Il lato oscuro dell’America



Giuseppe Ladetto    21 Dicembre 2020       4

Nel corso della recente campagna elettorale statunitense e durante il faticoso conteggio dei voti espressi, abbiamo avuto modo di sentire le opinioni di molti commentatori, intellettuali e politici nostrani, in larga maggioranza esplicitamente schierati a favore dell'uno o l'altro candidato (in prevalenza per Joe Biden). In alcuni casi limitati, è stato possibile ascoltare analisi oggettive da parte di chi conosce molto bene il Paese a stelle e strisce per avervi a lungo soggiornato e lavorato, o perché ne ha fatto e ne fa oggetto di studi accurati. Il quadro emerso da questi contributi si discosta alquanto da ciò che sempre ci viene proposto dai media, e merita di essere preso in considerazione.

La più parte degli europei non riesce a comprendere la realtà americana perché guarda a questo Paese con gli schemi interpretativi utilizzati per il vecchio continente. In particolare gli europei hanno difficoltà a capire la politica americana. In materia, il primo aspetto da tenere presente è che questa normalmente conta assai poco per i comuni cittadini. Molti di loro (in specie in quel midwest che rappresenta l'America profonda) si occupano maggiormente dei fatti locali (come chi possa essere lo sceriffo della propria contea) che degli eventi politici nazionali. Ai comuni cittadini, non interessa tutto quanto riguarda l'estero, a meno che il Paese entri in guerra. In tal caso, saranno patrioti fino a quando il protrarsi della situazione bellica non comporti una eccessiva perdita di vite americane, e allora si faranno sentire per riportare a casa i “ragazzi”. Più attenzione viene indirizzata ai risvolti economici delle politiche presidenziali e alle ricadute su occupazione e retribuzioni, sicché la credibilità dei candidati alla Presidenza su tali temi sovente è la carta vincente nel confronto elettorale.

In Europa, si attribuiscono al Presidente americano molti più poteri di quanti ne abbia realmente. Deve sempre confrontarsi con Camera e Senato, talora dominati dall'opposizione. Nella politica estera, sono gli apparati securitari a condurre il gioco garantendo la continuità delle condotte che hanno assegnato alla nazione la leadership planetaria. Inoltre, su numerose questioni di rilevanza interna, la Corte Suprema pone marcati limiti di azione agli atti dell'esecutivo.

Una caratteristica del Paese è di essere poco normato. A differenza di quanto capita da noi, dove per tutte le cose c'è una legge con divieti o prescrizioni di linee di condotta, in America il numero di leggi è ridotto al minimo. Contano le consuetudini e le tradizioni, che ben pochi politici (a parte Trump) si sentirebbero di violare. Ci sono consuetudini e tradizioni generalmente accettate da tutto il Paese, e consuetudini e tradizioni proprie delle varie comunità in cui si articola la nazione.

L'America è considerata il regno dell'individualismo, ma in realtà è in essa diffuso un notevole senso di appartenenza a singole comunità. In questo Paese, il comunitarismo è più forte di quanto lo sia in Europa. All'interno delle comunità, in particolare nei piccoli centri e nelle campagne, c'è vita sociale, impegno volontaristico e solidarietà fra le persone. Ci sono comunità di vario tipo. Quelle di natura localistica o di semplice vicinanza, quelle sulla base della confessione religiosa e dell'appartenenza alle chiese, quelle connesse al gruppo etnico o nazionale originario della famiglia (irlandesi, italiani, tedeschi, ebrei, ed oggi latino americani e afroamericani), e altre ancora.

L'America è un paese violento. Lo è per la sua storia (pensiamo alla conquista del West, al genocidio della popolazione aborigena, i “pellerossa”, alla lunga permanenza del regime schiavistico), e lo è per necessità. Infatti, spiega Diego Fabbri, a partire da Roma antica, ogni grande potenza, o meglio ogni impero (e l'America lo è), esercita il dominio grazie al continuo uso della violenza esterna. Fare continue guerre o guerricciole serve a mostrare i muscoli, a tenere sotto i dominati e a intimidire i potenziali antagonisti.

Ma un Paese al cui interno alberghi una vita pacifica si priva della carica di aggressività che gli necessita periodicamente riversare all'esterno. A tale fine, è indispensabile l'immigrazione in quanto i giovani immigrati sono una importante fonte di volontari da immettere nelle forze armate e inviare nei teatri di guerra più lontani. Tale via è la scorciatoia per diventare cittadini americani, orgogliosi di esserlo.

È stato detto che normalmente la politica conta poco nelle preoccupazioni degli americani, ma oggi abbiamo visto una rilevante partecipazione al voto e una massiccia mobilitazione dei militanti dei due schieramenti. È il risultato prodotto da un Paese spaccato in due parti contrapposte che si fronteggiano ovunque, sempre più duramente, su una serie di questioni; immigrazione, aborto, conflitti fra i sessi e fra i gruppi etnici, nonché il libero possesso di armi, politiche ambientali, ed altro.

Fratture di tale genere si sono verificate periodicamente, e hanno punteggiato la storia del paese: basti pensare alla Guerra di secessione, una guerra civile sanguinosissima che solo in parte riguardava la schiavitù e la sua abolizione. Nella seconda metà del Novecento, ci sono stati il Sessantotto (nato nelle università americane) e la contestazione della guerra in Vietnam.

Perché oggi c'è questa frattura? Ci sono cause specifiche per le varie questioni, ma, sul piano generale, c'è un malessere di cui ogni parte politica imputa la responsabilità all'avversario. In realtà, a determinare tale malessere, è principalmente il venir meno del sogno americano, a causa della globalizzazione: arresto dell'ascensore sociale; giovani che economicamente e socialmente fanno passi indietro rispetto alle posizioni dei genitori; indebolimento della classe media, impoverimento di numerose fasce sociali, diffusa insicurezza, etc. Si tratta di un fatto importante perché tale sogno è sempre stato fondamentale per tenere insieme un paese molto composito.

C'è, inoltre, la stanchezza per il peso imposto alla nazione dal suo ruolo imperiale: non solo il costo dell'impegno militare e il dover essere presenti in ogni parte del mondo, ma anche i risvolti negativi (sui salari e sull'occupazione) di una bilancia commerciale perennemente in passivo per garantire al Paese le importazioni di tutto quanto richiede il mantenimento della leadership planetaria.

Fino a ieri, la valvola di sfogo, quando la violenza interna aumentava troppo, consisteva nel riversarla fuori del Paese, indirizzandola contro i nemici della Patria, i cattivi che non ne accettano i valori e non si sottomettono ad essa. Ma oggi, proprio per la citata stanchezza, diventa difficile imboccare questa strada.

Il risultato è un Paese frantumato, in cui si afferma una sorta di tribalismo. Mentre le comunità tradizionali sono tenute insieme dalla solidarietà tra le persone che ne fanno parte, le nuove tribù lo sono in base all'odio verso gli altri, e lottano fra di loro sempre più aspramente. Sono il frutto di movimenti che vedono come nemico chi non ne fa parte o non condivide le loro idee. Questo tribalismo è un fenomeno alimentato dalle crescenti richieste di riconoscimento e risarcimento delle più svariate minoranze e dalle reazioni che queste provocano in chi da tali richieste si sente minacciato, il tutto inasprito dalle modalità di comunicazione sui social media che escludono ogni dialogo e ogni seria riflessione.

Quanto riportato potrebbe costituire il lato oscuro dell'America, ancorché alcune cose siano positive come il comunitarismo e la connessa solidarietà tra le persone, il volontariato largamente praticato, o la capacità di mantenersi distanti da quel processo di giuridificazione di ogni aspetto della vita sempre più presente in Europa.

Ovviamente, oltre a quello in ombra, c'è il lato in chiaro, quello positivo, che politici e media del nostro Paese ci presentano come l'unico volto della società americana: la fiducia nei propri mezzi, l'impegno nella realizzazione dei progetti, compresi quelli avveniristici, una mobilità sociale ancora oggi maggiore di quella europea, la capacità di attrarre e fare proprie le menti migliori nei più vari campi, etc. Nessuno può metterlo in dubbio. Del resto se così non fosse, l'America non occuperebbe il posto che attualmente ha nel mondo.

Ora, non è qui il caso di esprimere giudizi nei confronti degli USA, giudizi che in genere finiscono per essere sommari e superficiali, come del resto capita nei riguardi di qualsivoglia nazione.

Bisogna cercare di capire un paese come l'America, sapendo che ogni sua mossa può avere ricadute sulla nostra nazione e sull'Europa. La prima cosa che dovremmo tenere presente è che l'America è molto diversa dall'Europa. Non è un pezzo di Europa emigrato al di là dell'oceano che mantiene con il continente di origine una cultura comune. Come ha scritto Alexis de Tocqueville, i primi colonizzatori del Nord America lasciarono l'Europa non solo fisicamente, ma soprattutto spiritualmente. Nella natura selvaggia, nei grandi spazi, si è formato un popolo nuovo, portatore di una mentalità opposta a quella europea. Un popolo tutto teso verso le nuove frontiere e verso il futuro, che considera il passato un ostacolo di cui sbarazzarsi, e che intravede il male in ogni diversità non riducibile ai propri schemi mentali. Connotati che ancora oggi definiscono il nordamericano, anche dopo gli apporti che hanno fornito le successive ondate migratorie, in larga misura, ma non solo, europee.

Di fronte a ciò, molti politici di casa nostra denotano totale incapacità nel comprendere questo mondo. Ne sono esempi Salvini che porta la mascherina con la scritta Trump per qualificarsi come suo emulo italiano; Meloni che presenta il proprio partito come componente di una famiglia politica che ha come riferimento il partito repubblicano statunitense; i dirigenti e i militanti del PD che, fin dalla scelta del nome del partito, si considerano la sezione italiana del grande partito democratico americano.

Dovrebbe bastare il buon senso per evidenziare l'assurdità di una tale condotta che contraddice ogni regola diplomatica nelle relazioni tra nazioni. Come sarà possibile, per coloro che si comportano in tal modo, avere un rapporto positivo con chi, da loro platealmente avversato, fosse giunto alla guida di un Paese come gli USA che tanto incide sulle vicende del mondo, comprese le nostre?.

Ma c'è di più. Lucio Caracciolo ha scritto che, in base al ragionamento geopolitico, è velleitaria l'idea di creare dei legami tra partiti di differenti Paesi superando la dimensione nazionale: infatti, fra gli Stati, ci possono essere solo alleanze temporanee dettate da motivazioni geopolitiche, mai da affinità ideologica.

Politici e opinionisti dovrebbero guardare oggettivamente alla superpotenza d'oltre Atlantico senza lasciarsi influenzare da simpatie o antipatie ideologiche, valutandone le politiche in rapporto agli interessi del nostro Paese. Certo bisogna essere realisti e tenere conto del grande divario di forze. Questo vale per noi e per la più parte dei Paesi europei. Proprio per questo, la nostra comune priorità di europei dovrebbe essere sempre di più l'unità del nostro continente o di larga parte di esso.

In materia, teniamo conto che l'America può arrivare a condividere, in qualche misura, alcune scelte politiche ed economiche con gli “alleati” (multilateratismo, cosa ben diversa dal multipolarismo), ma non è certo disposta a trattare alla pari con un soggetto unitario europeo con capacità politica, economica e militare a lei uguale.

Quindi il cammino unitario europeo sarà difficile. Oltre a misurarsi con l'avversione americana, gli europei dovranno fare rinunce, e assumere in proprio compiti gravosi fino ad oggi accuratamente evitati. Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera” dell'11 novembre scorso, si è chiesto quanto sia realistica la volontà europea di farsi carico della propria sicurezza, ciò che richiede di affrontarne i costi rinunciando a parte del welfare. Inoltre, osserva Diego Fabbri, un governo non in grado di mandare i suoi militari a morire quando è minacciata la sicurezza del Paese o per qualunque causa rilevante per esso, non può mettere in atto alcuna politica estera: necessariamente deve chinare il capo e fare ciò che esige la potenza dominante. È la situazione di larga parte dei Paesi comunitari, con l'eccezione della Francia: non a caso, Macron è l'unico a parlare di sovranità europea.

Senza un cambio profondo della mentalità della più parte degli europei, per l'Europa non vedo futuro in un mondo destinato inevitabilmente a diventare multipolare.


4 Commenti

  1. Egr. G. Ladetto,
    è assolutamente vero che gli europei non conoscono gli americani, in particolare i politici italiani. Quel che Lei esamina lo posso condividere completamente anche perché da tempo, forse non nel 2021, passo circa una metà dell’anno negli USA. Agli amici che sempre si meravigliavano del successo di Trump dovevo continuamente ribadire che all’elettore americano interessa soprattutto l’andamento dell’economia, quanto può guadagnare a fine mese, che cosa può programmare in acquisti visto che quasi nessuno ha depositi consistenti di dollari sul conto in banca. Certo noi non comprendiamo l’assenza di sicurezza sociale e sanitaria, il porto d’armi al quattordicenne che non può entrare nel bar a bere una birra. Ma proprio queste cose dovrebbero far capire agli europei che sono di fronte a mentalità molto diverse.
    Auguri

  2. Questo di Ladetto è un testo che andrebbe adottato nelle scuole di politica. E le conclusioni dell’articolo dovrebbero costituire oggetto di dibattito politico, se la classe politica attuale fosse, con rarissime eccezioni, all’altezza del suo compito. Proprio da tali conclusioni colgo l’occasione per tre considerazioni: una sulla dialettica fra gli stati, la seconda intorno al tema della sovranità e la terza sull’Europa.

    È verissimo che fra gli Stati conta di più la geopolitica che l’affinità ideologica. Questo, ahinoi, vale anche per le cosiddette famiglie politiche europee. E tuttavia credo vi siano fondate ragioni per ritenere che la divisione in corso negli Usa, una contrapposizione trasversale ai partiti democratico e repubblicano, abbia una dimensione universale. Negli Stati Uniti si assiste alla guerra fra il progetto globalista totalitario e la democrazia, fra la leadership globale americana, e anglosassone, e l’asse sfidante per il potere mondiale, un asse non nuovo composto dalla solita Germania, alleata con la potenza emergente di turno, nel secolo scorso il Giappone, ora la Cina comunista. Tale scontro riguarda tutti i Paesi e attraversa tuttutte le classi sociali e sta emergendo come prevalente rispetto a qualsiasi altra differenza politica in un mondo dove la disuguaglianza è in continua crescita.

    Secondo punto, la sovranità. Il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale si basava sul fatto che per mantenere la pace occorreva una equa limitazione dei nazionalismi. A questo si ispira l’art.11 della nostra Costituzione. Ma si basava anche su un dato implicito, che sopra gli Stati Uniti non vi fosse alcuna altra autorità umana fuorché Dio, cosa che ha permesso agli Stati Uniti di essere per 75 anni garanti, nel bene e nel male e talvolta con errori colossali, dell’ordine mondiale. L’offensiva di Germania e Cina a sostegno del progetto globalista mira proprio a scardinare questo ordine per sostituirlo con il Nuovo Ordine Mondiale nel quale di fatto la sovranità appartiene a ristretti e pressoché segreti circoli esoterici e massonici che stanno al vertice del sistema economico e finanziario mondiale, spalleggiati dalla forza militare cinese e dalla forza economica tedesca. Bisogna prestare molta attenzione a questo punto. Se vogliamo essere credibili nel contrastare il sovranismo non possiamo tollerare che la sovranità venga tolta ai popoli non per esser condivisa con uguale dignità negli organismi internazionali bensì consegnata a pochi centri di potere mondiali che controllano e corrompono le organizzazioni internazionali. L’Oms cinese targato Bill Gates è un tristissimo esempio di come funziona questo sistema di esercizio della sovranità.

    Terzo punto, l’Europa. Qui il mio disaccordo con Ladetto è netto, purtroppo, anche se desidererei tantissimo avesse ragione. Per sfortuna di tutti il cammino d’integrazione europea ha smesso di procedere per i giusti binari in seguito alla riunificazione tedesca. La Germania non ha mostrato gratitudine verso gli Alleati e verso i Paesi cofondatori dell’Europa ed ha scelto, nei fatti, di riallacciare i fili con i suoi tradizionali interessi geopolitici. Si deve constatare, col cuore a pezzi, che il progetto europeo dei padri fondatori è stato ammazzato dalla Germania, quando ha deciso di fare l’Europa a sua misura, tedesca, anziché divenire essa stessa europea, imponendo invece l’ordoliberismo come sistema, causa dell’ingestibile aumento delle divergenze fra Paesi membri. La stessa durezza con cui l’UE per conto di Berlino sta gestendo la Brexit no deal, finirà col ritorcersi contro la Germania, contro l’export tedesco. Il Regno Unito non lo si piega col l’embargo allestito col pretesto del virus mutante. E questo atteggiamento di ritorsione della Germania nei confronti del Regno Unito rischia di generare effetti devastanti sull’intera Europa. La Germania si è presa l’Europa con l’Euro e ora sta tentando la scalata al rango di superpotenza mondiale, adottando l’agenda dell’élite globalista che con il terrorismo mediatico da virus persegue l’instaurazione di una dittatura mondiale sul modello di quella cinese. Ma ci sono ancora gli Stati Uniti che si frappongono, che fanno resistenza.
    Se non dovesse esser fatta piena luce sulla regolarità del voto americano del 2020, cadrebbe anche questo ultimo ostacolo alle ambizioni mondiali della Germania. E in tal caso il 2021 con grande probabilità in Europa diventerà l’anno che segnerà l’inizio di un collasso economico, sociale e democratico senza precedenti con l’avvio di una fase di enorme instabilità fatta di violenze, rivolte e guerre civili potenzialmente in grado di trascinare il mondo in una nuova guerra mondiale. Se cadono gli Stati Uniti, cade il mondo di prosperità, libertà e democrazia sul quale è sorta la Repubblica. Non appena da Washington dovesse arrivare la luce verde al piano globalista di Germania e Cina, e potrebbe succedere già a partire dal prossimo mese, la dittatura terapeutica procederà a un ritmo e a velocità sbalorditiva.
    È già tutto pianificato, il governo canadese ha lasciato trapelare le tappe di questa agenda mondiale relativa al 2021. Esse sono nell’ordine: terza ondata del virus con restrizioni ancora più lunghe e ferree a causa della “mutazione” del virus, sabotaggio della catena di rifornimento alimentare mondiale in modo da portare la fame in Europa, aumento del terrore da virus con il rilascio del covid-21, trasformazione dei “ristori” in reddito di base universale previa rinuncia ad ogni forma di proprietà privata, confisca dei beni dei cittadini, vaccinazione obbligatoria, campi di concentramento per chi rifiuta la vaccinazione. Tutto è programmato per avvenire con una velocità impressionante, sempre che i popoli non si ribellino.
    La Germania, se vincerà la sfida mondiale contro gli Stati Uniti porterà la guerra in Europa per la terza volta. Ma ciò, in quel caso, non avverrà in un imprecisato futuro ma una serie di eventi sconvolgenti rischiano seriamente di iniziare a succedere dal prossimo anno per proseguire almeno fino alla metà di questo decennio. La posta in gioco è altissima, la politica deve disinnescare la questione tedesca prima che essa trascini tutti nella tragedia.

  3. Ottima fotografia degli USA da parte del sempre efficace Ladetto. Catastrofista Davicino che spero abbia esagerato e di molto nei giudizi sulla Germania causa della fine ingloriosa di questa Europa in difficoltà. Comunque due articoli veramente interessanti.

  4. Ringrazio Stefano Bressani del commento che conferma la nostra scarsa comprensione dell’America, e
    ricambio gli auguri di buon Natale.
    Rispondere compiutamente al lungo commento dell’amico Giuseppe Davicino (a cui auguro buon Natale) richiederebbe uno spazio molto ampio. Mi limito pertanto schematicamente ad alcune osservazioni.
    1) Ritengo che, a dominare la scena economica mondiale e a promuovere la globalizzazione, sia ancora oggi quel finanzcapitalismo di origine anglosassone, che ha la mente e il cuore operativo negli Stati Uniti. Non si tratta di una sorta di Spectre, ma di un intreccio di interessi economici, finanziari e politici (interpretati questi ultimi non solo da membri del governo, parlamentari ed esponenti di partito, ma in prima linea da uomini dei servizi, alti burocrati e vertici militari) di cui l’America si fa interprete e sostiene a livello planetario.
    2) Non credo che basti condividere un forte attivo nella bilancia commerciale per fare della Germania e della Cina degli alleati volti a conquistare il mondo. Sul terreno geopolitico, un paese come la Germania, di limitata dimensione a fronte di paesi di estensione quasi continentale, con una popolazione vecchia (il 29% della popolazione ha più di 60 anni) e una natalità molto bassa, non dispone certo né della volontà, né della capacità per una tale impresa, alla cui riuscita non è sufficiente un’economia di successo, anch’essa però destinata a declinare, nell’arco di una generazione, insieme al dato demografico.
    3) Mi è poco chiaro il discorso sulla lotta in corso negli Stati Uniti. Voglio ricordare che quel complesso militare-industriale denunciato dal Presidente Eisenhower come un pericolo per la democrazia ha sempre appoggiato i democratici rispetto ai repubblicani, a partire dalle elezione di Kennedy. Nel corso della presidenza di Trump e nella contesa ultima per la successione, ancora una volta gli apparati securitari (vicini al complesso militare-industriale) hanno spalleggiato i democratici. Ora, malgrado tutte le carenze, le inadeguatezze, le posizioni assurde (come quella in tema ambientale) e una qual certa megalomania, Trump voleva un’America “normale”, forte sì, ma non potenza imperiale presente in ogni angolo del pianeta. In questo scenario contraddittorio, mi riesce pertanto difficile comprendere quale sia l’America favorevole a un globalismo totalitario e quale contro, a sostegno della democrazia e della pace. Quella di Biden non è certo antiglobalista, quanto a Trump, con le sue intemperanze, le sue improvvisazioni e giravolte ed il rifiuto di ogni procedura condivisa, non sembra incarnare l’America di cui Davicino ha nostalgia.
    4) L’Onu potrà anche essere un baluardo antisovranista, ma non è certo uno strumento idoneo a guidare il mondo o a dirimere le vertenze internazionali. Nell’Assemblea generale, un paese come Tuvalu (10.700 abitanti, del quale ben pochi conoscono l’esistenza o l’ubicazione) conta quanto l’India, o l’Indonesia, od altre popolose nazioni. Nel Consiglio di sicurezza, l’unico effettivo organo decisionale, i cosiddetti vincitori della seconda guerra mondiale continuano ad avere un ruolo e poteri incompatibili con il loro peso reale. Non sono i connotati ideali di un organismo rappresentativo o super partes.

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