La Dottrina Sociale, alternativa al liberismo



Aldo Novellini    30 Ottobre 2018       1

Intitolato “Il rischio della libertà”, il convegno svoltosi a Montaldo Torinese, centro collinare della cintura est di Torino, è stato un po' l'anticipazione in sede locale dell'appuntamento nazionale del Festival della Dottrina sociale della Chiesa che si terrà a Verona, dal 22 al 25 novembre prossimi.

Snodo centrale, come emerge già dal titolo, un'ampia riflessione sulla libertà che, oggi, nella nostra società pervasa da un forte individualismo etico, pare senza limiti. All'incontro, promosso dal sindaco Sergio Gaiotti, con una lunga militanza prima nella DC e poi nel PPI torinese, hanno partecipato l'oncologo Dario Fontana, l'economista Daniele Ciravegna e la segretaria confederale CISL Giovanna Ventura.

Punto di partenza il fatto, indiscutibile, che la libertà di ciascuno si intreccia in maniera indissolubile con la responsabilità verso gli altri, in nome del bene comune. Quella del bene comune è la nozione su cui poggia la Dottrina sociale della Chiesa. Un principio che spesso viene confuso con il bene totale che invece è qualcosa di completamente diverso. Questo è infatti additivo, somma cioè le porzioni di benessere di ciascuna persona o gruppo sociale, cosicché può esservi un risultato finale positivo anche in caso venga ad annullarsi un singolo addendo della sommatoria. Tradotto in campo economico, questo significa, come in effetti accade, che il PIL di una società può essere molto elevato pur in presenza di enormi sacche di povertà.

Il bene comune è invece moltiplicativo e, come insegnano le regole della matematica, un esito positivo può aversi solo se nessun membro del prodotto vale zero. In caso contrario, il risultato finale si azzera per tutti. Si tratta quindi di una nozione che tiene conto di ogni persona e di ogni gruppo sociale, poiché il bene, per essere davvero comune, dipende dal benessere di tutti.

Al centro della Dottrina Sociale vi è la persona umana ed è sullo spazio che ad essa viene concesso, che viene misurata la validità etica di qualsiasi sistema economico o politico. Il fine ultimo è infatti lo sviluppo integrale della persona, dando vita ad un vero umanesimo, dove il “buono” prevale sull’“utile”. Un vero rovesciamento rispetto a quanto sostenuto dal liberismo, per il quale l'essere umano, con il suo lavoro, viene ridotto a mero fattore produttivo.


1 Commento

  1. E’ interessante l’analisi del concetto di bene comune della societàe fa riflettere proprio sul cosa sia questo bene comune….credo che non tralasci soprattutto la salvaguardia dei diritti e doveri della persona umana, che sono universali ed inviolabili. Occorre perciò che siano rese accessibili all’uomo tutte le realtà necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto di scegliersi liberamente lo stato di vita e di fondare una famiglia, il diritto all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla conveniente informazione, alla possibilità d’agire secondo la retta norma della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata ed alla giusta libertà anche in materia religiosa. La dottrina sociale della chiesa ha sempre ritenuto di mettere l’uomo davanti a tutto ritenendolo il soggetto principale della vita sociale; una risposta generale potrebbe essere che dato che il bene comune riguarda tutti, dobbiamo occuparcene tutti. Ma una responsabilità particolare spetta all’autorità sia a livello centrale che a livello locale. Questo ruolo dell’autorità non deve però paralizzare le energie dal basso. La tensione a raggiungere il bene comune infatti deve funzionare come stimolo, come un incoraggiamento a incentivare l’iniziativa dell’individuo, della famiglia e dei gruppi o corpi intermedi della società. Le istituzioni hanno il dovere, pertanto a realizzare il bene comune valorizzando e coordinando l’apporto di tutti. Non bisogna dimenticare che nello Stato democratico i rappresentanti della maggioranza della volontà popolare devono cercare di raggiungere il bene di tutti i cittadini, anche di quelli che sono in posizione di minoranza. In altre parole: i cittadini non sono e non devono considerarsi passivi destinatari del bene comune. Inoltre le istituzioni come tali devono riconoscere i cittadini capaci di cooperare al bene comune e devono metterli in grado di esprimere questa capacità.

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