Uniamo speranza e responsabilità



Lucio D'Ubaldo    10 Dicembre 2018       0

Per continuare il dibattito sulla necessità di una ripresa dell’impegno diretto dei cattolici in politica, pubblichiamo l’editoriale scritto dal neo direttore del periodico “Democratici Cristiani”.

 

La premessa è scontata, fa parte del sentire comune e del dibattito politico generale. Le elezioni del 4 marzo hanno rappresentato una netta cesura. Molti ne parlano come se si trattasse di una rivoluzione, quantunque essa mostri notevoli caratteri di ambiguità e un sottofondo d’inconsistenza morale. In ogni caso, dopo la formazione del governo gialloverde, è saltato lo schema bipolare degli ultimi vent’anni fondato sulla contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani. E con esso è saltato anche il grande motivo di contrasto che ha impedito alle diverse anime del cattolicesimo politico di continuare operosamente a convivere, come era avvenuto nel lungo ciclo della DC.

Oggi torna a sussistere un’istanza di unità, sia pure all’insegna di un desiderio che muove anzitutto dalla consapevolezza di quanto pesi l’attuale stato di frustrazione e impotenza. Prevale, per questo, una voglia di riscatto. Salvo qualche frangia clericale, che copre le pulsioni reazionarie diffuse nella realtà di base della Chiesa, le élite di formazione e orientamento cattolico sociale e popolare non hanno dubbi sulla necessità di una opzione antisovranista e antipopulista.

Sulla carta esistono dunque le condizioni per ricomporre un disegno organico di respiro “democratico e cristiano”, fuori perciò dalle pregiudiziali e dai veti contrapposti del recente passato. Resta semmai il problema di come spostare in avanti, lungo la linea di un discorso radicalmente nuovo, i paletti di questa possibile strategia di rifondazione unitaria. D’altronde nemmeno De Gasperi si acconciò all’idea di riproporre, a seguito della caduta del fascismo, il vecchio Partito popolare. La sua operazione fu più complessa, decisamente più ariosa e dinamica, in sostanza molto più coraggiosa. Ebbe successo per la novità che seppe proporre.

Dunque, si affaccia all’orizzonte uno scenario interessante, benché costellato d’inebitabili difficoltà. Alcune sono di ordine psicologico, volendo ognuno un modello di unità il più possibile aderente alle proprie convinzioni. Abituarsi a un nuovo sentimento di amicizia richiede sforzo e sensibilità. Sostanzialmente a mettere in crisi la speranza di rinascita del popolarismo è l’illusione che una volta superata l’emergenza, ovvero dissolta la nuvola tossica del sovran-populismo, possa riprendere forma il bipolarismo di prima. Invece da questa crisi non si uscirà tornando indietro; anzi, non si uscirà affatto se non a patto di ritrovare nuovamente sul terreno di gioco una forza popolare di centro, capace di ascoltare e capire le domande di una società in cerca di un futuro meno incerto e burrascoso di quanto la globalizzazione assegni da tempo all’Italia e all’Europa.

Inquietudine e smarrimento hanno plastificato la ribellione del Paese, in altri termini hanno prodotto la sua resa improvvisa alla propaganda più esuberante e faziosa, a questa sorta di utopia regressiva, da cui discende la voglia di cullarsi in un sogno improbabile, aggirando maldestramente le sfide della realtà. Contro l’Europa, contro gli immigrati, contro i “numerini” della finanza: tutto si riduce a minaccia e complotto, dimenticando che ogni progetto politico, con i sogni e le ambizioni che ne accompagnano lo svolgimento, non può librarsi nell’aria come un palloncino sfuggito di mano.

Se ha un senso ricordare l’appello ai liberi e forti, a un passo dalle celebrazioni del prossimo anno per il centenario della fondazione del partito di Sturzo, lo ha proprio per questa esigenza di sano realismo che occorre preservare sempre nella durezza della battaglia politica. Unire speranza e responsabilità costituisce il modo migliore per dare nuovo corso alla buona moneta del popolarismo.

Ci riusciremo?

 


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