Il coronavirus interpella la politica: qualcuno risponde?



Giuseppe Davicino    27 Febbraio 2020       1

Oibò, quanto sembra farsi influenzare questo coronavirus dai diversi contesti geopolitici! L’Italia di “Giuseppi”, il premier gradito a Trump, ma sostenuto dai “filo-tedeschi” Zingaretti e Grillo, lo cerca col lanternino e finisce per trovarlo non a Prato, nella rossa Toscana, dove vive la più grande comunità cinese del Paese e neanche a Roma, dove ogni giorno arrivano circa centomila turisti da ogni parte del mondo, bensì in quel di Codogno, nella bassa lombarda, e poi anche in Veneto, nelle due regioni roccaforte della Lega di quel Michele Geraci, protagonista dell’adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative, la nuova via della seta, che ha suscitato profondo disappunto nell’Amministrazione americana.

Ancor più stupefacente il fatto che non si trovi traccia di infezione del virus cinese, che sta bloccando l’Italia, nella Germania che vanta i maggiori rapporti commerciali con la Cina, e l’aeroporto internazionale, quello di Francoforte, da cui passa il maggior numero di cinesi in arrivo in Europa.

Per un singolare caso il coronavirus non sembra potersi diffondere in quei Paesi, come la Germania, che hanno improntato la loro economia al modello mercantilista, al primato dell’export. Mentre risulta in agguato nell’Italia che soffre la deflazione salariale e quella da debito e che non appena prova a sollevare la testa per chiedere un allentamento dell’austerità che la sta massacrando da un decennio, viene redarguita a suon di aumento dello spread, fenomeno tutt’altro che ingestibile dalle autorità monetarie, se solo ve ne fosse la volontà politica.

Diciamolo in modo esplicito: il clima di eccessivo allarmismo creato dalle istituzioni e dai media in Italia, pur con gli ingentissimi danni che in questi giorni provoca, si sta rivelando (al di là delle intenzioni, forse) un potente moltiplicatore degli effetti nefasti che il coronavirus sta avendo sul mercantilismo che la Germania, per miope sua convenienza, ha imposto agli altri Paesi dell’Eurozona, mettendo in tal modo a rischio la stessa tenuta dell’Unione Europea.

In poche settimane chi puntava alla tempia degli altri la pistola dello spread, si ritrova con la pistola degli effetti economici di una possibile pandemia globale, puntata su di sé, che si aggiunge alle altre crisi (economica, finanziaria, sociale, politica, culturale e identitaria) che il Paese Egemone vede aprirsi al suo interno. In aggiunta Berlino incassa il forte e repentino indebolimento del lato asiatico di quell’alleanza mercantilista che aveva creato con la Cina, con rinate ambizioni di egemonia globale. Già per quanto successo sinora, ma l’epidemia è tutt’altro che domata, la Cina avrà tali e tanti problemi di stabilità finanziaria e sociale, di folate inflazionistiche, di penuria alimentare, di crisi industriali, da dover quantomeno rimandare ad altri tempi la sua ascesa al rango di superpotenza globale.

Con la Cina indebolita, con le elezioni americane che sembrano avviate a proporre una contesa fra due arcinemici (Trump e, ancor più, il democratico Sanders) dell’ordoliberismo del quale la Germania ha infettato l’Unione Europea, la politica non può mettere la testa sotto la sabbia. È inevitabile che si debba scegliere una strategia.

La destra lo ha già fatto, ha scelto il tanto peggio, tanto meglio. Nel vuoto di proposte atte a risollevare il Paese, il centrodestra si limita ad aspettare, incitando, che la maggioranza del Paese sempre più delusa e debilitata dalle politiche austeritarie, gli consegni le chiavi del governo alle prossime elezioni.

Ma lo schieramento alternativo alla destra, quello riformatore, a cominciare dal PD, che intende fare? Continuare a rinunciare a proporre una franca discussione politica sulle prospettive dell’Europa, sulla adeguatezza degli attuali vincoli economici in un contesto segnato dal declino delle esportazioni e da venti di crisi economica e finanziaria, ridurrebbe il ruolo di chi governa l’Italia a poco più di quello di un curatore fallimentare.

È il momento di “azioni forti”, come sostiene il direttore di “Rinascita popolare”, di avanzare “idee ricostruttive” come seppero fare i cattolici democratici, proprio negli anni in cui un altro progetto egemonico tedesco stava andando in frantumi.

Non si può più fingere di non vedere che l’Europa così com’è appare non più a lungo sostenibile. Per evitare che si sfaldi del tutto occorre procedere con decisione sulla via di una completa Unione economica e politica in tempi certi e ravvicinati. L’austerità può esser ancora tollerata solo se condizionata a un tale percorso, altrimenti un rigore senza fine spingerà l’Italia nell’inverno dell’ingovernabilità e del caos.

L’Unione Europea, se vuole stare al passo con i tempi, deve disintossicarsi al più presto dalle tossine dell’ordoliberismo, del mercantilismo, del monetarismo, degli abusi e degli squilibri nel commercio mondiale, delle delocalizzazioni selvagge.
Queste sono le questioni che gli effetti del coronavirus sembrano porre alla politica. Nel nostro schieramento, nella nostra area politica e culturale in particolare, quanto si lavora per cercare delle risposte?


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