L’Europa vista da Sassoli



Giorgio Merlo    5 Luglio 2020       0

“L’Europa dopo il Covid, il tempo dell’ideale, il ritorno degli ideali” è il titolo di un convegno organizzato su piattaforma e promosso dalle Fondazioni Donat-Cattin, Goria e Nocentini che si è svolto nei giorni scorsi a Torino. Ovvero dalle realtà culturali e politiche di matrice cattolico/sociale più radicate e rappresentative nel panorama piemontese. Il convegno, che ha registrato un massiccio e significativo ascolto sulla rete, ha visto la presenza di padre Francesco Occhetta, Claudio Sardo e, soprattutto, l’intervento di David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo.

La nuova Europa, dunque, dopo la terribile pandemia che ha sconvolto non solo le nostre abitudini, i nostri modelli di vita e le nostre tradizionali modalità di presenze nella società contemporanea ma che anche, e soprattutto, ha dettato le nuove priorità politiche della nostra agenda. A cominciare, appunto dalla nuova e futura Europa. E, su questo versante, l’intervento di Sassoli è stato quanto mai significativo e pungente. Perché la sfida politica, culturale e sociale per una nuova Europa dopo la pandemia non può non tenere presente un dato di fondo.

E cioè, che siamo quantomai esposti al vento della globalizzazione e dei fenomeni globali. E l’ultima drammatica vicenda sanitaria lo ha, questa volta, platealmente confermato. Certo, gli ultimi passi politici che l’Europa ha compiuto hanno fatto intravedere una significativa inversione di rotta rispetto ad un passato anche solo recente. È maturata una nuova assunzione di responsabilità che non si limita più ad una sola politica di redistribuzione o ad una presa d’atto dell’egemonia tedesca.

È intervenuta, come ha sottolineato Sassoli, una profonda diversità nel “pensare europeo”. Un rinnovato europeismo che non va confuso, come ovvio, con la certificazione dell’esaurimento delle esperienze nazionali ma che richiede, al contempo, una “profonda riforma del sistema democratico europeo” per garantire maggiore funzionalità e per rendere le istituzioni europee più vicine ai cittadini e alle loro esigenze. Sotto questo versante, Sassoli ha insistito sulla necessità di avere “partiti europei” dove può emergere, in tutta la sua potenzialità e modernità, anche la cultura cattolico democratica. E questo anche perché “l’europeismo non è una ideologia”.

Ma per centrare questo obiettivo è indispensabile avere una “classe dirigente formata e consapevole del suo ruolo”. Una classe dirigente che non potrà più essere il frutto di un “processo verticale” dominato dalla cooptazione e dalla chiamata dall’alto. Al contrario, dice Sassoli, va favorito un “sistema politico orizzontale” capace di mettere in relazione la democrazia con la dimensione concreta della vita dei cittadini. Insomma, va riscoperta la partecipazione popolare perché le “classi dirigenti non possono nascere in laboratorio ma devono essere in grado di dare risposte alle domande della vita”.

Ecco perché, forse, siamo alla vigilia di una nuova fase storica, dove l’Europa può e deve giocare un ruolo politico decisivo. E dove, come ha detto giustamente il presidente Sassoli, “ancora una volta la tradizione, i valori e il progetto dei cattolici democratici e popolari potranno essere nuovamente decisivi per dare una rinnovata cornice politica, sociale e culturale al vecchio continente”.


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