Dal conformismo di massa al totalitarismo



Giuseppe Ladetto    9 Gennaio 2021       4

“In America, la maggioranza traccia un cerchio formidabile intorno al pensiero. Nell’interno di quei limiti, lo scrittore è libero, ma guai a lui se osa superarli. Non già che egli abbia da temere un autodafé, ma è esposto ad avversioni di ogni genere e a quotidiane persecuzioni. Prima di rendere pubbliche le sue opinioni, egli credeva di avere dei partigiani; ma, dal momento in cui si è scoperto a tutti, gli pare di non averne più, poiché coloro che lo biasimano si esprimono a gran voce, mentre coloro che pensano come lui, senza avere il suo coraggio, tacciono e si allontanano. Egli allora cede, si piega sotto uno sforzo quotidiano e rientra nel silenzio, come se provasse il rimorso di aver detto la verità”.


Sono parole scritte da Alexis de Tocqueville, in La Democrazia in America, pubblicato nel lontano 1835. Le ho già citate in un altro scritto, ma le ripropongo oggi perché sono più che mai attuali. Se infatti già in passato si era manifestata questa sorta di “dittatura della maggioranza” tesa ad escludere dal dibattito pubblico e dalla vita politica chi avesse una visione del mondo diversa dal sentire dei più, è tuttavia oggi che il fenomeno ha assunto una dimensione rilevante e pericolosa. Non riguarda i soli Stati Uniti, dove è nata l'ideologia del "politicamente corretto", perché ormai essa dilaga nell'intero Occidente.


Sul “Corriere della Sera” del 18/8/2020, Angelo Panebianco si è chiesto fino a che punto si spingerà la cancel culture, o cultura della cancellazione della memoria. Questo pensiero sta diventando di massa nelle università anglosassoni, ha forte presa nei Paesi del nord Europa e comincia a farsi avanti anche in casa nostra. Forse presto qualcuno chiederà di abbattere il Colosseo perché luogo di spettacoli sanguinari. Ci troviamo di fronte a un fenomeno di conformismo di massa dai connotati inquietanti.


Ho sentito di giornalisti allontanati, negli Stati Uniti, dal foglio in cui da anni lavoravano per aver espresso critiche alla deriva politicamente corretta in atto, e di un ingegnere informatico di Google licenziato di brutto per aver ipotizzato che a causare il gender gap potessero talora esserci altri fattori oltre alle discriminazioni o alle situazioni di origine sociale. Sono casi isolati?


Danilo Taino ha scritto, sul “Corriere della Sera” del 13/8/2020, che il 62% dei cittadini americani si autocensura spesso quando parla di politica. Persone che temono di offendere, ma soprattutto che hanno paura delle possibili ricadute negative delle proprie idee nei rapporti sociali e lavorativi. Il 32% degli intervistati che hanno un lavoro dipendente dice di temere che le sue opinioni politiche possano portare, se espresse, al licenziamento o comunque arrecargli danno, un timore che riguarda in maggior numero i simpatizzanti repubblicani rispetto a quelli democratici.


Jonathan Friedman, in Politicamente corretto (Edizione Biblioteca di antropologia), presenta un quadro ancora più negativo riguardante i Paesi scandinavi, la Svezia in particolare. Qui, nessuno osa più esprimere concetti o fare affermazioni che non siano in piena linea con l'ideologia impostasi. Anzi molti la hanno introiettata fino al punto di sentirsi in colpa solo a pensare qualche cosa di non allineato (lo dicono degli psicologi a cui talora queste persone ricorrono). Un fatto forse ancor più grave riguarda alcuni settori del mondo scientifico dove è ormai un tabù toccare determinati argomenti sicché viene meno il necessario confronto che è connotato di ogni scienza.


Da noi, non si è certo giunti a tal punto, ma, a dire il vero, talora si nota una eccessiva prudenza su certe tematiche. Sostenere la teoria gender si pone, sul piano scientifico, allo stesso livello del dire che la Terra è piatta. Tuttavia è un argomento da cui i più (parlo di persone competenti) preferiscono svicolare ed evitare di pronunciarsi. Si possono ridicolizzare i no-vax, i terrapiattisti ed altro, ma non criticare i sostenitori della teoria gender. Non è un bel segnale.


Come è nata questa situazione denunciata da Panebianco, e come si è giunti fino a questo punto? Ne ho già parlato in Origini e sviluppi del "politicamente corretto" (CLICCA QUI), ma il giornalista del “Corriere della Sera” affronta il fenomeno in termini più generali ponendo il problema del come sorga il conformismo di massa.


Si forma, ci dice, una minoranza attivissima composta da estremisti, pronta ad aggredire chiunque non si genufletta di fronte al loro credo. Talora, per ragioni complesse e oscure, questa minoranza riesce ad imporsi e si trascina dietro numerosi gruppi di persone. Si afferma così un nuovo conformismo. I nuovi adepti che vanno a formare questa maggioranza conformista appartengono a due tipologie di individui: i camaleonti e i sottomessi.


I camaleonti sposano le idee del giorno, quali che siano, volendo essere sempre in sintonia con ciò che credono lo spirito del tempo. Dice Panebianco che non bisogna considerare stupidi coloro che aderiscono alle mode. Gli esseri umani hanno a cuore se stessi e la cerchia parentale e amicale, e qui si mostrano razionali. Verso ciò che sta al di fuori di questa cerchia, sono disinformati, e per questo raccattano le prime idee circolanti che sembrano loro largamente diffuse. I sottomessi invece non condividono, in cuor loro, le idee conformiste, ma hanno paura di dire come la pensano. Temono di essere disapprovati ed emarginati da coloro che frequentano, per lo più camaleonti o talora convinti sostenitori del nuovo. È questa la condizione di base di tutti i conformismi.


Panebianco ipotizza che conformismi intolleranti possano originarsi a partire da differenti motivi ispiratori. Non solo quindi dai dettami del politicamente corretto, ma, ad esempio, anche dalla continua domanda di sicurezza che caratterizza fasce di opinione collocate a destra. In teoria è vero, ma nella realtà odierna, il fenomeno del conformismo di massa ha preso corpo intorno all'ideologia del politicamente corretto.


Panebianco ritiene che il punto debole dell'edificio conformista stia nei sottomessi perché è possibile che, a fronte di qualche evento eclatante (come quando nella fiaba il bambino grida che il re è nudo), ci sia qualcuno di loro che trovi il coraggio di dire a voce alta di non credere in quelle nuove idee. Scoprirà allora che molti, fino al momento sottomessi, si dichiareranno d'accordo con lui. Inizierà così la rivolta, e, di conseguenza, anche i camaleonti cominceranno a prendere le distanze pensando che lo spirito del tempo si indirizzi altrove.


In questa rappresentazione, c'è una lacuna: manca l'indicazione di dove siano collocati gli addetti all'informazione e tutti quelli (intellettuali, opinionisti ecc.) che si atteggiano a voci libere, tese alla ricerca della verità, a dire come stanno le cose e a informare i cittadini. Se fossero in campo, le cose andrebbero diversamente. Non ci sarebbe bisogno di attendere qualcuno che, in presenza di un evento eclatante, trovi il coraggio di denunciare che il re è nudo. A parte rare ed encomiabili eccezioni, credo che da sempre i più di costoro stiano tra i sottomessi, e facciano il loro lavoro sapendo che cosa il sistema pretende da loro. Theodor Adorno, già negli anni Cinquanta, considerava l'impero dei media un subdolo strumento di manipolazione impiegato dal “sistema” per conservare se stesso e mantenere soggiogati gli individui. La libertà di espressione e di stampa non è tenuta al guinzaglio solo nei Paesi autoritari, in cui il potere esercita una censura amministrativa e perseguita le voci libere. È in pericolo anche nelle liberaldemocrazie nelle quali la censura non è più opera del potere politico, ma dei media stessi. Infatti la voce di chiunque non sia allineato al dominante pensiero neoliberale viene automaticamente esclusa da ogni mezzo di comunicazione di massa. Giornalisti e opinionisti sanno bene che cosa dire e non dire se vogliono continuare ad esercitare il loro mestiere e restare alla ribalta. Al pubblico, viene offerto il teatrino di dispute politiche (più che altro lotte di potere) che non riguardano mai le cose essenziali.


Dice Panebianco che talora, per ragioni complesse e oscure, una minoranza aggressiva e intollerante riesce ad imporsi. Forse, in certe situazioni, si tratterà di ragioni oscure, ma sono chiare le ragioni per cui il conformismo attuale si è affermato con l'aiuto di molti media e il disinteresse degli altri: chi vuole un mondo omologato in cui le logiche di mercato non incontrino ostacoli posti da confini, identità, culture, appartenenze sostiene con tutti gli strumenti che possiede (in primo luogo i media) il politicamente corretto.


Se ci guardiamo attorno, vediamo che, in Italia, la percezione del pericolo rappresentato dall'attuale conformismo di massa è ancora molto scarsa. Certamente non perché siano tutti diventati camaleonti o sottomessi. Ci sono molte persone non ingenue, non pavide e non preoccupate solo di se stesse e della cerchia di coloro con cui hanno rapporti familiari e amicali, persone che tuttavia non colgono il pericolo di deriva totalitaria che una tale situazione porta con sé. Sovente esse sono molto attente alle vicende politiche nazionali, ma non sempre a quanto accade in altre parti del mondo in ambiti non strettamente “politici”. Un fenomeno come quello denunciato (estraneo ai quotidiani conflitti che connotano la lotta politica nazionale) può apparire loro marginale. Ma facciamo attenzione perché, nel nostro Paese, si è già imposta una forma di conformismo di massa come la populistica condanna del ceto politico equiparato a una banda di malfattori o di inetti. Le conseguenze sono evidenti: una crescente lontananza tra cittadini e istituzioni. Tuttavia si tratta di un fenomeno riconducibile a un ambito limitato a fatti nazionali e, tutto sommato, ristretto alla sfera politica propriamente detta.


Oggi, invece, la dimensione del fenomeno denunciato è ormai rilevante, riguarda ampie modalità del nostro modo di vivere, investe l'intero Occidente con comportamenti e manifestazioni ovunque identici e pervasivi, esprime aggressività nei confronti di chi non si adegua ai nuovi dettami, e invoca censure e sanzioni come se la libertà di espressione non riguardasse chi manifesta opinioni opposte a quelle della maggioranza, e perfino tesi che fossero da essa ritenute abbiette.
Così nascono i totalitarismi, non necessariamente sempre sposati a istituzioni esplicitamente autoritarie. Teniamo presente che, fra le grandi utopie negative (le distopie) che hanno disegnato potenziali incubi totalitari, non c'è solo 1984 di George Orwell dove le persone sono soggiogate dal potere del Grande Fratello che tiene ciascuno sotto controllo e perseguita le voci libere. C'è anche Il mondo nuovo di Aldous Huxley in cui gli uomini manipolati, condizionati dai consumi, dalle droghe e corrotti dai facili piaceri non hanno più la percezione di essere ridotti in schiavitù.


Ricordo che Benedetto XVI espresse preoccupazione per il cammino intrapreso dall'odierna società che talora sembra muoversi proprio in quest'ultima direzione, dando corpo a quanto immaginato da Huxley.




4 Commenti

  1. Un altro magistrale saggio adatto per le scuole di politica, da parte di Giuseppe Ladetto che indica quale sia ora, di nuovo come negli Anni Venti del secolo scorso, il compito storico dei Liberi e Forti: scongiurare “il pericolo di deriva totalitaria che una tale situazione porta con sé”, iniziando a sussurrare, ma con fermezza, che il re è nudo.

  2. Non saprei dire meglio quello che penso di come lo ha fatto Giuseppe Davicino nel suo breve ma incisivo commento. Condivido ogni singola parola… eccetto che… Liberi e Forti è una espressione impegnativa. Per il momento consideriamo un bel desiderio e guardiamolo come a una speranza/opportunità, ma non a breve.

  3. Un vivo apprezzamento per lo scritto di Beppe Ladetto, da manuale come osservato da Davicino. Mi permetto una domanda: la fenomenologia così ben descritta non si può applicare anche alla Chiesa? Intendo dire sia nei confini del dibattito intra-ecclesiale che al suo esterno. Considerando però che spesso i due piani si sovrappongono: le questioni che la riguardano sono trattate con sicumera dai media allineati al politicamente corretto, che “dettano la linea”.
    Basti pensare al trattamento selettivo riservato allo stesso Papa Francesco: osannato ed esaltato quando tocca certi tasti, oscurato con fastidio quando ne tocca altri.

  4. Alla domanda dell’amico Franco Campia, rispondo di sì, ricorrendo alle parole di Ernesto Galli della Loggia.
    Sul Corriere della sera del 13 gennaio, lo storico ha scritto che, nel corso degli ultimi due o tre decenni, gigantesche trasformazioni ideologiche e del costume sono avvenute nelle società occidentali, non più dominate dall’etica del lavoro produttivo, ma dalla terziarizzazione e dalla finanza globalizzata. A fronte di tali cambiamenti, i punti di riferimento della morale tradizionale, fra i quali la Chiesa, sono stati investiti da critiche radicali. Questo massiccio mutamento di valori è avvenuto in un dibattito pubblico in cui la voce dei dissenzienti è stata soverchiata, non tanto perché numericamente meno forti, ma perché la controparte ha goduto di una autorevolezza socio-culturale ad essi mancante: intellettuali accreditati, scrittori e giornalisti di fama, il cinema, la televisione, leader sociali, organizzazioni internazionali, si sono sempre tutti schierati dalla parte del cambiamento.
    Non dobbiamo, pertanto, meravigliarci se, nel dibattito in corso nella Chiesa, venga strumentalizzata dai media ogni parola che sembri sostenere il “nuovo”, mentre siano presentate in modo negativo e talora grottesco le posizioni di chi guarda con preoccupazione ai mutamenti. Tutto ciò va a creare ulteriore disagio, distacco e rifiuto in quanti (fra i quali molti credenti) stentano a riconoscersi, o già non si riconoscono più, nella società in cui vivono e nelle comunità di cui fino a ieri avevano fatto parte.

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*