La sfida dell’Unione all’Italia



Guido Bodrato    25 Luglio 2020       2

Un Consiglio europeo durato quattro giorni, che tutti considerano di importanza storica, poiché doveva definire una strategia capace di rilanciare un’economia messa in ginocchio dall’emergenza Covid, rischia di essere archiviato, dai media, dopo appena quarantotto ore.

Dobbiamo riflettere sul destino dell’Unione europea, ma anche sul futuro del nostro Paese.

Ho suggerito di ripensare a queste questioni, partendo da questa scaletta.

1. Qualche riflessione sul Vecchio continente, dopo la fine della “guerra civile europea”. Negli anni ’50 Henri Spaak, che ha affiancato i Padri dell’Europa, diceva con ironia che il principale sostegno ai federalisti che sognavano la Commissione europea era venuto dall’URSS, dalla minaccia di un’invasione dell’Armata Rossa. Oggi si potrebbe dire che siamo uniti dalla sfida della globalizzazione, dalle minacce di Putin, Trump, Xi… Senza Unione non siamo nulla. L’unica sovranità, se così vogliamo chiamarla, è quella europea: uniti nella diversità.

2. Il Consiglio europeo assegna il potere di decidere ai governi nazionali, con diritto di veto; un sistema intergovernativo che privilegia i “sovranisti”. Ecco perché la maratona sui “fondi” ha lasciato ai margini le istituzioni “comunitarie”, Commissione e Parlamento.

3. Al Consiglio di luglio hanno vinto tutti? Un Consiglio a gomitate, più scontri nel nome degli interessi nazionali che confronti pensando a un obiettivo comune…Ha retto alla prova lo storico perno tra Francia e Germania, e ha così favorito Conte nel duello con il leader olandese Rutte. E hanno perso i sovranisti della Vecchia Europa, LePen e Salvini, che avevano puntato sul “tanto peggio...”. Ma il blocco di Visegrad resta una “democratura” che non punta sull'uscita dall’Unione”, ma sul vecchio slogan: marciare divisi per colpire uniti, cioè sulle tensioni sociali che attraversano molti Paesi europei.

4. Negli anni d’oro della Comunità europea, Angela Merkel era una giovane attivista nella Germania dell’Est. Oggi è la più autorevole leader tedesca, presiede l’Unione europea ed è stata la regista del Consiglio. Erede di Helmut Kohl e dello spirito “comunitario”, ultima democristiana... Chi terrà le fila dell’europeismo, dopo?

5. In Italia, giusto applauso del Senato a Conte, il “vincitore”. Tuttavia sarebbe sbagliato ignorare che il Consiglio ha ammonito: con il modello “austerità” che favoriva i più forti e penalizzava i più deboli (la Grecia) deve tramontare anche la tentazione di finanziare il nostro “assistenzialismo” con i risparmi degli altri. Non è questa l’UE “politica” che dobbiamo costruire.

6. Da un “debito comune” dell’UE, l’Italia ha ricevuto più aiuti – per la rinascita – di altri Paesi. Il dibattito sulle “condizioni”, che i sovranisti hanno esasperato, si può sintetizzare in questa riflessione: nei prossimi appuntamenti dovremo dimostrare di aver ridotto le diseguaglianze sociali e di essere diventati più competitivi sui mercati, avendo ridotto un debito pubblico che è una enorme palla al piede. Questa è la sfida politica cui deve rispondere questo governo, e domani la maggioranza che si vuole candidare alla guida del Paese.


2 Commenti

  1. Condivido l’analisi di Bodrato ma debbo sottolineare che le politiche spendaccione ed assistenzialiste sono state portate aventi nel nostro Paese sopratutto e prevalentemente da politici di centro-sinistra.
    Il fardello dell’enorme debito pubblico non ci lascia, come vantaggio, un Paese MODERNO ed EFFICIENTE ma solo classi fortunate o raccomandate che hanno accumulato c/c pingui o ricchezze depositate all’estero. L’attuale governo a trazione 5 stelle, poi, sta concludendo la demenziale politica grillista della “decrescita felice” che ci sta affossando definitivamente e con l’avvallo di chi? A voi la risposta!

  2. Condivido nel complesso i temi sviluppati nell’analisi di Guido Bodrato.

    Una sola osservazione: la decrescita felice è un concetto che sulla carta funzionerebbe benissimo ma che non può funzionare nel modo più assoluto nella pratica politico-sociale.
    Siamo sicuri che un generico “uniti nella diversità”, che non diventa nazione (in questo caso, come per la Svizzera, una specifica “nazione di nazionalità” non annegata però nell’indifferenziata ecumene) e che quindi non genera un animus che fa sentire autenticamente cittadini di un unico stato, di un’unica tradizione culturale ben precisa, i popoli dell’attuale UE, può funzionare nella pratica politico-sociale? La più accreditata sociologia politica lo nega. Infatti ogni legislazione non è che lo specchio di specifiche culture, contrapposte ad altre, cosa che la modernità ha dimenticato molto spesso.

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