Riavvicinamento tra GOP e Trump



AMERICANA di Beppe Mila    5 Febbraio 2021       0

Quindici giorni sono molto pochi per esprimere una tendenza ma in queste due settimane molte cose sono successe in USA in ambedue i partiti. Specie tra i repubblicani.

Il fatto più importante è che Donald Trump e anche la sua base più agguerrita sembrano aver affossato l’idea di creare il ventilato “Patriot party”. Questo ha fatto sì che il GOP (Grand Old Party, così viene chiamato negli States il Partito repubblicano) si stia ricompattando e la leadership trumpiana ulteriormente consolidandosi. Prova ne è, ad esempio che i cinque senatori che hanno votato a favore dell’impeachment – Mitt Romney (Utah), Ben Sasse (Nebraska), Susan Collins (Maine), Lisa Murkowski (Alaska) e Pat Toomey (Pennsylvania) – sono stati richiamati formalmente dai vertici del partito, con l’eccezione di Mitt Romney considerato un bastian contrario irrecuperabile.

Nel frattempo nella loro nuova residenza a Mar-a-lago (Palm Beach, Florida) i Trump, imparata la lezione ed abbandonati i toni bellicosi, non stanno soltanto a godersi il sole ma si preparano per continuare ad esser determinanti nel campo conservatore. Donald ha aperto un ufficio post-presidenza ufficiale nella cui presentazione si legge: “L'Ufficio dell'ex presidente sarà responsabile della sua corrispondenza, dichiarazioni pubbliche, apparizioni e attività ufficiali. Inoltre promuoverà gli interessi degli Stati Uniti e porterà avanti l'agenda dell'amministrazione Trump attraverso la difesa, l'organizzazione e l'attivismo pubblico”.

Melania dal canto suo sta imbastendo (copiando tante ex first lady democratiche) una Fondazione, al momento soltanto un ufficio, per portare avanti il suo progetto Be best per combattere il bullismo nelle scuole. Su questo punto una piccola nota di colore italiana. Tutti abbiamo simpatie e antipatie, però arrivare a dire su alcuni TG nazionali in ora di punta che Melania attendeva soltanto il 20 gennaio per divorziare è davvero un cattivo segno di come anche da noi l’informazione giornalistica sia spesso spazzatura.

Ciò che però al momento tiene banco è l’iter in corso a Washington per il secondo impeachment a Trump. La sfera magica non l'ha nessuno però è molto improbabile che ciò avvenga: alla luce di quanto detto sopra, pare impossibile che 17 senatori repubblicani votino contro Trump insieme ai 50 senatori democratici.

A parte questo importante dettaglio, dal punto di vista legale riportiamo alcune riflessioni di Jonathan Turley, Professor of Public Interest Law presso la George Washington University, consulente al Senato sia per l’impeachment di Bill Clinton che sia per il primo e questo secondo di Trump. La prima questione sollevata è perché alla Camera non si sono tenute delle udienze con testimoni per stabilire l’accusa di “incitamento all’insurrezione” a carico di Donald J. Trump. I Democratici si opposero all’audizione di qualsiasi testimone nell’impeachment di Bill Clinton e non c’erano testimoni neanche nel primo processo di impeachment di Donald Trump. Ora pare che la Camera stia cercando prove e testimoni ma ovviamente ciò andava fatto prima del voto alla Camera. Sostiene Turley: “C’è una grande quantità di informazioni nelle mani del Congresso sulle richieste di schieramento della Guardia Nazionale e sulle interazioni con l’Amministrazione Trump. Esistono documenti e altre fonti di prova non testimoniali che potrebbero essere utilizzate anche per creare un archivio. Eppure, la Camera è stata relativamente passiva nel chiamare quei testimoni che vuole sentire al Senato. Perché?”. E conclude in questo modo: “Ho detto che, senza prove che dimostrassero l’intenzione, questa accusa di istigazione sarebbe caduta al Senato. In effetti, mentre molti esperti di diritto hanno affermato che questo sarebbe un caso di “istigazione criminale” con “forti basi”, credo che alla fine l’accusa crollerebbe appena si toccherà il terreno della libertà di parola”.

Sul piano strettamente dialettico, al Congresso, le critiche del GOP si concentrano innanzitutto su due provvedimenti adottati da Biden nei primi giorni. Il primo è lo stop all’oleodotto Keystone Pipeline XL (che tra l’altro parte dal Canada) con la perdita di circa 70mila posti di lavoro e con il commento poco riuscito di John Kerry (responsabile dell’ambiente nella nuova Amministrazione Biden) che, rispondendo a chi si lamentava per questa massa di licenziati, argomentava in questo modo: “Avrebbero dovuto scegliere meglio cosa fare e cercare impiego nel campo delle energie rinnovabili”. Il secondo è lo stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita, storico alleato USA nel Golfo e protagonista di primo piano dei famosi accordi di Abramo che hanno portato Israele ad avere relazioni diplomatiche ufficiali con diversi Stati arabi. Il Medio Oriente resta lo scacchiere più critico, anche nel dibattito USA.


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