Solo ieri, sentivamo dire che la contrapposizione politica era tra europeisti e sovranisti. Oggi, tutti, o quasi, si dicono a favore dell'Europa. Sembra una commedia degli equivoci. In realtà, ciò accade perché l'argomento “Europa” viene sovente utilizzato strumentalmente nella polemica politica, ma soprattutto perché si usano le parole senza attribuire ad esse un significato preciso in grado di definire concetti chiari. Soffermiamoci su questo aspetto.
Europa è innanzitutto una indicazione geografica. Nella Grecia antica, si designavano con tale voce tutte le terre conosciute a nord del Mediterraneo, alle quali, in seguito, nel Medioevo, venne posto un confine verso Est lungo il fiume Tanai o Don, e successivamente lungo il Volga. Oggi, il limite europeo ad est è costituito dagli Urali e dal fiume Ural, mentre a sud est è rappresentato dalla catena del Caucaso. La UE non comprende tutti i paesi ubicati in questo territorio, mentre include Cipro che è in Asia, e resta pendente la possibile inclusione della Turchia di cui il solo 3% del territorio è in Europa e solo un ottavo degli abitanti risiede in questa porzione del Paese.
Ma Europa non è solo un'espressione geografica: il termine soprattutto designa l'edificio materiale e spirituale elaborato nei secoli dai popoli che l'hanno abitata, e che abbiamo avuto in eredità con il dovere di tutelarlo e incrementarlo. L'Europa è il frutto di vicende storiche che ne hanno fatto un unicum in cui, nei più diversi ambiti, coesistono diversità accanto a una comune identità.
Emmanuel Macron, in una recente intervista, ha parlato di un'aggregazione di popoli e culture diverse eppure tenute insieme, unite, da qualche cosa di profondo. La sua, tuttavia, sembra essere una voce solitaria perché non è questa l'Europa che ha in mente l'élite neoliberale al vertice dell'UE. Infatti essa ha rimosso ogni elemento che riconduca al grande patrimonio storico-culturale del nostro continente (la famosa questione delle radici). La UE si riduce pertanto ad essere un semplice aggregato di Paesi che si regge su regole e principi giuridici e su finalità economico-sociali, con prevalenza della sfera economica. Troppo poco perché ne venga fuori qualcosa di vitale e duraturo.
Per la più parte delle persone, è difficile comprendere che cosa sia la UE, quale sia le sua natura, anche perché è un caso unico nel suo genere. Deve però essere chiaro che non è uno Stato. Infatti, non ha un governo (non lo sono la Commissione e il Consiglio europeo); non ha un Parlamento con le funzioni e i poteri che sono propri di tale istituzione; ha una banca centrale che però non è garante del debito pubblico degli Stati membri; ha una moneta, l'euro, che tuttavia riguarda solo 19 paesi sui 27 membri comunitari; non ha comuni politiche in ambito economico e fiscale, e soprattutto non ha una politica estera (il commissario ad hoc è una figura alquanto patetica che nessuno prende seriamente in considerazione); è priva di forze armate sue proprie, mentre quelle degli Stati membri dell'Unione, con l'eccezione di quelle francesi, non sono nemmeno in grado di operare in autonomia, ma solo se integrate nella NATO. Nonostante l'assenza dello Stato, non manca di una burocrazia centralizzatrice che si impone in ogni ambito per tramite del dettato giuridico; una burocrazia che, per dimensione, modalità operative lente e farraginose, attenta alle sole procedure, è in grado di fare concorrenza a quella del nostro Paese, come si è visto anche recentemente con i ritardi e le deficienze nel procurarsi i vaccini anti-Covid.
Ricordiamoci che la sovranità è un attributo essenziale di uno Stato. Quella dei singoli Paesi europei può essere fittizia per la loro debolezza, ma è comprensibile che questi siano restii a spogliarsi di quel poco che ancora hanno per trasferirlo ad una UE che non sembra potere esercitare la sovranità che compete ad uno Stato.
Credo che si possa legittimamente affermare che l'UE si trovi in bilico su un crinale: o va avanti e procede verso l'unificazione politica dandosi un'anima e accelerando il cammino, oppure inevitabilmente scivolerà indietro perdendo pezzi fino a decomporsi.
Quali sono gli ostacoli sulla sua strada?
Ci sono quelli posti dai Paesi che non credono necessario procedere oltre l'assetto attuale, un assetto che offre loro alcuni vantaggi e non richiede rilevanti impegni: sono i cosiddetti Paesi “frugali, o forse meglio “bottegai”. Ci sono poi i Paesi balcanici ed est europei (in particolare quelli nati dalla dissoluzione dello Stato asburgico, che ha creato un vuoto nell'area danubiana non ancora colmato) imbevuti di un vetero-nazionalismo del quale abbiamo avuto un esempio con le tragiche vicende che hanno contrassegnato la frantumazione della Jugoslavia.
C'è poi la competizione fra le nazioni dell'Unione, che tendono a mettere sempre avanti i propri interessi, e a sgomitare per essere in prima fila. Entro certi limiti, è un comportamento fisiologico: capita anche tra Regioni e municipi all'interno di ogni nazione, ma può e deve essere contenuto dalla necessità di affrontare insieme un cammino di cui si comprende sempre più la necessità.
Infine (lo colloco all'ultimo posto, ma in realtà è l'ostacolo principale) c'è quell'America per la quale (come ha scritto Barbara Spinelli) “questo matrimonio europeo non s'ha da fare né domani né mai”. Molti non vogliono vedere quello che è un fatto evidente. Come hanno più volte dichiarato presidenti, candidati alla presidenza e autorevoli politici americani, l'America si ritiene la nazione segnata da un destino manifesto che le assegna la guida del mondo. Per affermare e mantenere la leadership planetaria (ha scritto John Mearsheimer, docente di scienze politiche dell’Università di Chicago, e lo ripete in ogni occasione Dario Fabbri), gli USA, da più di un secolo la potenza egemone regionale nell’emisfero occidentale, hanno come obiettivo primario contrastare con ogni mezzo (diplomatico, economico, militare) le potenze regionali già affermate in altra parte del pianeta (Cina, Russia) al fine di ridimensionarle, e, nel contempo, impedire che ovunque si creino altri egemoni regionali. Fra le possibili potenze regionali, c'è anche una Europa unita, autonoma sul piano politico, economico e militare, che, per popolazione, economia, capacità tecnologica, nonché patrimonio culturale, non sarebbe seconda a nessuno. Di conseguenza, è ferrea convinzione di tutta la classe dirigente americana (politici democratici e repubblicani, apparati di sicurezza, militari, ecc.) che sia necessario impedire a questo matrimonio di andare in porto.
Ma, dicono in molti, un conto sono, per l'America, la Cina e la Russia, altra cosa è l'Europa con cui ha valori comuni e che pertanto non rappresenta una minaccia al suo status internazionale. In realtà, ci sono alcuni valori comuni accanto a differenze profonde riguardo ad altri. Tuttavia, la logica di potenza e l'aspirazione a mantenere il primato fanno premio su qualsiasi altra considerazione: quindi nessuno si illuda che l'America possa fare sconti all'Europa in alcun campo. Basta vedere il divieto, fino ad oggi vigente, di esportare vaccini anti-Covid prodotti o confezionati sul suo territorio verso gli altri Paesi, Europa inclusa. “America first” non è una prerogativa di Donald Trump, vale anche per Joe Biden.
Per altri, la “Comunità atlantica”, fondata su una condivisa visione del mondo, è un riferimento preminente rispetto alla stessa UE. Quest'ultima non necessiterebbe di autonomia perché le istituzioni europee sono ritenute una tappa verso una comunità più vasta, di cui saranno una componente. Ma poiché sui valori di natura ideologica, non si costruisce una formazione statale, chi sarà nella Comunità atlantica ad esercitare i poteri che competono a uno Stato sovrano? Ovviamente gli Stati Uniti, come capita già oggi. Invece, un'Europa sovrana potrebbe, se del caso, essere alleata degli USA, ma da pari, sulla base di obiettivi condivisi e non dettati da una parte sola. Ad esempio, come ha riconosciuto Macron, la nostra politica di vicinato con Medio Oriente, Russia, e Africa non è quella degli USA, e, pertanto, non può dipendere dalla loro e seguirne le orme.
Aggiungo che anche la sensibilità europea sulle tematiche economiche e sociali è profondamente diversa da quella americana, e in parte britannica, dove è nato (con Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Bill Clinton e Tony Blair) quel finanz-capitalismo che oggi domina il mondo, e che ha portato a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi: una élite dai connotati globalisti che tuttavia ha i piedi, il cuore e il portafoglio saldamente ancorati al suolo statunitense. L'Europa, pertanto, inevitabilmente è destinata a percorrere un strada divergente da quella degli USA (chiunque guidi questo Paese).
L'europeismo è diventato un lasciapassare che vale per tutti. È bene fare chiarezza. Essere europeista significa in primo luogo voler costruire relazioni di amicizia e di collaborazione tra i popoli europei in vista della creazione di una casa comune. Era la posizione dei padri fondatori dei primi organismi europei (Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman): il loro primo passo è stato un gesto teso ad accantonare gli odi e i rancori di un doloroso passato, un gesto di amicizia. Oggi invece molti (tra i politici, nei media, fra la gente comune) esprimono sentimenti ostili, con continue recriminazioni e accuse, nei confronti di questo e quel Paese europeo: in Italia, principalmente nei confronti di Germania e Francia. Ora, se possono starci, entro certi limiti, perplessità sulla maturazione europea di alcuni Paesi, in particolare di quelli di recente adesione al trattato, non sono invece compatibili con qualsivoglia dichiarazione di europeismo manifestazioni di palese e irriducibile ostilità verso Paesi che storicamente e culturalmente rappresentano il cuore dell'Europa.
Altro aspetto riguarda la posizione da tenere verso la UE. Sono il primo a denunciare tutti i limiti dell'Unione, a partire dal concetto di Europa (meramente economico e giuridico) a cui si ispira l'attuale vertice comunitario (politico, tecnico e burocratico); ritengo inoltre perfettamente vero che la UE sia oggi un'entità politicamente insignificante; tuttavia, pur di fronte al precario equilibrio in cui si trova, chi pensasse che sia tutto da rifare, o che si debba ripartire da zero, non si colloca fuori dall'europeismo, ma dalla realtà.
Europeista pertanto è chi intende andare avanti. Fino a dove? Fino alla costruzione di uno Stato europeo (federale o confederale) capace di esercitare la propria sovranità in campo politico, economico e militare. Anche qui, però, bisogna essere realisti. Come ha scritto Domenico Accorinti, in un commento ad un articolo, “gli USA si guarderanno bene dal mollare l’Europa come area loro satellite”. Aggiungo che anche la resistenza a marciare verso l'unità da parte di taluni Paesi europei trova sostegno e incoraggiamento da parte degli USA. Quindi la risposta corretta è: “andare avanti fin dove è possibile nel contesto attuale, pronti a cogliere le opportunità per procedere oltre”. E, al momento, la sola via realistica è rafforzare i legami con i Paesi fondatori dell'Unione, in particolare con Francia e Germania, per creare un solido nucleo di partenza. Poi verranno gli altri passi, o almeno me lo auguro, altrimenti la UE finirà per dissolversi.
Sebbene Mario Draghi venga considerato molto legato all'America e all'establishment di questa nazione, la sua chiara intenzione di stabilire un forte legame con le due nazioni citate va nella direzione giusta, un legame che sarebbe opportuno coinvolgesse anche la Spagna. Infatti, parlando di realismo, bisogna tenere presente che, anche nella costruzione di questo nucleo europeo di partenza, non si possono mettere da parte i rapporti di forza fondati sugli elementi geopolitici. Quindi il peso delle nazioni partecipanti è, e sarà, inevitabilmente differente. Un'intesa fra Italia e Spagna, paesi mediterranei con molti problemi comuni, potrà in parte riequilibrare quello della Francia e in particolare della Germania.
Guardando al teatrino politico-partitico di casa nostra, mi riesce difficile considerare credibili europeisti quei politici, di sinistra e di destra, che periodicamente accorrono a Washington per accreditarsi rispettivamente presso i dirigenti del partito democratico e di quello repubblicano, quali interpreti sul suolo italiano degli indirizzi politici elaborati oltre atlantico.
Europa è innanzitutto una indicazione geografica. Nella Grecia antica, si designavano con tale voce tutte le terre conosciute a nord del Mediterraneo, alle quali, in seguito, nel Medioevo, venne posto un confine verso Est lungo il fiume Tanai o Don, e successivamente lungo il Volga. Oggi, il limite europeo ad est è costituito dagli Urali e dal fiume Ural, mentre a sud est è rappresentato dalla catena del Caucaso. La UE non comprende tutti i paesi ubicati in questo territorio, mentre include Cipro che è in Asia, e resta pendente la possibile inclusione della Turchia di cui il solo 3% del territorio è in Europa e solo un ottavo degli abitanti risiede in questa porzione del Paese.
Ma Europa non è solo un'espressione geografica: il termine soprattutto designa l'edificio materiale e spirituale elaborato nei secoli dai popoli che l'hanno abitata, e che abbiamo avuto in eredità con il dovere di tutelarlo e incrementarlo. L'Europa è il frutto di vicende storiche che ne hanno fatto un unicum in cui, nei più diversi ambiti, coesistono diversità accanto a una comune identità.
Emmanuel Macron, in una recente intervista, ha parlato di un'aggregazione di popoli e culture diverse eppure tenute insieme, unite, da qualche cosa di profondo. La sua, tuttavia, sembra essere una voce solitaria perché non è questa l'Europa che ha in mente l'élite neoliberale al vertice dell'UE. Infatti essa ha rimosso ogni elemento che riconduca al grande patrimonio storico-culturale del nostro continente (la famosa questione delle radici). La UE si riduce pertanto ad essere un semplice aggregato di Paesi che si regge su regole e principi giuridici e su finalità economico-sociali, con prevalenza della sfera economica. Troppo poco perché ne venga fuori qualcosa di vitale e duraturo.
Per la più parte delle persone, è difficile comprendere che cosa sia la UE, quale sia le sua natura, anche perché è un caso unico nel suo genere. Deve però essere chiaro che non è uno Stato. Infatti, non ha un governo (non lo sono la Commissione e il Consiglio europeo); non ha un Parlamento con le funzioni e i poteri che sono propri di tale istituzione; ha una banca centrale che però non è garante del debito pubblico degli Stati membri; ha una moneta, l'euro, che tuttavia riguarda solo 19 paesi sui 27 membri comunitari; non ha comuni politiche in ambito economico e fiscale, e soprattutto non ha una politica estera (il commissario ad hoc è una figura alquanto patetica che nessuno prende seriamente in considerazione); è priva di forze armate sue proprie, mentre quelle degli Stati membri dell'Unione, con l'eccezione di quelle francesi, non sono nemmeno in grado di operare in autonomia, ma solo se integrate nella NATO. Nonostante l'assenza dello Stato, non manca di una burocrazia centralizzatrice che si impone in ogni ambito per tramite del dettato giuridico; una burocrazia che, per dimensione, modalità operative lente e farraginose, attenta alle sole procedure, è in grado di fare concorrenza a quella del nostro Paese, come si è visto anche recentemente con i ritardi e le deficienze nel procurarsi i vaccini anti-Covid.
Ricordiamoci che la sovranità è un attributo essenziale di uno Stato. Quella dei singoli Paesi europei può essere fittizia per la loro debolezza, ma è comprensibile che questi siano restii a spogliarsi di quel poco che ancora hanno per trasferirlo ad una UE che non sembra potere esercitare la sovranità che compete ad uno Stato.
Credo che si possa legittimamente affermare che l'UE si trovi in bilico su un crinale: o va avanti e procede verso l'unificazione politica dandosi un'anima e accelerando il cammino, oppure inevitabilmente scivolerà indietro perdendo pezzi fino a decomporsi.
Quali sono gli ostacoli sulla sua strada?
Ci sono quelli posti dai Paesi che non credono necessario procedere oltre l'assetto attuale, un assetto che offre loro alcuni vantaggi e non richiede rilevanti impegni: sono i cosiddetti Paesi “frugali, o forse meglio “bottegai”. Ci sono poi i Paesi balcanici ed est europei (in particolare quelli nati dalla dissoluzione dello Stato asburgico, che ha creato un vuoto nell'area danubiana non ancora colmato) imbevuti di un vetero-nazionalismo del quale abbiamo avuto un esempio con le tragiche vicende che hanno contrassegnato la frantumazione della Jugoslavia.
C'è poi la competizione fra le nazioni dell'Unione, che tendono a mettere sempre avanti i propri interessi, e a sgomitare per essere in prima fila. Entro certi limiti, è un comportamento fisiologico: capita anche tra Regioni e municipi all'interno di ogni nazione, ma può e deve essere contenuto dalla necessità di affrontare insieme un cammino di cui si comprende sempre più la necessità.
Infine (lo colloco all'ultimo posto, ma in realtà è l'ostacolo principale) c'è quell'America per la quale (come ha scritto Barbara Spinelli) “questo matrimonio europeo non s'ha da fare né domani né mai”. Molti non vogliono vedere quello che è un fatto evidente. Come hanno più volte dichiarato presidenti, candidati alla presidenza e autorevoli politici americani, l'America si ritiene la nazione segnata da un destino manifesto che le assegna la guida del mondo. Per affermare e mantenere la leadership planetaria (ha scritto John Mearsheimer, docente di scienze politiche dell’Università di Chicago, e lo ripete in ogni occasione Dario Fabbri), gli USA, da più di un secolo la potenza egemone regionale nell’emisfero occidentale, hanno come obiettivo primario contrastare con ogni mezzo (diplomatico, economico, militare) le potenze regionali già affermate in altra parte del pianeta (Cina, Russia) al fine di ridimensionarle, e, nel contempo, impedire che ovunque si creino altri egemoni regionali. Fra le possibili potenze regionali, c'è anche una Europa unita, autonoma sul piano politico, economico e militare, che, per popolazione, economia, capacità tecnologica, nonché patrimonio culturale, non sarebbe seconda a nessuno. Di conseguenza, è ferrea convinzione di tutta la classe dirigente americana (politici democratici e repubblicani, apparati di sicurezza, militari, ecc.) che sia necessario impedire a questo matrimonio di andare in porto.
Ma, dicono in molti, un conto sono, per l'America, la Cina e la Russia, altra cosa è l'Europa con cui ha valori comuni e che pertanto non rappresenta una minaccia al suo status internazionale. In realtà, ci sono alcuni valori comuni accanto a differenze profonde riguardo ad altri. Tuttavia, la logica di potenza e l'aspirazione a mantenere il primato fanno premio su qualsiasi altra considerazione: quindi nessuno si illuda che l'America possa fare sconti all'Europa in alcun campo. Basta vedere il divieto, fino ad oggi vigente, di esportare vaccini anti-Covid prodotti o confezionati sul suo territorio verso gli altri Paesi, Europa inclusa. “America first” non è una prerogativa di Donald Trump, vale anche per Joe Biden.
Per altri, la “Comunità atlantica”, fondata su una condivisa visione del mondo, è un riferimento preminente rispetto alla stessa UE. Quest'ultima non necessiterebbe di autonomia perché le istituzioni europee sono ritenute una tappa verso una comunità più vasta, di cui saranno una componente. Ma poiché sui valori di natura ideologica, non si costruisce una formazione statale, chi sarà nella Comunità atlantica ad esercitare i poteri che competono a uno Stato sovrano? Ovviamente gli Stati Uniti, come capita già oggi. Invece, un'Europa sovrana potrebbe, se del caso, essere alleata degli USA, ma da pari, sulla base di obiettivi condivisi e non dettati da una parte sola. Ad esempio, come ha riconosciuto Macron, la nostra politica di vicinato con Medio Oriente, Russia, e Africa non è quella degli USA, e, pertanto, non può dipendere dalla loro e seguirne le orme.
Aggiungo che anche la sensibilità europea sulle tematiche economiche e sociali è profondamente diversa da quella americana, e in parte britannica, dove è nato (con Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Bill Clinton e Tony Blair) quel finanz-capitalismo che oggi domina il mondo, e che ha portato a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi: una élite dai connotati globalisti che tuttavia ha i piedi, il cuore e il portafoglio saldamente ancorati al suolo statunitense. L'Europa, pertanto, inevitabilmente è destinata a percorrere un strada divergente da quella degli USA (chiunque guidi questo Paese).
L'europeismo è diventato un lasciapassare che vale per tutti. È bene fare chiarezza. Essere europeista significa in primo luogo voler costruire relazioni di amicizia e di collaborazione tra i popoli europei in vista della creazione di una casa comune. Era la posizione dei padri fondatori dei primi organismi europei (Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman): il loro primo passo è stato un gesto teso ad accantonare gli odi e i rancori di un doloroso passato, un gesto di amicizia. Oggi invece molti (tra i politici, nei media, fra la gente comune) esprimono sentimenti ostili, con continue recriminazioni e accuse, nei confronti di questo e quel Paese europeo: in Italia, principalmente nei confronti di Germania e Francia. Ora, se possono starci, entro certi limiti, perplessità sulla maturazione europea di alcuni Paesi, in particolare di quelli di recente adesione al trattato, non sono invece compatibili con qualsivoglia dichiarazione di europeismo manifestazioni di palese e irriducibile ostilità verso Paesi che storicamente e culturalmente rappresentano il cuore dell'Europa.
Altro aspetto riguarda la posizione da tenere verso la UE. Sono il primo a denunciare tutti i limiti dell'Unione, a partire dal concetto di Europa (meramente economico e giuridico) a cui si ispira l'attuale vertice comunitario (politico, tecnico e burocratico); ritengo inoltre perfettamente vero che la UE sia oggi un'entità politicamente insignificante; tuttavia, pur di fronte al precario equilibrio in cui si trova, chi pensasse che sia tutto da rifare, o che si debba ripartire da zero, non si colloca fuori dall'europeismo, ma dalla realtà.
Europeista pertanto è chi intende andare avanti. Fino a dove? Fino alla costruzione di uno Stato europeo (federale o confederale) capace di esercitare la propria sovranità in campo politico, economico e militare. Anche qui, però, bisogna essere realisti. Come ha scritto Domenico Accorinti, in un commento ad un articolo, “gli USA si guarderanno bene dal mollare l’Europa come area loro satellite”. Aggiungo che anche la resistenza a marciare verso l'unità da parte di taluni Paesi europei trova sostegno e incoraggiamento da parte degli USA. Quindi la risposta corretta è: “andare avanti fin dove è possibile nel contesto attuale, pronti a cogliere le opportunità per procedere oltre”. E, al momento, la sola via realistica è rafforzare i legami con i Paesi fondatori dell'Unione, in particolare con Francia e Germania, per creare un solido nucleo di partenza. Poi verranno gli altri passi, o almeno me lo auguro, altrimenti la UE finirà per dissolversi.
Sebbene Mario Draghi venga considerato molto legato all'America e all'establishment di questa nazione, la sua chiara intenzione di stabilire un forte legame con le due nazioni citate va nella direzione giusta, un legame che sarebbe opportuno coinvolgesse anche la Spagna. Infatti, parlando di realismo, bisogna tenere presente che, anche nella costruzione di questo nucleo europeo di partenza, non si possono mettere da parte i rapporti di forza fondati sugli elementi geopolitici. Quindi il peso delle nazioni partecipanti è, e sarà, inevitabilmente differente. Un'intesa fra Italia e Spagna, paesi mediterranei con molti problemi comuni, potrà in parte riequilibrare quello della Francia e in particolare della Germania.
Guardando al teatrino politico-partitico di casa nostra, mi riesce difficile considerare credibili europeisti quei politici, di sinistra e di destra, che periodicamente accorrono a Washington per accreditarsi rispettivamente presso i dirigenti del partito democratico e di quello repubblicano, quali interpreti sul suolo italiano degli indirizzi politici elaborati oltre atlantico.
Articolo impietoso, ma veritiero. Speriamo che ci sia la possibilità di far arrivare queste considerazioni ad una sfera sempre più ampia di popolazione.
Nel merito osservo che se l’ Europa disponesse di politici avveduti sarebbe possibile una autonomia dagli USA senza per questo attivare contrapposizioni tali da richiedere scelte di campo antistoriche. Nel futuro sarà necessario avere con tutti una negoziazione continua, senza mai arrivare a posizioni di equilibrio stabile. Sarà fatalmente l’ equilibrio della biciclette e non della pallina dentro la tazza.
Sintesi puntuale ed esaustiva dell’amico Ladetto. Secondo me i problemi sono nati prima per colpa della Francia che ha boicottato il processo della costituente dell’Europa. Poi il buio è diventato più serio coll’allargamento ai Paesi dell’Est. L’idea di ripartire daccapo con una forma di unione rafforzata tra Germania e Francia con l’adesione, poi, dell’Italia e Spagna, forse costringerebbe. poi, gli altri alla sola adesione di queste altre norme senza possibilità di veti di qualsiasi genere. Tutto ciò potrebbe portare ad uniformare le legislazioni e soprattutto l’eliminazione della nefasta concorrenza in materia fiscale ed economica