Gli “ismi” che soffocano il sogno europeo



Carlo Baviera    9 Ottobre 2018       3

Le polemiche sul “sovranismo” sono all’ordine del giorno.

Parliamoci chiaro: tutti siamo convinti che la sovranità è dei cittadini e nessuno può arrogarsi il diritto di sostituirsi a loro, per nessun motivo.

Però, al di là degli argomenti filosofici o costituzionali che accampano i nuovi difensori del “popolo indifeso e sfruttato” (nessuno di noi ha dimenticato che è la Costituzione a dire che la sovranità appartiene al popolo e non agli organismi internazionali o alla BCE o agli Organismi internazionali), va detto con nettezza e a voce alta che il sovranismo di questi tempi è stato architettato soprattutto dalle destre estreme o da partiti euroscettici (anche da qualcuno di sinistra, polemico con la moneta unica) perché il tema “tirava”, portava consensi, consentiva senza dirlo di rilanciare il nazionalismo e una visione autarchica.

Quindi l’argomento, ammantato di dichiarazioni sull’importanza della sovranità popolare, è che non si vuole costruire una Patria più grande.

È il sogno europeo di Ventotene disegnato da Rossi, Colorni e Spinelli: «La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo ‘spazio vitale’ territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l'efficienza bellica.[..] Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani.[..] Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. [..]Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie».

È il sogno di Sturzo: la creazione dell’Internazionale popolare andava in quella direzione, ma anche la posizione assunta per una soluzione autonomista della questione basca con il superamento dello Stato-nazione; infatti, come si legge in un libro di G. Campanili, “era sua antica convinzione che una reale democrazia fosse possibile solo dopo il superamento delle rigidezze e delle chiusure dello Stato nazionale di stampo ottocentesco [..] Il dramma del Paese Basco era lo stesso di una coscienza europea [..] e soltanto attraverso il recupero delle sue radici autonomistiche avrebbe potuto ritrovare [..] i valori dell’unità e della diversità”),

È il sogno di Spaak, di Monnet: «Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale...[ciò] presuppone che gli stati d'Europa formino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica».

È il sogno di Churchill: «Come sono andate le cose in Europa mentre noi badavamo ai fatti nostri? Per quanto mi riguarda non ho mai potuto accantonare l'Europa. Mi resta fissa nella mente. Europa. Questo nobile continente, che annovera le più belle e più colte regioni della Terra, e gode di un clima temperato e mite, è la casa di tutte le razze genitrici del mondo occidentale. È la fonte della fede e dell'etica cristiana. È l'origine di gran parte della cultura, delle arti, della filosofia e della scienza dei tempi antichi come di quelli moderni. Se un giorno l'Europa fosse unita nel condividere il proprio comune retaggio, non vi sarebbero limiti alla sua prosperità»

È il sogno di Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman: «La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. [..] L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

Tornando alla questione, certo che la sovranità appartiene al popolo! (che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, e non attraverso le indicazioni di alcun Governo); ma se i popoli decidono (e lo abbiamo deciso decenni fa e ribadito con votazioni per il Parlamento Europeo e anche con Referendum del giugno 1989 per il Conferimento del mandato costituente allo stesso Parlamento europeo) di mettersi insieme e creare uno Stato (o Federazione o Unione o Comunità) più ampio, la sovranità continua ad essere del popolo... il quale sarà popolo europeo.

Anche nel recente Convegno del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale (Milano 29 settembre) su “Europa: radici e futuro per cambiare prospettiva” è risuonato l’invito/sollecitazione del Presidente della Commissione Europea Juncker: “La geopolitica ci insegna che l'ora della sovranità europea è suonata"; e che il cambio di prospettiva è proprio quello di sentirsi e ragionare da cittadini dell’Europa Unita.

Poi se c'è chi vuole le piccole patrie che continuano a essere divise e a combattersi su tutto e non contare nel mondo né politicamente, né culturalmente, né economicamente, né in politica estera e di difesa, né in politiche di cooperazione internazionale e di pace, è un altro discorso. Legittimo, ma da affermarsi con chiarezza. Non trincerandosi dietro il paravento dei discorsi sulla sovranità. Che, ripeto, oggi è una battaglia sbandierata soprattutto dalle destre per riaffermare il nazionalismo (cosa diversa dal patriottismo) e ricreare uno spirito “virile” degli italiani verso altri popoli (“padroni a casa nostra!”).

In quanto all'Europa, resta chiaro che sono e devono essere i popoli e le nazioni a decidere, non gli Stati e i Governi o, peggio, le Agenzie internazionali: quelle hanno compiti diversi e in parte sono delegittimate perché tutelano altri interessi, e non sono democratiche perché votate da nessuno. Sono soltanto strumenti, utili, ma strumenti; e tali devono restare. Anche in questo caso deve cambiare la prospettiva: gli europei si governano da soli e non attraverso le leggi delle Agenzie finanziarie o liberalcapitaliste.

Morale: chi vuole politiche nazionaliste, autoritarie, di chiusura, ecc. sta da una parte. Chi è per la dignità del lavoro, per sostenere coloro che si trovano in condizioni di povertà, per la giustizia internazionale, per l'unione fra i popoli, dall’altra parte. E nel mezzo? In mezzo troviamo chi è per il liberalcapitalismo senza regole. Quello che ha prodotto una lunga e pesante crisi, che ha impoverito, che ha dato voce al populismo e affossato ciò che legava i popoli all’Unione Europea.

Quello che ha fatto percepire ai cittadini l’Europa come una matrigna, snaturandone l’immagine e attenuandone i legami con l’elettorato.


3 Commenti

  1. “Chi vuole politiche nazionaliste, autoritarie, di chiusura, ecc. sta da una parte; chi è per la dignità del lavoro, per sostenere coloro che si trovano in condizioni di povertà, per la giustizia internazionale, per l’unione fra i popoli dall’altra parte” . Le cose sono più complesse di quanto rappresentato e le contrapposizioni non sono così nette.
    Sovranisti-nazionalisti contro federalisti europei, viene detto, ma i sovranisti hanno come principale bersaglio il globalismo. L’attuale UE ha poco in comune con quella dei padri fondatori: a molti, appare solo come una tappa verso la mondializzazione voluta dalla finanza internazionale piuttosto che una costruzione sovrana (a partire dalla politica estera e dalla difesa) con una precisa identità storico-culturale e confini ben tracciati: ad esempio, che cosa c’entra la Turchia con l’Europa?
    Ed ancora, da una parte, chi si occupa dei ceti popolari e dei poveri, dall’altro lato chi guarda alle classi agiate. Ma quanti vogliono un mondo senza confini, in nome dei diritti individuali, del cosmopolitismo e del multiculturalismo, trovano consenso nei piani alti della società; coloro che lo sfidano hanno seguito in quelli bassi. E ciò non accade solo perché questi ultimi verrebbero strumentalizzati.
    Luciano Violante (La Stampa del 25/3/2018) ha affermato: “Oggi, Lega e M5S hanno, talvolta in forma discutibile, parlato al popolo rappresentando interessi specifici delle persone: immigrazione, reddito, tasse. I vecchi partiti hanno puntato sulla rappresentanza per appartenenze…. Lega e M5S sono interclassisti; il PD è diventato prevalentemente il partito della borghesia, più media che piccola. Anche se ha fatto alcune buone politiche sociali, sembra aver puntato più sui diritti di libertà tipicamente borghesi come unioni civili e fine vita. La sinistra è in crisi ovunque. Dopo il 1989, non si è chiesta come difendere l’uguaglianza nel mondo globalizzato. Ha preferito il politicamente corretto all’eticamente giusto. La diseguaglianza viene affrontata dalla destra, pur senza nominarla”.
    Quanto al liberalcapitalismo, che starebbe in mezzo ai fronti contrapposti, in realtà sta con la mondializzazione e con i vertici comunitari attuali.
    In questo contesto (in cui si vorrebbe inserire un’auspicata nuova formazione politica), non è semplice separare il grano dal loglio.

  2. Carlo Baviera pone domande basilari.E non è un caso che lo fa partendo dalla visione dei padri fondatori del processo di integrazione europea. Ma quanto assomiglia a quel progetto iniziale l’Unione Europea? In questo senso arrivo anch’io alle conclusioni di Giuseppe Ladetto, la cui nota condivido punto per punto.
    Giungerei a dire che oggigiorno la condizione per essere davvero europeisti è quella di essere euroscettici, nel senso di critici verso l’UE, ma aperti al progetto di una nuova Casa Comune europea, dall’Atlantico agli Urali. L’Europa e gli ideali europeisti sono più grandi di Bruxelles, e sopravvivranno anche in caso di dissoluzione dell’UE.
    La risposta dei globalisti, delle sinistre e del turbo capitalismo finanziario al disagio della classe media, all’impoverimento dei ceti lavoratori non è la riforma dell’economia, ma l’apertura di un avventuroso fronte di guerra con la Russia.
    L’unità europea, gli Stati Uniti d’Europa sono impediti non dalla crescita dei “populismi”, come comunemente si crede, ma dalle élites tedesche. La Germania non può accettare per ragioni strutturali quelle proposte, come il piano Savona, che di fatto sancirebbero da subito una completa unione economica e monetaria.
    È un aspetto poco noto ma che è stato studiato bene dal prof. Alessandro Mangia dell’Università Cattolica. Egli ha dimostrato che la quota di ricchezza nazionale che va alla fascia più ricca della popolazione tedesca è dieci volte superiore alla quota che va alla corrispondente fascia di ricchi in Italia.
    La società tedesca è dieci volte più diseguale di quella italiana. Per questo la prosperità tedesca si fonda sulla contrazione dei salari, sull’austerità che distrugge le economie concorrenti come l’Italia, sullo “spazio vitale” di sfruttamento dei vicini mitteleuropei.
    La estrema disuguaglianza tedesca è la vera causa della crisi dell’Europa e rischia di trascinarla, non sarebbe la prima volta, in un nuovo immenso conflitto militare. L’UE a comando tedesco è un fattore di destabilizzazione globale da disinnescare il più presto possibile.

  3. Mai come ora il sogno europeo è minacciato dai sovranisti che concepiscono il potere senza alcun corpo intermedio, tanto che contrappongono il popolo (?!), che sarebbe da loro rappresentato, con i tecnocrati europei. Ma loro puntano a cavalcare le peggiori pulsioni della pubblica opinione è non a rappresentare il popolo. Quanto prima è urgente il ritorno della politica. Quella vera. E penso che i cattolici democratici abbiano ancora tanto da dire.

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