado il bagno di sangue che ha eliminato, tra i civili, capi militari del movimento Hamas, e malgrado i danni visibili nelle abitazioni, infrastrutture, scuole e zona industriale. L’obiettivo della guerra è di cambiare la situazione precedente o di trascinare il nemico al tavolo della negoziazione. Questa regola di sempre non è valida nel caso di Hamas e Israele. Quindi è una tregua senza soluzione e senza prospettiva di concludere una pace.
I due protagonisti, nemici di sempre, sono tornati alla situazione precedente senza risolvere nulla dei problemi dei palestinesi. È proprio il popolo palestinese che ha pagato ancora una volta il prezzo più alto in vite umane e infrastrutture. Le regole del gioco sono cambiate? Assolutamente no. I due protagonisti sono pronti ad attaccare di nuovo. Perché tutti e due rappresentano la parte più radicale e più fondamentalista nei loro rispettivi campi. Hamas, classificato movimento terrorista, e i partiti israeliani di estrema destra religiosa non troveranno nessun modo di dialogare. Da questa serie di guerre asimmetriche, i palestinesi escono sempre più poveri, più fragili, più umiliati e frustrati.
Hamas è sostenuto dai Fratelli musulmani egiziani, dal Qatar e dall’Iran; viene invece rifiutato dal suo ambiente più vicino, l’Autorità palestinese, e dagli altri Paesi arabi. I razzi lanciati a pioggia contro Israele sono considerati come uno schiaffo. Sono costruiti a Gaza da ingegneri palestinesi con un trasferimento di tecnologia iraniana e di Hezbollah libanese. È una guerra per procura dell’alleato iraniano e così Hamas non ha niente da invidiare agli altri clienti dell’Iran come gli Houthi dello Yemen e Hezbollah iracheno e libanese. Sono già 3200 i razzi lanciati contro Israele per mano di Al Qassam, un esercito convenzionale di 5000 combattenti, un’élite di professionisti. Gli ultras di Hamas e gli ultras dei partiti religiosi israeliani fanno tra di loro l’equilibrio del terrore in attesa di un altro round di escalation, senza risolvere la radice del problema.
Le provocazioni di Gerusalemme hanno prodotto una reazione mal calcolata, suicidaria da parte di Hamas, poco pragmatico e poco flessibile a iniziare negoziati con un nemico israeliano che da parte sua impedisce tutti i contatti con un movimento classificato come terrorista.
Solo un processo politico tra i due protagonisti metterà fine a una lotta armata difficile da giustificare. Nell’attesa, tutto rimane uguale a prima a Gaza, strade, reti idrauliche, scuole, ospedali distrutti. La frustrazione dei giovani palestinesi, per il 45% disoccupati, è la fonte demografica da cui Hamas recluta i suoi combattenti e sfrutta il malessere generalizzato degli abitanti di Gaza. Le violenze, le frustrazioni e l’umiliazione alimentano l’odio e la violenza di domani, a cui solo una fazione moderata opposta a Hamas, con i partiti moderati israeliani, può mettere fine. Dopo la tregua, il leader di Hamas ha ringraziato l’Iran, suo amico e nemico di tutti i Paesi arabi dalla Siria al Libano, fino ai paesi del Golfo.
Gerusalemme, luogo sacro per eccellenza per la gente del Libro, ebrei, cristiani e musulmani, vive una guerra dei simboli, dove la religione ebraica e quella musulmana, due religioni invadenti nel credo e nel quotidiano, sono in perenne conflitto. Il fatto di nominare i palestinesi “arabi” da parte di Israele neutralizza una loro parte integrante e importante, quella dei palestinesi cristiani, che non soffrono meno di quella dei palestinesi musulmani a causa di un Israele colonialista e arrogante.
Hamas non ha capito la trappola mortale in cui è stato messo dall’Iran e da Ezbollah libanese e non ha capito la poca simpatia del mondo intero riguardo la sua posizione radicale, come non ha capito che la parola “islamico” lo rende poco affidabile, in un mondo che ha vissuto traumi sociali rivendicati dai gruppi simili a loro. Sarebbe stato più credibile nominalo “movimento di resistenza palestinese”, nome giustificato nel contesto di Gaza. Israele non ha capito ancora una volta che le critiche da parte dell’opinione pubblica alla sua violenza esagerata contro i civili non sono antisemitismo.
La soluzione di creare due Stati, uno israeliano e uno palestinese, è vista oggi come la soluzione definitiva di un conflitto che durata da 70 anni. Ma era già nella Risoluzione numero 181 ONU della spartizione della Palestina del 1947, una risoluzione che è stata rifiutata dai Paesi arabi, dai palestinesi e dagli ebrei. Solo i sionisti ci hanno guadagnato, così da proclamare la nascita dello Stato di Israele nel 1948 e arraffare la Palestina.
I palestinesi oggi in due “Stati”, uno in Cisgiordania e l’altro nella Striscia di Gaza, con due governi e due capi più divisi che mai, più diversi l’uno dall’altro e più isolati geograficamente, non possono difendere un popolo martoriato.
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