Il dito e la Luna



Alessandro Risso    24 Agosto 2020       3

L'editoriale del direttore di “Rinascita popolare” sul prossimo referendum che dovrà confermare o bocciare la legge votata a larghissima maggioranza sul taglio del 36% dei parlamentari ha ricevuto anche interessanti commenti a favore del Sì, ai quali viene data qui risposta per alimentare un utile dibattito in vista del voto.

I commenti a un proprio articolo sono sempre molto graditi, sia quelli che si ritrovano nelle tesi sostenute sia quelli che esprimono opinioni diverse. Anzi, ritengo questi ultimi ancora più preziosi perché è nel contraddittorio che si misurano, si affinano e si fortificano le proprie idee.

Quindi ringrazio in modo particolare gli amici intervenuti con proprie osservazioni all'ultimo editoriale sul Referendum, la vera posta in gioco esprimendosi per il Sì al taglio dei parlamentari.

Devo però far notare che non sono arrivate osservazioni critiche all'analisi storico-politica e alla sostanza della questione posta nell'articolo. Tutti i sostenitori del Sì si sono fermati a osservazioni sul numero. Cioè sul falso problema, per cui nessuno fa questioni di principio.

Parlando di numeri, non so se la riduzione da 915 a 600 eletti potrà “aiutare l'efficienza tecnica del Parlamento”, cosa di cui è convinto Giuseppe Ecca. Potrebbe anche essere. Di certo non influirà per nulla sulla selezione dei “nominati”, che le liste bloccate lasciano nelle mani dei capi partito che premiano fedeltà e servilismo. Il problema è qui, la decadenza del Parlamento, che diventa argomento forte nelle mani di chi vuole passare dalla democrazia rappresentativa modellata dalla Costituzione a forme di democrazia diretta e/o oligarchica: la “democratura” che paventa Guido Bodrato come salto nel buio e che ha nel taglio dei parlamentari un tassello funzionale.

Sempre a proposito di numeri, a Vincenzo Misitano vorrei solo segnalare che in Francia ai 577 deputati vanno aggiunti i 346 senatori “eletti dagli eletti” (che rappresentano anch'essi la nazione e costano egualmente al contribuente d'oltralpe); allo stesso modo in Germania occorre aggiungere i 69 membri del Bundesrat. Mentre nel Regno Unito bisognerebbe tenere conto anche della Camera dei Lord con i suoi 770 membri, che si aggiungono a quelli della Camera dei Comuni. Un più preciso raffronto con gli altri Paese europei è stato fatto dal Centro Studi Livatino nella sua scheda critica da noi pubblicata e alla quale rimando. Con il taglio di oltre un terzo dei parlamentari diventeremo il Paese europeo che ne ha meno in rapporto alla popolazione, al pari della Germania. Ci può stare, anche se – come ho scritto – ritengo in teoria “preferibile una rappresentanza più diffusa (meglio un deputato ogni 100mila abitanti che uno ogni 150mila, come sarebbe se vincesse il Sì)”, per un più stretto collegamento con i territori. Un rapporto che si è perso perché è più utile fare anticamera nei palazzi del potere che mantenere i contatti con gli elettori. Ma non per questo le regole, e i numeri, devono essere modellati sul peggio. Perché se ci rassegniamo ai nominati, e al conseguente Parlamento svilito, il loro numero può benissimo venire azzerato.

Non ho nulla da obiettare a Filippo Arpaia che ritiene i 57 milioni annui di risparmio un segnale non disprezzabile (a meno che non aumentino poi i costi del personale tecnico delle Camere, come teme il Centro Livatino). Non a caso non ho mai accennato a questo argomento, enfatizzato dai Cinquestelle e minimizzato (si tratterebbe di un risparmio dello 0,007% sul bilancio annuo dello Stato) dai contrari al taglio. Nella mia memoria storica ci sono il cappotto che De Gasperi chiese in prestito ad Attilio Piccioni per recarsi negli Stati Uniti e la richiesta di Luigi Einaudi, in una cena al Quirinale, di dividere una pera con un altro commensale perché mezzo frutto non andasse sprecato. Ogni euro pubblico deve essere speso al meglio, e ogni risparmio intelligente va visto con favore. Ricordando sempre che la democrazia ha dei costi di funzionamento di cui dittature e ricche oligarchie possono fare a meno.

Dove invece contesto radicalmente Arpaia è nel suo ricorso alla saggezza popolare: voto per “pochi ma buoni”. Buoni dove, se nominati dal capo? Dalle liste saranno esclusi i meno preparati o i meno allineati? E invece ha involontariamente ragione quando aggiunge “e più facilmente controllabili”: certo, controllabili dal capo partito o dalla Casaleggio di turno.

È il sistema malato che va cambiato, con una legge elettorale che restituisca il pieno potere di scelta dei parlamentari ai cittadini: proporzionale con preferenze. Il numero dei parlamentari non influisce sulla malattia, e il loro taglio porta purtroppo solo acqua al mulino del populismo e della destra antidemocratica.

Mancano ancora più di tre settimane al voto. Il risultato pare scontato a favore del Sì. Ma continueremo nel nostro piccolo a proporre le buone ragioni del NO, con la speranza che, ragionandovi con calma, sempre più lettori (e sempre più italiani) non si limitino a fissarsi sul dito (il numero dei parlamentari) ma passino a riflettere sulla Luna (il futuro della nostra democrazia rappresentativa).


3 Commenti

  1. Voterò Si al Referendum confermativo per alcune ragioni politiche e costituzionali.
    Inizio con quelle politiche che non sono legate alla contingenza politica ma ad una ragione di fondo. Questa è una delle riforme costituzionali che hanno visto favorevole un larghissimo spettro parlamentare bipartisan, Centrosinistra quasi tutto alla fine, Centrodestra e i 5 Stelle, nuova forza politica ma maggioritaria in Parlamento e tuttora presente nel Paese anche se con peso ridotto. Le altre riforme condivise sono state l’abolizione della pena di morte in tempi di guerra e poco altro, io lo considero un fatto positivo, le riforme costituzionali dovrebbero essere tutte approvate con questa larghissima maggioranza, come elettore voglio condividere questo metodo.
    Non credo che la riduzione del numero dei parlamentari significhi la fine della democrazia rappresentativa o un grave vulnus di questa. Le prerogative parlamentari non sono toccate, le immunità neanche, certo i regolamenti parlamentari dovranno essere adeguati ma questo è successo tante volte anche senza riforme costituzionali. Non è toccato il bicameralismo perfetto, la nomina del Governo, gli equilibri complessivi.
    Se ci sono problemi innegabili con un sistema maggioritario a rendere conto della complessità e pluralità del Paese, esistono e permangono con il numero attuale e futuro di parlamentari.
    Prima dell’attuale numero i deputati erano 573 eppure le Commissioni funzionavano ugualmente. Allora però non esistevano 21 Consigli Regionali con larghe potestà legislativa e non esisteva il Parlamento Europeo elettivo che fornisce il quadro entro cui agiscono i parlamentari nazionali che da tempo non concentrano più tutte le competenze. Esistono invece sempre 80 parlamentari in pratica a part-time: ministri, viceministri, sottosegretari che sono anche parlamentari e controllano loro stessi oltre ad essere particolarmente assenti in aula. Un problema sollevato da costituzionalisti come Ruffilli e solo la Dc alla fine della cosiddetta Prima Repubblica volle introdurre l’incompatibilità fra incarico di Governo e incarico parlamentare ma per una brevissima stagione che pure portò alle dimissioni di big come Emilio Colombo da deputato dopo quarant’anni di elezioni ininterrotte.
    Il problema non è il costo e non può esserlo ma il problema è l’assenteismo elevatissimo a fronte di una presenza ridondante nei dibattiti Tv. Qualche rimedio si doveva porre: l’alternativa poteva essere una tagliola automatica del mandato a fronte del superamento di un tetto di assenze, una riforma draconiana e severa che però non è nelle corde di eletti e partiti, per cui proviamo con la riduzione del numero dei parlamentari se può servire, lo spero ma non ho certezze e dogmi, a rendere i parlamentari più seri, impegnati e presenti.

  2. Qualcuno. dice che forse i SI prevarranno. Staremo a vedere! Una considerazione va fatta: stranamente i No prevalgono da parte di quasi tutti . coloro i quali vengono definiti “addetti ai lavori”.: parlamentari politici regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali. di enti, consorzi, ecc. ecc. ecc., di giornalisti, grand commis, ecc.ecc. Tutti questi signori suonano grancassa dei “media” di cui hanno il controllo diretto o indiretto. Il popolo “bue e ignorante” sta zitto e subisce in silenzio questo frastuono ma medita o spera in una “vendetta” , a prescindere. Questo è un Paese dove sotto il falso ideale della democrazia diffusa è stata creata una immensa industria che produce chiacchiere spacciate per esercizio del pensiero del popolo. Il risultato: INGOVERNABILITA’ IMMOBILITA’ e POVERTA’. Sfoltire e tagliare si deve. Questo referendum è un buon inizio e mi sembra l’unica iniziativa buona messa in campo finora dai 5 stelle.

  3. Solo una battuta su un tabù… Credo che i Padri costituenti abbiano peccato di ottimismo non costituzionalizzando il “proporzionale con preferenze”… ma questo non basta a rappresentare realmente ed efficacemente la pluralità del pensiero degli elettori.
    Perché mai non “rinunciamo” al voto di lista? Perché non riconduciamo i partiti al ruolo costituzionale di organi di confronto e produzione di idee e ci limitiamo ad eleggere persone, senza vincoli di lista?
    Oppure, ritornando al “vecchio” sistema elettorale per i Comuni sino a 5000 abitanti, perché non si può usare il “panachage”, cioè dare preferenze anche a candidati che non votiamo anche come lista, ma indichiamo così sia la maggioranza potenziale e la nostra scelta sulla minoranza?
    Perché mai queste logiche e soluzioni sono tabù?

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