Il Governo al tempo del Covid



Alessandro Risso    22 Novembre 2020       3

Ora che gran parte d'Italia è da settimane nuovamente alle prese con il forzato confinamento nelle mura domestiche, con la chiusura di negozi bar ristoranti, con le scuole medie inferiori e superiori costrette a rifugiarsi nella didattica a distanza, il dibattito politico si esercita soprattutto sullo scarico di responsabilità da uno scenario che – a parole – tutti volevano assolutamente evitare.

Certo, governare durante una pandemia mondiale che ha innescato una gravissima congiuntura economica innestatasi sull'onda lunga della crisi partita nel 2007, è compito arduo. In nessun Paese del Mondo messo a dura prova dal virus ci sono governanti che spiccano per capacità di prevenzione del contagio, anche se un tedesco ha oggi qualche sicurezza in più rispetto a uno statunitense, per la differenza evidente tra il pragmatismo della Merkel e la superficialità di Trump.

Da noi, Giuseppe Conte e il suo governo si sono affidati ai responsi del CTS, il Comitato tecnico scientifico, e almeno nella prima ondata si sono limitati i danni. Non che gli esperti abbiano brillato per lungimiranza e omogeneità di proposte: le divergenze di opinioni tra virologi non hanno aiutato la politica a prendere decisioni corrette e tempestive. Tutta la macchina della sanità – a partire dalla Regione che si credeva migliore, la Lombardia – ha mostrato impietosamente vistose carenze di programmazione, solo in parte colmate dall'impegno di medici, infermieri e altro personale sanitario al limite dell'eroismo.

Non avendo competenze in campo medico né come manager nella sanità, le osservazioni che seguono riguardano prevalentemente la comunicazione politica, tanto più importante quanto più riferita a temi che, come in questo caso, riguardano la totalità della popolazione. Una sola considerazione di ordine tecnico: prima o poi occorrerà porre fine al numero chiuso alle Facoltà di Medicina, che programmano tanti studenti in entrata quanti medici si prevede servano in uscita. Con il risultato di avere chi non arriva in fondo agli studi, chi ci arriva con tempi lunghi e un po' di benevolenza dei docenti, non così motivato, specialmente per affrontare le specialità più impegnative. “Mancano i medici”, sentiamo dire da troppi anni. E se questa situazione ha fatto gioco per una sanità via via ridimensionata negli anni da continui tagli – che non sono però riusciti a ridurre la spesa – tuttavia mostra drammaticamente la corda di fronte all'epidemia: non avere a disposizione un letto di terapia intensiva per salvare una vita non è come avere una lista d'attesa di 10 mesi per fare una visita oculistica. E dove sono state allestite strutture d'emergenza di terapia intensiva, in diversi casi non sono attive perché manca il personale medico e infermieristico...

Il Governo in carica non può essere imputato di scelte e carenze sedimentate da decenni. Giuseppe Conte non può avere responsabilità se il piano pandemico nazionale era stato rivisto nel 2016 di fatto riproponendo la stesura del 2006. Il Direttore del Ministero della Salute tra 2014 e 2018, Ranieri Guerra, era forse troppo impegnato a inseguire un salto di carriera all'OMS (ne è diventato direttore aggiunto nel 2018) che a redigere un piano accurato di prevenzione per affrontare una pandemia...

Ma il Governo, e il Presidente del Consiglio per primo, anche in quanto front-man sui canali TV a reti unificate, hanno precise responsabilità per il clima di incertezza, paura, sfiducia e rabbia che si è creato un gran parte della popolazione. La comunicazione e i provvedimenti per contenere la diffusione del virus sono stati colpevolmente ambigui e contraddittori.

Vediamone un esempio. Andare al ristorante è pericoloso o no? Se i dati degli esperti dicono di sì, andavano chiusi con decisione. Se invece il distanziamento e le altre precauzioni attuate dai gestori tra giugno e ottobre hanno funzionato, andavano tenuti aperti. Che senso ha obbligare alla chiusura per cena e consentire l'apertura per pranzo? Il Covid-19 ha forse abitudini notturne?

Un secondo esempio. Il monitoraggio dell'AGIS sui circa 2800 spettacoli dal vivo tra metà giugno e inizio ottobre ha certificato un solo contagiato tra i 347.000 spettatori presenti: o sono dati fasulli (ma nessuno lo ha neppure adombrato) oppure il drastico distanziamento in sala, i posti ridotti a meno di un terzo della capienza, percorsi differenziati, entrate e uscite scaglionate, attenta igienizzazione dei locali, tutto questo insieme di precauzioni ha avuto successo. Decisione: cinema e teatri chiusi. Con le chiese – dove si attuano analoghe precauzioni – che invece restano aperte per le funzioni, La fede sarà anche ben più importante dello svago, ma ai fini del contenimento del contagio le situazioni sono le stesse. Però trattate diversamente. La gente non ne capisce il motivo e si dà solo un argomento di polemica agli anticlericali.

Un terzo esempio: abbiamo sentito per giorni e giorni parlare di un peggioramento dei dati epidemiologici in tre Regioni, Lombardia, Piemonte e Campania. Fino a che il governo ha giudicato rosse e rimesso in quarantena le due del nord-ovest, con l'aggiunta della Val d'Aosta. E la Campania? Regione gialla, neppure arancione. Per la gioia dei giovani della movida partenopea ma nello sconforto dei medici e nell'incredulità generale di chi non è riuscito a capire la ratio della scelta, visti i presupposti. Non ha aiutato nella comprensione il presidente regionale De Luca, che prima reclama potere decisionale per le chiusure, poi chiede al governo di prendere decisioni nazionali, quindi con la Campania in zona gialla è sembrato chiedere misure più severe, una volta passata in zona rossa lamenta il danno del lockdown...

La responsabilità si dovrebbe esercitare non solo quando si prevede di ricevere applausi, ma anche quando le decisioni assunte possono creare malcontento e proteste, tanto più forti e giustificate quanto più la comunicazione è debole e contraddittoria.

Se i “governatori” non hanno brillato per linearità, anche il Governo si è mostrato poco lucido nell'affrontare questa seconda ondata della pandemia. Lasciamo perdere la surreale vicenda del commissario della sanità in Calabria, che non fa ridere anche se a raccontarla sembra una barzelletta. La colpa maggiore dell'esecutivo è aver di fatto assecondato il “liberi tutti” da maggio in poi, senza esercitare il doveroso ruolo di informazione e prevenzione sui rischi latenti di contagio. “Tanto gli italiani, e i giovani in particolare, avrebbero fatto di testa loro”, dirà più d'uno. Forse. Ma il ruolo di un governo non è assecondare i desiderata dei cittadini: deve invece attuare ciò che è meglio per il “bene comune”, in questo caso la tutela della salute e il contenimento del contagio. Con messaggi chiari e coerenti: l'uso della mascherina riduce del 95-99% il rischio di contagio (su questo tutti gli esperti concordano) e gli assembramenti favoriscono la trasmissione del virus. La decisione conseguente da prendere, sino alla fine della pandemia dopo l'arrivo del vaccino, era l'obbligo di indossare la mascherina e di distanziamento, vietando gli assembramenti. Quello che gli italiani hanno imparato a fare in primavera. Con le dovute precauzioni, ogni attività sarebbe potuta rimanere aperta.

Certo che se poi in estate le cautele svaniscono, se le discoteche sono il carnaio di sempre – dalla Sardegna del Billionaire a Rimini a Gallipoli –, se il Governo si preoccupa di spendere miliardi per i banchi con le rotelle e non per potenziare il trasporto pubblico locale su cui sono costretti ad accalcarsi studenti e pendolari, non stupiamoci che la seconda ondata, partita dal periodo estivo, si sia diffusa così ampiamente tra la popolazione, rendendo di fatto impossibile i tracciamenti e quindi ogni strategia di contenimento. E siamo ripiombati nel lockdown.

Aspettiamo fiduciosi il vaccino. Ma riflettiamo su questo anno disgraziato e traiamone qualche lezione. Una di queste è che la necessaria, profonda trasformazione di cui ha bisogno il nostro Paese può partire solo da una “operazione verità” sullo stato delle cose: parole chiare e scelte coerenti, la cui logica sia comprensibile da parte di tutti.

Sembra poca cosa, ma sarebbe già una rivoluzione.


3 Commenti

  1. Le contraddizioni evidenziate da Alessandro Risso lasciano ancora più sconcertati, se si pensa al fatto che si sono manifestate anche in molti altri Paesi. Sembra quasi che i governi attuino un copione già scritto. Le prossime scene potrebbero essere: allentamento delle restrizioni a dicembre, terza ondata di covid19 da gennaio con misure ancor più rigide, insorgenza (programmata a livello internazionale) della crisi alimentare (fame e carestie) e introduzione (o release) in primavera di una nuova e più allarmante variante del virus, il covid21. Solo un evento dirompente a livello internazionale (da cui probabilmente non si è lontani) potrebbe fermare quello che sempre più assomiglia a un colpo di stato globale allo scopo di resettare l’economia, facendo apparire le attività autonome e la classe media, e di ridisegnare le società in senso autoritario, a Costituzione immutata ma sotto la spinta di misure emergenziali, secondo il modello della dittatura cinese e dell’uso per scopi totalitari delle tecnologie digitali.
    Anche per queste ragioni si può ritenere che la prospettiva che abbiamo davanti non sia quella dello schema: restrizioni- vaccino- sconfitta del virus-ripresa economica- ritorno alla normalità. Verosimilmente il prossimo lustro 2021-2025 sarà un periodo ad alta densità di sconvolgimenti di varia natura, economica, sociale, politica e militare. Saranno gli anni dello scontro totale tra i fautori del Nuovo Ordine Mondiale per l’instaurazione di una dittatura globale terapeutica e digitale, con tecniche che le consentono di superare in ferocia e tirannia le grandi dittature del Novecento, e le forze democratiche a difesa della libertà e della democrazia.
    Ci attendono anni molto difficili, di grandi prove e sofferenze causate dalla malvagità estrema di quel progetto di dominio (“Dominion”…) che vediamo svilupparsi attorno a noi.
    Ma non si può nutrire il minimo dubbio su due cose: che in questa ora buia il nostro impegno e il nostro sacrificio deve tendere ad assomigliare a quello attuato per la liberazione dal nazifascismo. E che alla fine i valori della libertà vinceranno e il mondo, dopo molte devastazioni, conoscerà una nuova era di pace e di una prosperità partecipata con giustizia a tutti.

  2. A proposito di numero chiuso a medicina, oggi 22 novembre su “Specchio dei Tempi” (LA STAMPA) uno studente in medicina (almeno così si firma) afferma che il problema non è il numero chiuso a medicina ma il numero chiuso nelle scuole di specializzazione che sono poi quelle che permettono l’accesso al lavoro ospedaliero.
    Per altro la chiusura dei negozi nelle zone rosse è una presa per i fondelli: di fatto sono ben pochi quelli hanno dovuto chiudere (e anche quelli che han dovuto chiudere hanno escogitato l’escamotage della vendita per asporto.
    Infine il Governo avrà tutte le colpe di questo mondo per non aver contrastato il “liberi tutti” da maggio a settembre: poteva sicuramente impiegare le Forze dell’Ordine di cui dispone direttamente (Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato) ma una grande responsabilità è soprattutto delle Amministrazioni Comunali che, attraverso la Polizia Municipale, dovevano essere molto molto più attive e presenti nello scoraggiare, prima con le buone poi con le cattive maniere, tutti i comportamenti scorretti. E’ inutile imporre divieti su divieti se poi nessuno, o quasi, controlla se le regole vengono rispettate. E qui il discorso si farebbe ancora più lungo perché gran parte dell’inciviltà oggi esistente è frutto proprio dalla mancata presenza della Polizia Municipale nella vita delle Città (sarà che io ho i capelli bianchi e quando ero piccolo la Polizia Municipale si chiamava semplicemente Vigili Urbani ma bastava la presenza anche in lontananza di un paio di “civich” per fare rigare diritti e rispettare le regole, anche le più banali, della civile convivenza).

  3. Egr. A. Risso, condivido pienamente la sua conclusione. Il linguaggio politico, ormai un gergo, usando le parole comuni mente spudoratamente, una menzogna capitale che si esplica sul linguaggio, alterandone l’interpretazione. Questo governo parla con un linguaggio nello stesso tempo uguale e totalmente diverso dal comune linguaggio dal quale è completamente discorde nel significato. Zingaretti e soci sono riusciti a proclamare che Conte è un grande nella gestione della pandemia nei confronti di altri. Nella scelta dei politici credo che ormai sia imperativo eliminare coloro che mentono fingendo di dire la verità. Questo soprattutto per i cattolici legati al: si, si: no, no. Non deve più esserci spazio per i cosiddetti cattolici adulti o adulteri o ancor peggio adulterati. Auguri.

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