Caso Moro: il calcolo politico del PSI



Franco Monaco    13 Luglio 2020       0

Bodrato conosce la mia reazione di sconcerto alle paginate del “Corriere” sul caso Moro che portano la firma di Walter Veltroni. Con Guido, che non sentivo da anni, avevo sfogato il mio disappunto. Al tempo del sequestro Moro non facevo politica, ma partecipai con grande intensità emotiva a quel dramma: lavoravo al fianco di Giuseppe Lazzati, costituente, rettore della Cattolica, sincero amico ed estimatore di Moro, che tuttavia mai nutrì dubbi sulla linea della fermezza. Pur con una indicibile sofferenza.

No, io non ho apprezzato le interviste del “Corriere” ai tre socialisti che, in forme più o meno aperte, sostenevano che i vertici politici e istituzionali tutti – notare: targati DC – sarebbero stati a conoscenza della possibilità di raggiungere i brigatisti che tenevano in ostaggio Moro, solo che non vollero spendersi davvero per la sua liberazione. Scusate se è accusa da poco! Mi sorprendo, anzi, che a tali accuse non si sia reagito con adeguata fermezza da parte di chi ebbe responsabilità decisionali. Tantomeno ho apprezzato che a mettere la firma in calce a quella inchiesta sia non un giornalista qualsiasi, ma una persona come Veltroni che ha avuto alte responsabilità politico-istituzionali.

Come hanno osservato Bodrato e, dopo di lui, Pisanu, persino con troppo garbo, in quelle interviste si è manipolata la realtà e non si è aggiunto niente di nuovo. La sola domanda suscitata da quelle paginate è quale mai sia l’intento di Veltroni. Davvero non mi spiego. Forse quello di prendere le distanze dal vecchio PCI e dalla sua linea della fermezza, nel solco dell’endorsement veltroniano secondo il quale lui non è mai stato comunista?

Non sarò io a negare le tante, troppe pagine oscure di quella tragedia nazionale. Anche io faccio fatica a credere che non vi siano stati interferenze e condizionamenti esterni alle BR. Né tocca a me, che non avevo responsabilità alcuna, difendere i vertici DC di allora – Zaccagnini e i suoi più stretti collaboratori – più o meno esplicitamente accusati di inerzia se non di complicità. Ma trovo l’operazione grossolana, semplicistica (come se la liberazione di Moro fosse cosa facile) e persino infamante per chi si assunse la grave responsabilità di non scendere a patti con i terroristi. In nome di un’etica della responsabilità in capo a uomini dello Stato che, noto, con il tempo, si tende a rappresentare come un alibi pretestuoso e bugiardo. A distanza di tanti anni e alla luce di ciò che è affiorato poi, si può anche rivedere qualche giudizio, si deve di sicuro sostenere che non lo Stato come tale, ma quel concreto Stato e chi lo rappresentava, rivelatisi così inadeguati, per qualità ed efficacia, non furono all’altezza del loro compito e anche a pensare che forse l’esito avrebbe potuto essere diverso. Ma di qui a concludere che tutti sapevano e tuttavia non vollero liberare Moro ne corre.

Bodrato ha chiarito un punto cruciale: del canale aperto con i rapitori rappresentato da Piperno e Pace non è vero che la DC e le autorità istituzionali fossero a conoscenza. Comunque non Zaccagnini e i suoi collaboratori. Lo erano taluni esponenti socialisti che oggi lo rivendicano come un merito e si spingono sino a imputare ad altri la colpa di non essersene avvalsi. Per parte mia, all’opposto, non giudico affatto come un merito l’avere intrattenuto relazioni tanto pericolose con l’acquario torbido nel quale nuotavano i pesci del terrorismo. Costoro dovevano cooperare allora, con trasparenza e senza secondi fini, con le autorità per stanare i rapitori e non muovere ora ad altri accuse tanto infamanti quanto indimostrate. Tali comportamenti al limite della provocazione semmai mi confermano in una convinzione: che, a fronte di chi sosteneva con limpida coscienza la linea della trattativa (salvo una massima indeterminatezza circa le sue concrete concessioni), vi fossero altri che erano mossi da ragioni politiche non altrettanto innocenti. Diciamo non di natura umanitaria.

In breve, non ho cambiato opinione: penso che, allora, in concreto, non si dessero alternative alla linea della fermezza e che un cedimento avrebbe travolto le istituzioni. Oltre che le due forze, DC e PCI, architrave del sistema politico. Per essere più schietto: le pesanti accuse e il polverone sollevato a tanta distanza di tempo dai vari Formica e Signorile semmai mi confermano nell’opinione che al conclamato umanitarismo nel PSI, dentro quella distretta, si associasse un calcolo politico mirato a profittarne per mettere in scacco i due principali partiti schierati sulla linea della fermezza. In coerenza con la strategia craxiana mirata a farsi largo con ogni mezzo tra DC e PCI, rovesciando i rapporti di forza a sinistra. La circostanza che siano trascorsi tanti anni non è una buona ragione perché ex politici e improvvisati giornalisti trattino una materia così incandescente con tale disinvoltura.


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