È un pericolo l’Europa tedesca?



Dialogo tra Davicino e Ladetto    7 Maggio 2019       0

L’ultimo articolo di Giuseppe Ladetto, che vede nell’asse franco-tedesco l’unica via realistica – pur con serie incognite – per proseguire verso la difficile ma necessaria unità politica dell’Europa, ha ricevuto un’ampia risposta da Giuseppe Davicino, che ha ribadito le sue critiche alla Germania: è proprio la Merkel ad aver caratterizzato l’Unione Europea con una austera politica monetaria che ha indebolito l’economia e la stessa idea di Europa. Il professor Ladetto ha poi replicato con altre considerazioni. Per dare risalto a questo interessante dialogo, lo abbiamo portato dai commenti in prima pagina.

 

Giuseppe Davicino

Mentre, giustamente, si discute di come tener viva la tradizione del popolarismo anche dal punto di vista formale, sono articoli come questo di Ladetto, che incarnano e attualizzano tale storia e cultura politica in modo esemplare.
La sua è un’analisi nel merito dei problemi dell’Europa senza sconti per nessuno.
L’ipotesi che egli indica quasi come male minore per dare un futuro all’integrazione europea, quella del motore franco-tedesco, mi pare meriti un’attenta discussione.
Va considerato che tale asse è franco-tedesco solo di nome, ma di fatto è la via sulla quale siamo, tragicamente, incamminati in questo secolo: la via dell’UE tedesca.

Esponenti di primo piano della politica tedesca, come la presidente della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, non lasciano alcun dubbio sul fatto che una Germania determinata ad assumere un ruolo diverso dal passato postbellico negli equilibri continentali, intenda dettare senza condizioni la propria agenda alla Francia, quando propongono a Parigi di rinunciare, senza ricevere alcuna contropartita tedesca, al seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o alla sede di Strasburgo del Parlamento europeo, o al controllo del proprio arsenale atomico.
L’entrata sulla scena del partito di Alternative für Deutschland sta condizionando l’agenda della politica tedesca al punto che, per stessa ammissione di Confindustria, «a Berlino, si parla sempre meno di euro-budget, tassazione europea, ministro delle finanze europeo, unione bancaria, politiche anticicliche», vale a dire, di riformare l’Eurozona nel senso auspicato dall’Italia.
Dunque, la sola via che oggi appare percorribile per creare un’Europa federale, non è in concreto quella franco-tedesca bensì quella che ha nella sola Germania la nazione egemone. Se tale potenza fosse la Francia, o meglio ancora gli Stati Uniti, incontreremmo meno problemi. Ma, per sfortuna nostra, quella tedesca è una potenza impolitica, incapace di includere genti e interessi diversi in un comune progetto di sviluppo. Essa conosce solo le (sue) regole, si fonda sul mercantilismo,che è la negazione della politica, della possibilità della mediazione, essendo le regole dell’epoca prussiana, del terzo Reich e dell’UE e dell’Euro, quelle che fanno grande la Germania e che come tali devono essere accettate da tutti coloro che ne subiscono l’influenza.
Su queste basi non pare esservi alcuna possibilità di successo dell’asse franco-tedesco come guida dell’UE anche senza il Regno Unito. Anzi, a ben vedere l’attuale squilibrio di potenza a favore della Germania sta accelerando l’esplosione delle grandi tensioni interne alla Francia e fra qualche anno non si può escludere che ciò sfoci in una clamorosa uscita della Francia dall’Unione Europea o degeneri in uno stato di permanente conflittualità interna ai limiti della guerra civile.

Per l’Italia procedere con la guida tedesca dell’UE significa in prospettiva regredire a nazione priva di una industria e di funzioni tecnologicamente avanzate, assistere alla completa proletarizzazione del nostro ceto medio per spogliazione di risparmi e proprietà immobiliari, in favore di una concentrazione della ricchezza e del knowhow dalla periferia mediterranea al centro germanico.
Fenomeni che rischiano di far precipitare il nostro Paese nel giro di pochi anni nel caos generale, in un’anarchia generata dal contemporaneo collasso economico e sociale a cui ci stanno portando le politiche economiche e monetarie europee di impronta tedesca.
Ecco perché, per sommi capi, anche la via carolingia all’unificazione europea parrebbe decisamente sconsigliabile.
La via maestra dell’europeismo rimane la politica: messa in comune del debito, un comune sistema fiscale, politiche espansive. Subito, nel primo semestre della nuova Commissione europea, non fra trent’anni. Ma tali cose sono come fumo negli occhi per la Germania. La politica sembra essere fumo negli occhi per la Germania. Per questo l’Italia, come già fatto dal Regno Unito, ha il dovere di guardarsi attorno e di domandarsi, se, ancora una volta dopo settantanove anni dall’entrata in guerra insieme alla Germania nazista, l’unica opzione praticabile, e la più saggia, sia quella di stare sempre e comunque dalla parte della Germania. Oppure se ciò non costituisca la tragica ripetizione di un errore di portata storica, prendendosi la responsabilità di assecondare, anziché impedire, la guida tedesca che sta conducendo l’Europa verso nuovi anni bui di divisioni, di crisi e, Dio non voglia, di rivolte sociali e di guerre civili.

 

Giuseppe Ladetto

Ringrazio gli amici Cicoria e Davicino per gli stimolanti commenti e cerco di dare una risposta, ancorché, sia costretto, per esigenze di brevità, ad essere schematico.
Non condivido la ricostruzione della storia della Germania fatta da Davicino, una ricostruzione che vede una continuità da Bismarck alla Merckel passando per i 13 anni del regime nazista. Anzi il nazismo non sarebbe altro che il necessario approdo della storia del Paese a partire dalla sua fondazione. La risposta ad un commento non è la sede più appropriata per affrontare un argomento così complesso. Mi limito pertanto ad alcune considerazioni.

Se le cose stessero come scrive Davicino, si porrebbero subito degli interrogativi. Che senso ha parlare di unità europea, se il Paese che è al centro del continente per collocazione e dimensione geografica, per peso demografico, economico e tecnologico viene ritenuto marchiato da una tara genetica immodificabile? Che senso e quale possibilità ha un’Unione europea senza la Germania?
Quanto detto da Davicino riflette un’opinione presente in un certo mondo politico e intellettuale ed anche le parole critiche di Cicoria sulla Francia sono condivise da molti commentatori e uomini politici; poi troviamo politici e personalità varie che forniscono di questi Paesi una rappresentazione opposta o comunque molto diversa dai ritratti negativi prima citati. Normale dialettica o confronto di opinioni, dirà qualcuno.
Tuttavia tutto ciò dovrebbe indurci ad una riflessione. Come si può affrontare un matrimonio europeo (obiettivo che condivido) quando si conoscono così poco e così male gli “sposi” ovvero i Paesi che dovrebbero essere coinvolti nel processo unitario? Per trovare un cammino comune e per individuare obiettivi e politiche compatibili con tale processo unitario, occorre conoscere o prendere in considerazione la storia di questi Paesi, la loro cultura, i contesti geopolitici in cui agiscono e i sentimenti (e talora i pregiudizi) delle popolazioni. Non vedo e non sento mai trattare nei media di tali argomenti. Quindi non mi meraviglio che detto cammino non proceda in alcuna direzione.

Un’altra considerazione riguarda la via maestra indicata da Davicino per rivitalizzare l’europeismo e raggiungere il traguardo unitario. Si tratta di misure in larga parte di natura economica, ma, per quanto l’economia sia oggi messa al disopra di ogni cosa, non è essa a dettare direttive in ambito geopolitico, perché alla base delle decisioni dei governi, dei parlamenti (e di quanti li eleggono), ci sono sempre considerazioni di ordine politico a tutela dello status del proprio Paese, degli interessi dei propri cittadini, decisioni sempre condizionate dalla storia della nazione e dagli equilibri di potere internazionali. Ora quale soggetto (nazione, forza politica, classe sociale) sarebbe in condizione di raccogliere il consenso dei principali attori politici per mettere in atto quelle misure economiche ritenute necessarie?
Affrontare queste tematiche è indispensabile per definire un cammino verso l’Europa unificata perché è certo che a tal fine non bastano gli auspici e le esortazioni, e nemmeno il sentimento filoeuropeo dei molti giovani che hanno beneficiato dell’Erasmus. Ci vuole altro.


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