Popolarismo, che fare?



Aldo Novellini    24 Giugno 2019       0

Quale orizzonte per il popolarismo? Come rivitalizzare questa cultura politica, così importante nella storia italiana? Che fare? La famosa domanda di Lenin, alle prese con un progetto politico che solo 15 anni dopo avrebbe avuto compimento con la rivoluzione russa, è anche l'interrogativo che viene posto oggi dal cattolicesimo democratico, di fronte alla difficile fase storica, politica ed economica che stiamo vivendo. Dinanzi alla grande sfida della globalizzazione, allo strapotere di un capitalismo che ormai genera più disuguaglianze che vera ricchezza, c'è da chiedersi se il patrimonio ideale, culturale e politico del popolarismo possa ancora offrire qualche soluzione.

Un incontro, organizzato dall'associazione i Popolari del Piemonte, e significativamente intitolato Come è possibile una nuova stagione dei “liberi e forti”? ha voluto svolgere qualche riflessione in proposito, ascoltando l'ex presidente della provincia di Trento, Lorenzo Dellai, che a metà anni Novanta, diede vita in Trentino alla Margherita, in netto anticipo sulla formazione che, a livello nazionale, nacque solo qualche anno dopo e che, a differenza di quella, ebbe una chiara e forte connotazione cattolico-popolare.

Molteplici sono, almeno sulla carta, le opzioni che si offrono al popolarismo, illustrate da Alessandro Risso, presidente dei Popolari piemontesi, nella sua introduzione: impegno prepolitico o politico; partito identitario o di programma; autonomo o in una coalizione; in un centro moderato; in una nuova Margherita; in una corrente nel PD. Al di là delle possibili declinazioni di questa presenza, la bussola da seguire resta sempre quella di un centro che guarda a sinistra, in una prospettiva di promozione delle classi subalterne per meglio integrarle nella vita politica ed economica del Paese.

Dellai ritiene che la difficile e preoccupante situazione odierna sia il frutto della transizione incompiuta del nostro Paese, a partire da quel momento cruciale che fu la tragedia di Moro. Da allora vi è stato come un vuoto progettuale che si è poi intrecciato con la crisi generale, apertasi tra mercato e democrazia e che ha messo a soqquadro il modello di convivenza tra istituzioni democratiche ed economia capitalista che aveva prodotto, almeno in Europa, un modello sociale avanzato.
Oggi quel modello si è guastato. Quel compromesso si è rotto, a causa di mutamenti epocali indotti dalla globalizzazione che hanno cambiato i connotati della nostra società. La precarietà economica e sociale che ne è seguita ha fatto da brodo di coltura per la spinta sovranista che sta avendo grande presa su ampi strati popolari e su larghi segmenti di ceto medio impoverito.

Il popolarismo può, dunque, essere una via di uscita da questa situazione che sta scassando la nostra vita democratica e mettendo a repentaglio la nostra stessa convivenza civile? Di certo la soluzione non può essere quella di guardare indietro, immaginando, ad esempio, di rifare la DC, frutto di un’epoca storica irripetibile. E allora, non si tratta di scegliere una delle differenti opzioni cui si è accennato ma, per certi versi, di ricomprenderne alcune, lavorando sia nell'ambito prepolitico che sul piano politico.

Occore ricostruire una soggettività politica popolare, ben sapendo, intanto che non è accettabile un'equidistanza tra la destra e la sinistra, perché il popolarismo – lo insegnarono sia Luigi Sturzo sia Alcide De Gasperi – mai può andare a destra, verso la quale esiste una barriera invalicabile. Bisogna invece lavorare per una coalizione democratica dove il popolarismo sia ben riconoscibile e pienamente visibile, con una piattaforma politica compatibile con la sua cultura di riferimento. Non certo una formazione satellite, che nasca da spezzoni fuoriusciti dal PD per farne la cosiddetta gamba moderata del centrosinistra.

Altro che nostalgia di un piatto moderatismo, qui c'è necessità di un'audace spinta riformatrice, dando vigore ad una vera e propria “radicalità popolare”. Di questo deve farsi portatore il popolarismo, non di altro. Il che significa intercettare non tanto il voto dei globalisti o delle classi emergenti, quanto quello degli esclusi, di quei segmenti sociali che sono stati penalizzati dalla globalizzazione. Ed è con questi ceti subalterni che si deve costruire una nuova proposta politica che riscriva il patto tra democrazia e capitalismo. Lì si ritrova il senso stesso del popolarismo, in consonanza con la sua natura più profonda.


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