ANM: il polpo e la murena



    21 Giugno 2020       2

Sembra che il polpo, costretto ad avere a che fare con la murena, finisca per offrire al suo cacciatore per eccellenza uno dei suoi otto tentacoli pur di aver salva la vita. È un po’ l’immagine che sollecita l’Associazione Nazionale Magistrati con la decisione di espellere dai propri ranghi di Luca Palamara e dare così in pasto all’opinione pubblica il colpevole per antonomasia.

Palamara è stato una vera e propria meteora nel panorama giudiziario della Giustizia italiana. Il più giovane presidente dell’Associazione dei magistrati, il primo ad esserne cacciato a soli 51 anni di età.

Quello che colpisce è la sua insistenza a sostenere che il problema non sono i suoi comportamenti, bensì un intero sistema. Giunge a dire che proprio chi l’ha espulso dall’ANM era in combutta con lui. Se questo è vero, ci troviamo di fronte ai componenti dell’importante associazione dei magistrati che fanno come il polpo. Si perde un tentacolo con la speranza che la murena si accontenti.

Noi possiamo accontentarci? Certamente no. Ed è l’ora che siano per primi i magistrati a intervenire radicalmente per modificare un andazzo che pone enormi interrogativi sulle loro relazioni con la politica e con gli interessi economici.

Siamo davvero nella condizione di dovere appurare le responsabilità personali di Luca Palamara, ma soprattutto è evidente la necessità di porre mano a un sistema pervaso dalla mentalità e dall’attitudine alla corruzione e alla manipolazione delle carriere.

Questo è davvero inconcepibile per un paese moderno. Porta anche un grave danno ai tanti magistrati, certamente la maggioranza della categoria, che mettono quotidianamente impegno, serietà e competenza a disposizione di tutti i cittadini.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


2 Commenti

  1. Però attenzione a non ripetere meccanicamente frasi che suonano bene: “la maggioranza della categoria che mette quotidianamente tanto impegno e tanto spirito di sacrificio…”. Siamo davvero sicuri?
    E com’è che questa maggioranza “sana” non ha mai trovato il modo di esprimere la propria ripulsa (da cittadini prima ancora che da operatori non marginali dello stato di diritto) nei confronti di una successione impressionante di comportamenti scandalosi? Persecuzioni personali, proclami politici, porte girevoli, uso sfrontato della cd “obbligatorietà dell’azione penale“ e chi più ne ha più ne metta. La maggioranza che fa onestamente (se non “eroicamente”) il suo lavoro quotidiano sta zitta. E perché?
    Il dubbio che si tratti di una corporazione ben compatta nella difesa di una posizione di assoluto privilegio non compatibile con lo stato di diritto e ben consapevole che denunciare con nettezza tali scandali indebolirebbe la struttura della corporazione è più che legittimo.

  2. Alla impressionante serie di comportamenti scandalosi di cui scrive Enrico Seta, merita di essere aggiunto quanto denunciato da Domenico Quirico in “Le toghe e i concorsi della malagiustizia” su La Stampa del 29 giugno scorso: vi è descritta la lunga battaglia di Pierpaolo Berardi con il Ministero di Grazia e Giustizia in relazione all’irregolare conduzione di un concorso per uditori giudiziari del maggio 1992, a cui ha partecipato. Con mille difficoltà, il Berardi ha raccolto, in confronti con Tar, procure, consiglio superiore della magistratura, le prove delle irregolarità avvenute che risultano palesi. Vittorio Sgroja, procuratore generale presso la Corte di Cassazione, a cui ha portato la documentazione, gli ha risposto: “Lei ha ragione, ma io che ci posso fare?”
    Il rifiuto di prendere atto della situazione ed agire di conseguenza da parte dei vari gradi della magistratura e del Csm induce a sospettare che questa modalità di concorso non sia un’eccezione, ma una prassi diffusa.
    Che cosa c’è alla base di tali comportamenti scandalosi?
    Qualunque ente o corpo che risponde solo a se stesso (cioè sia “indipendente”) diventa autoreferenziale, condizione che inevitabilmente porta alla sua decadenza e corruzione.
    Ha scritto Alfredo De Francesco (avvocato cassazionista) che “la magistratura, intesa come corpus, se non dipende da nessuno e se è totalmente autonoma da ogni controllo, in realtà si trasforma e diventa a sua volta un potere politico che può influenzare l’intera attività dello Stato”. Aggiungo che il singolo giudice deve essere indipendente, non la corporazione. E nell’esercizio delle sue funzioni, il singolo giudice deve essere indipendente e non condizionato, direttamente o indirettamente, anche dalle correnti e dai gruppi di potere in cui si suddivide il corpo dei magistrati.
    E’ tempo che in Italia si prendano quelle misure legislative necessarie per ricondurre, come ha scritto Luciano Violante, la magistratura nella fisiologia delle moderne democrazie.

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