In politica per superare lo statu quo



Carlo Baviera    13 Marzo 2019       0

 

In queste settimane si intensifica, sia a livello nazionale che ai livelli locali, l’interesse e la discussione su una presenza politica cattolico democratica popolare e solidale. La questione è stata in qualche modo anche provocata dalla celebrazione del centenario dell’Appello ai Liberi e Forti e dalla fondazione del Partito Popolare Italiano. Ma quella che può sembrare l’attesa di presenza specifica deriva anche dalla crisi dei partiti cosiddetti pluralisti (o nati per il sistema maggioritario e bipolare) e da quella che appare come l’assenza di una voce che richiami in modo pubblico valori e posizioni che tengono conto del personalismo cristiano e del ruolo dei corpi intermedi come articolazione fondamentale di una società non individualistica ed egoista.

Vorrei affrontare la questione attraverso considerazioni diverse dalle tante lette in questo periodo; dando per scontato, anche da parte mia, due cose: che non esistono le condizioni obiettive e concrete per costruire oggi “il partito che vorremmo”, anche se il bisogno di qualcosa di diverso dall’attuale offerta (vedremo in cosa consisterà il PD targato Zingaretti: se ritorno ad un riaggregarsi delle sinistre, oppure se partito plurale e con un’idea personalistica, delle autonomie, e “interclassista” nel proprio DNA) diventa sempre maggiore, e non ci si può autoemarginare in un “non expedit” del XXI secolo; che non è ancora maturo il collegamento fra le tante esperienze sociali, economiche, culturali, di volontariato le quali costituiscano un nucleo per una proposta originale, che non è ancora definito e completo il progetto e il programma, ma che manca soprattutto una leadership rappresentativa che faccia sintesi di questo patrimonio e lo faccia in modo laico e aconfessionale, senza dimenticare i propri valori di riferimento.

Aggiungo che, pur riconoscendo che vi sono aspetti più ampi e complessi, mi limiterò a trattare l’argomento soltanto, o quasi, dal punto di vista di quello che si è definito storicamente “mondo cattolico”.

Mi rifaccio ad uno scritto di Achille Ardigò nel libro Toniolo: il primato della riforma sociale del 1978. In quelle pagine Ardigò sintetizzava in quattro posizioni (modelli) i modi con cui il mondo cattolico si è espresso nell’animazione dell’ordine temporale dal 1870 al Concilio Vaticano II.

La prima posizione è quella del periodo di Leone XIII: si riconosce uno spazio di autonomia in politica ai laici credenti, ma per le questioni puramente tecniche; per tutte le altre scelte politiche il papato esprime scelte vincolanti (la Gerarchia propone una sorta di Partito Cristiano, senza autonomia, per ripristinare uno Stato cristiano pur se popolare e democratico): siamo negli anni della prima Democrazia Cristiana di Romolo Murri e della nascita delle Settimane sociali.

La seconda posizione è quella del blocco cattolico (esempio il Patto Gentiloni e il supporto al gruppo liberal-moderato per difendere alcuni principi e interessi ecclesiali).

La terza posizione rappresenta, per Ardigò, un’innovazione e si esprime nell’esperienza del Partito Popolare di Sturzo (un partito laico, che non pretende la rappresentanza unitaria dei credenti nell’azione politica, pur dichiarandosi di ispirazione cristiana.

La quarta posizione infine “ha la sua più autorevole e duratura fattispecie storica con la Democrazia Cristiana... È la posizione di un partito che raccoglie la grande maggioranza dei cattolici del Paese” anche se aconfessionale, ma col sostegno della gerarchia e che fa blocco contro i regimi comunisti del dopoguerra.

Aggiunge Ardigò che “siamo portati a concludere affrettatamente che la novità del post-Concilio è nel fluttuare dalla quarta alla terza posizione. E cioè alla tesi del pluralismo nella partecipazione politica dei cattolici, salvi i princìpi (...). Ma anche in rapporto alla terza posizione l’innovazione conciliare comporta elementi di discontinuità (...). Credo che il miglior modo di cogliere l’innovazione conciliare rispetto alla terza posizione sia richiamarci ai 4 punti che Mons. Franceschi ha tracciato al Convegno Ecclesiale su Evangelizzazione e Promozione Umana..: a) coerenza con la fede, b) rapporto con la comunità cristiana come punto di riferimento e di confronto, c) ricerca del bene comune, d) impegno per il superamento dello statu quo senza mai cristallizzare alcuna esperienza storica (...). È proprio dal far crescere la Comunità di Chiesa locale, attorno al Vescovo, come luogo di riferimento e di confronto anche per fini storici di bene comune, che può nascere il superamento della più che secolare separazione tra gerarchia e laici, e anche il crescere dello spazio ecclesiale proprio dei laici, spazio che deve essere tanto maggiormente richiesto ed esteso quanto maggiore sarà la dispersione di opzioni politiche dei laici credenti”.

Quanto auspicava Ardigò, e indicava Mons. Franceschi, non si è verificato nel mondo cattolico. Le cose sono andate in altro modo. E non compete a me spiegare il perché e come si possa oggi recuperare a una proposta solidale e comunitaria chi ha rincorso i “falsi profeti” dell’odierna politica e por fine allo sfilacciamento presente che porta a rincorrere solo chi rassicura di più in termini di sicurezza e di autorità, mostrando un concetto di Patria che riporta indietro anziché aprirci ai concetti di don Milani: “Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.

Allora, per tornare alla questione della presenza pubblica dei credenti, è importante che nella Chiesa si ripensi ai suggerimenti di monsignor Franceschi (formare per allenare alla coerenza con la fede, riprendere un rapporto all’interno della comunità cristiana per un confronto schietto e sereno), e soprattutto allenare al servizio del “bene comune” (se si è credenti, si è al servizio; l’impegno pubblico che ne deriva non è mai solo ed esclusivamente per gli interessi di parte – neanche della Chiesa – ma sempre per un “noi” inclusivo, per tutti e in particolare per chi è indifeso, sia nascituro, sia vecchio e malato, sia migrante).

Ancor più importante l’impegno per il superamento dello statu quo. I credenti, soprattutto se impegnati in politica, devono essere per il cambiamento. Perciò è importante, prima ancora che pensare ad aspetti organizzativi, iniziare a “mostrare – come scriveva il mio amico Edo Patriarca su “Avvenire” del 23 febbraio - la bellezza, la complessità di una cultura politica che si è lasciata sfidare dal tempo, per un Paese più libero nel quale trovare una sintesi tra presenza di uno Stato popolare non accentratore e una società civile fatta di comunità locali libere di organizzarsi al meglio”, a definire un Progetto e un Programma che porti a superare l’attuale cultura individualistica, che ridia sostegno alla maternità e alla natalità, che ripensi il lavoro in termini nuovi e con nuove tutele, che ridisegni il welfare, che ci risintonizzi con il sogno di un’Europa federale e dei popoli, che pensi ad un fisco amico delle famiglie e delle aziende che danno occupazione, produttività, che sono rispettose dell’ambiente, che sappia disegnare un sistema formativo flessibile e il sapere faccia crescere in umanità e fraternità, e così via.

Tutto ciò deve vedere il mondo cattolico all’avanguardia, deve costituire il contributo che si offre a tutta la nazione, deve costituire supporto a quanti – se ne hanno vera vocazione – intendono impegnarsi nelle istituzioni, nell’attività pubblica. Sarà un qualcosa di utile, proprio perché nato dal basso, costruito con il contributo anche degli operatori economici e con chi agisce nella cultura, nell’istruzione, nel sociale.

Tutto il resto (magari anche un nuovo partito) “vi sarà dato in sovrappiù” dice il Vangelo.


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