
Oggi, caduti gli ideali, in una società che vive nella sola dimensione del presente, le forze politiche pensano solo alle scadenze elettorali e alla ricerca del consenso immediato. Pertanto risultano incapaci di formulare progetti politici sul medio e lungo periodo come accadeva in un passato non lontano; soprattutto non sono in grado di mobilitare l'opinione pubblica per affrontare le questioni più gravi la cui soluzione esige sempre sacrifici e impegno da parte di tutti.
Per alcuni, di orientamento culturale ritenuto conservatore, ciò accade perché manca nei più un senso collettivo di appartenenza e di destino che aveva la sua premessa nel patriottismo o nella fede religiosa, sentimenti messi in disparte dalla dominante visione neoliberale, ai quali essa non ha saputo sostituire qualche cosa di pari efficacia, che tali non sono i diritti individuali e il cosmopolitismo. Secondo altri, senza le grandi utopie, le grandi fedi, le grandi idee-forza che sorreggono l’azione, si cade inevitabilmente nella situazione attuale di appiattimento su un presente vuoto di aspettative. Ma oggi si dice che le idee-forza e le utopie altro non sarebbero che aspetti di un pensiero ideologico; e le ideologie sono considerate qualche cosa di estremamente negativo. Chiediamoci allora che cosa sia un'ideologia.
Il dizionario enciclopedico Treccani definisce l'ideologia “il complesso sistematico di concetti, principi, ideali che costituisce il fondamento teorico di un movimento culturale, politico, ecc.”. Detto così, sembrerebbe uno strumento importante: consente di collegare e interpretare fenomeni e fatti; su tale base, permette di farsi una visione del mondo e quindi di progettare. È quanto manca oggi e rende le forze politiche incapaci di guardare oltre il proprio naso.
Tuttavia chi considera negativamente le ideologie non attribuisce ad esse questo significato; piuttosto guarda a che cosa sono state nel corso della storia. Ho letto un articolo su L’origine del totalitarismo, l’opera fondamentale di Hannah Arendt, che in argomento è di grande chiarezza.
Le ideologie, dice la Arendt, nascono con il tramontare della tradizione. Nelle società premoderne, la tradizione collegava il presente al passato fornendo strumenti per orientare le scelte e affrontare il futuro. La tradizione era una sorta di ringhiera cui afferrarsi per trovare sicurezza percorrendo il difficile cammino in un mondo di eventi caotici e paurosi. Ma con l’illuminismo, viene cancellata la tradizione, con le credenze e i richiami religiosi, in nome di una ragione che, tuttavia, non riesce a dare certezze e fornire punti cardinali di orientamento. “Ogni passo della sapienza moderna svelle un errore, ma non pianta niuna verità” ha scritto Giacomo Leopardi in polemica con gli illuministi.
Vivere in un mondo privo di riferimenti solidi è estremamente difficile. Per Nietzsche, occorrono superuomini per affrontare la vita in tali condizioni, ma di superuomini non ce ne sono, e quanti credono di esserlo in genere sono pericolosi.
Allora nascono le ideologie. Queste sono costruzioni mentali in cui tutto è perfettamente collocato e connesso. Le ideologie sono capaci di spiegare tutto e di tutto prevedere. L’unico difetto è che sono completamente fuori del mondo reale. Così non servono a dare sicurezza. A tal fine, occorre superare la barriera che le separa dalla realtà. Ma, per fare questo, si cerca di piegare la realtà al disegno ideologico, e si fa violenza al mondo perché si modelli secondo le attese. Nasce così il totalitarismo. Ma, oggi, ci dicono i liberali, i totalitarismi (fascismo, comunismo) sono stati sconfitti e le ideologie sono morte; resta il pericolo rappresentato dai fondamentalismi religiosi e da quello islamico in particolare.
Le religioni, pur non essendo ideologie perché il regno di Dio non è di questo mondo, lo diventano quando si pongono l’obiettivo di realizzarlo in terra, cercando di imporre nelle decisioni collettive soluzioni (sovente irrealistiche) dettate dall'etica dei principi (i propri principi). Certamente a sostegno della più parte delle forze politiche, ci sono sempre valori e riferimenti talora di ordine ideologico o religioso, che tuttavia, nella definizione delle scelte, non devono mai essere assolutizzati. In democrazia e più in generale nella vita politica, le decisioni possono essere solo quelle fondate sull'etica della responsabilità, tese a realizzare il bene comune, in primis nei confronti della comunità di appartenenza.
A differenza di quanto pensano i liberali, i fondamentalismi religiosi non sono le sole ideologie attualmente attive. Ciò che caratterizza negativamente le ideologie è il porsi fuori della realtà e il volere piegare a sé tutto quanto ci circonda. Sicuramente è legittimo volere dei cambiamenti altrimenti saremmo ancora all'epoca paleolitica. Ma dove sta il confine che separa una positiva azione politica dalle forzature ideologiche?
Ciò che, a mio parere, caratterizza tale confine riguarda il riconoscimento di limiti che non devono essere superati: in primo luogo, si deve rispettare l'essere umano nei tratti fondamentali che l'evoluzione naturale e storica ci ha consegnato, e non sconvolgere il creato fino a renderlo irriconoscibile. Pertanto, si configurano come ideologici tutti i fenomeni politici e culturali che rifiutano ogni limite alla loro azione ed alle loro attese e che non sottopongono mai a verifica i risultati del loro agire confrontandosi con la realtà.
Tipico in tal senso è il dominate pensiero neoliberale con i suoi miti: il mercato capace di autoregolarsi; il progresso scientifico e tecnologico in grado di trasformare il mondo e gli esseri umani; la libertà individuale concepita come valore assoluto; la cultura dei diritti svincolata dalla realtà in cui inevitabilmente non tutti e non sempre i diritti possono essere soddisfatti in rapporto alle situazioni, alle risorse disponibili e al numero di chi li invoca.
Di fatto, il mercato e la tecnica invece di essere strumenti al servizio dell’uomo sono diventati i fini stessi cui tutto deve essere sacrificato, poiché la razionalità strumentale non sa proporre altri scopi che non siano la crescita degli strumenti che usa; la libertà appare ormai separata da ogni senso di responsabilità verso la collettività; la natura si ribella ad un utilizzo indiscriminato (modificazioni climatiche, estinzioni di massa, alterazioni ambientali, ecc.).
Se non sapremo uscire per tempo da questa cultura dell'illimitato, del rifiuto dei vincoli e quindi dell'irrealtà, il risultato più prossimo sarà la fine della democrazia sostanziale per lasciar spazio al potere oligarchico dei controllori degli apparati tecnologici. L’esito, un po’ più lontano, sarà l’inevitabile collasso dell’ecosistema planetario.
Stante la definizione che si può leggere sul Treccani, come scrive Ladetto, l’ideologia è la fonte del pensiero operativo, dell’azione. Senza ideologia, cioè senza valori espressi, come si potrà individuare ciò che costituisce il “bene comune”, che non è pre-definito, ma dev’essere definito alla luce dei valori posseduti? Perché mai le ideologie sarebbero “completamente fuori del mondo reale”? Possono anche esserlo, ma non lo sono necessariamente.
Non è forse che la crisi politica attuale dell’Occidente sta nella mancanza della guida di valori nell’operare dei politici? Non sta forse nella diffusa presenza di un approccio liberalistico-individualistico che giustifica qualsiasi misfatto alla luce della “libertà al di sopra di ogni valore”, principio, questo, che non riconosce la presenza di alcun limite alla libertà individuale?
La cultura del limite è, invece, ben presente in varie ideologie, specie in quelle religiose che riconoscono il limite per la persona dall’essere, essa, creata da un Essere Superiore.
analisi accurata e assolutamente condivisibile.