Ci sono piccoli comuni, delle aree montane e rurali, nel nostro Paese (Alpi, Appennino, aree interne di Sicilia e Sardegna) a crescente spopolamento con alti indici di vecchiaia, bassa natalità e fuga dei giovani. Queste comunità si vedono private sempre di più dei servizi essenziali (scuole, uffici postali, esercizi commerciali, ecc.); l’isolamento di queste comunità è anche legato a vie di comunicazione inadeguate con i principali centri.
Questi microterritori possiedono, però, grandi potenzialità sul piano delle risorse – in molti casi “dormienti” – ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, architettoniche. Essi sono custodi di servizi ecosistemici ed ambientali. Le comunità che resistono in questi territori assicurano, soprattutto, la manutenzione del territorio per prevenire il dissesto idrogeologico.
Le comunità “resilienti” si sono date un nuovo strumento operativo di innovazione sociale: le cooperative di comunità (che si autodefiniscono così).
Attraverso di esse “si sviluppa un’attività economica finalizzata al perseguimento dello sviluppo comunitario e della massimizzazione del benessere collettivo (non solo dei soci) e non a quello della massimizzazione del profitto” (Studio di fattibilità per lo sviluppo delle cooperative di comunità realizzato da Confcooperative e Legacoop).
Il loro scopo è arrestare l’impoverimento socio-economico e riuscire a promuovere la comunità stessa. In questo si preserva l’identità italiana che ha il cuore proprio nei borghi.
Una cooperativa di comunità nasce per consentire alle persone di restare sul territorio e renderlo attrattivo rispetto all’esterno. Sono dei laboratori di sviluppo locale nella e per la comunità.
Tra le finalità principali che le cooperative di comunità perseguono potremmo dire che esse sono produttrici di BeS (il benessere sociale) più che di PIL: salvaguardano le comunità e creano di posti di lavoro per i giovani; offrono servizi necessari alle comunità (servizi di welfare, di mobilità leggera, di fruizione dei beni culturali, ecc.); realizzano attività agricole di qualità, producono energia da fonti rinnovabili e recuperano mestieri tradizionali;
e ovviamente valorizzano i luoghi in ambito turistico e ambientale.
La cooperativa di comunità è un modello che può aiutare anche contesti urbani difficili e periferici (un quartiere marginale, una contrada poco accessibile) a riconnettere legami sociali, creare occupazione ed iniziative sociali ed economiche (recuperare un bene abbandonato, ridare vita ad una piazza degradata, recuperare mestieri artigianali in via di estinzione, ecc.).
Ma è prevedibile, nei prossimi anni, soprattutto una nuova vita per i piccoli paesi e comunità grazie a persone alla ricerca di nuove radici, migranti che scelgono di risiedervi stabilmente, “ritornanti” che lasciano grandi città, in Italia o all’estero, per avviare nuove attività nei luoghi di origine.
Quello della cooperativa di comunità è un modello che sfugge alle categorie tradizionali di tratto imprenditoriale o mutualistico ma necessitano di approcci nuovi. Si tratta di cooperative partecipate dagli abitanti dei luoghi e che hanno uno scopo di sostenibilità sociale e ambientale degli stessi.
Si tratta di uno strumento che si sta già diffondendo rapidamente nelle diverse realtà del nostro Paese da Nord a Sud. C’è certamente bisogno di una normativa di carattere nazionale, mentre alcune regioni hanno già legiferato riconoscendo il valore delle cooperative di comunità, seppur con parametri diversi.
Oltre al riconoscimento normativo è però necessario immaginare degli strumenti che promuovano anche sul piano economico-finanziario la nascita di questi soggetti, che potrebbero aiutare a superare i divari civili che caratterizzano le aree interne lungo tutto il Paese.
Sia nell’ambito della Strategia Nazionale aree interne (SNAI) che nel nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei 2021 – 2027 (in cui si prevede una riserva del 5% per le aree interne, destinata ai piccoli Comuni ed alle zone con difficoltà di accesso ai servizi di base) si potrebbero definire degli interventi ad hoc per implementare un sistema di cooperative di comunità. Un ruolo di supporto essenziale potrebbe essere costituito dalle infrastrutture digitali che aiutino i piccoli paesi a non essere più periferici ma centrali.
Questi microterritori possiedono, però, grandi potenzialità sul piano delle risorse – in molti casi “dormienti” – ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, architettoniche. Essi sono custodi di servizi ecosistemici ed ambientali. Le comunità che resistono in questi territori assicurano, soprattutto, la manutenzione del territorio per prevenire il dissesto idrogeologico.
Le comunità “resilienti” si sono date un nuovo strumento operativo di innovazione sociale: le cooperative di comunità (che si autodefiniscono così).
Attraverso di esse “si sviluppa un’attività economica finalizzata al perseguimento dello sviluppo comunitario e della massimizzazione del benessere collettivo (non solo dei soci) e non a quello della massimizzazione del profitto” (Studio di fattibilità per lo sviluppo delle cooperative di comunità realizzato da Confcooperative e Legacoop).
Il loro scopo è arrestare l’impoverimento socio-economico e riuscire a promuovere la comunità stessa. In questo si preserva l’identità italiana che ha il cuore proprio nei borghi.
Una cooperativa di comunità nasce per consentire alle persone di restare sul territorio e renderlo attrattivo rispetto all’esterno. Sono dei laboratori di sviluppo locale nella e per la comunità.
Tra le finalità principali che le cooperative di comunità perseguono potremmo dire che esse sono produttrici di BeS (il benessere sociale) più che di PIL: salvaguardano le comunità e creano di posti di lavoro per i giovani; offrono servizi necessari alle comunità (servizi di welfare, di mobilità leggera, di fruizione dei beni culturali, ecc.); realizzano attività agricole di qualità, producono energia da fonti rinnovabili e recuperano mestieri tradizionali;
e ovviamente valorizzano i luoghi in ambito turistico e ambientale.
La cooperativa di comunità è un modello che può aiutare anche contesti urbani difficili e periferici (un quartiere marginale, una contrada poco accessibile) a riconnettere legami sociali, creare occupazione ed iniziative sociali ed economiche (recuperare un bene abbandonato, ridare vita ad una piazza degradata, recuperare mestieri artigianali in via di estinzione, ecc.).
Ma è prevedibile, nei prossimi anni, soprattutto una nuova vita per i piccoli paesi e comunità grazie a persone alla ricerca di nuove radici, migranti che scelgono di risiedervi stabilmente, “ritornanti” che lasciano grandi città, in Italia o all’estero, per avviare nuove attività nei luoghi di origine.
Quello della cooperativa di comunità è un modello che sfugge alle categorie tradizionali di tratto imprenditoriale o mutualistico ma necessitano di approcci nuovi. Si tratta di cooperative partecipate dagli abitanti dei luoghi e che hanno uno scopo di sostenibilità sociale e ambientale degli stessi.
Si tratta di uno strumento che si sta già diffondendo rapidamente nelle diverse realtà del nostro Paese da Nord a Sud. C’è certamente bisogno di una normativa di carattere nazionale, mentre alcune regioni hanno già legiferato riconoscendo il valore delle cooperative di comunità, seppur con parametri diversi.
Oltre al riconoscimento normativo è però necessario immaginare degli strumenti che promuovano anche sul piano economico-finanziario la nascita di questi soggetti, che potrebbero aiutare a superare i divari civili che caratterizzano le aree interne lungo tutto il Paese.
Sia nell’ambito della Strategia Nazionale aree interne (SNAI) che nel nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei 2021 – 2027 (in cui si prevede una riserva del 5% per le aree interne, destinata ai piccoli Comuni ed alle zone con difficoltà di accesso ai servizi di base) si potrebbero definire degli interventi ad hoc per implementare un sistema di cooperative di comunità. Un ruolo di supporto essenziale potrebbe essere costituito dalle infrastrutture digitali che aiutino i piccoli paesi a non essere più periferici ma centrali.
Il T.U. sul vino ha evidenziato l’ importanza economico-sociale dei vigneti eroici in aree montane che possono mantenere e sviluppare comunità di questo tipo. Ma,come per la famiglia, i vari governi che si sono succeduti, e i futuri, avranno interesse a sostenerli economicamente visto che orientano bacini elettorali minoritari? Credo sia compito di una forza politica di innovatori responsabili stimolare al riguardo, anche perché turisti, parenti, immigrati di ritorno, giovani in cerca di lavoro sostenibili stanno aumentando.