Non è un Paese per giovani



Francesco Cancellato    19 Settembre 2018       0

Oggi chiunque abbia meno di cinquant’anni dovrebbe scendere in piazza. Dovrebbe farlo contro Quota 100, la scriteriata idea di Matteo Salvini, e di tutto il governo di cui fa parte, di mandare in pensione la gente a 62 anni più 38 di contributi, senza se e senza ma. Lo dovrebbe fare perché dietro questa idea c’è tutto il cinismo e la demagogia della politica di oggi, e tutto il menefreghismo verso chi, un domani, dovrà pagarne il prezzo.

Domani vuol dire tante cose, peraltro. Ad esempio, vuol dire nella prossima legge finanziaria. Secondo le stime di Tabula, società di ricerca guidata da Stefano Patriarca, la riforma delle pensioni proposta da Salvini già nel 2019 avrebbe un costo di circa 13 miliardi di euro, 9 se contiamo le trattenute fiscali sui nuovi assegni pensionistici, circa 750mila in un colpo solo. Un costo che a regime salirebbe a circa 20 miliardi lordi, pari a 13 miliardi netti, ogni anno.

Domani vuol dire anche coperture, però. Che non abbiamo ancora avuto il piacere di vedere, visto che il condono - pardon, pace - fiscale copertura non è, poiché quel che si raggranella mettendo una pietra sopra ai debiti col fisco di persone e imprese vale solo per un anno e non crediamo Salvini voglia ripristinare la Legge Fornero nel 2020. Più tasse, quindi? Pare di no, perché Salvini le vuole abbassare, e di aumentare l’Iva al 24% non se ne parla. Meno spesa, allora? No, perché c’è il reddito di cittadinanza da finanziare.

Spiacenti, quindi: rimane solo il debito pubblico, già elefantiaco di suo, che ovviamente verrebbe pagato dalle generazioni a venire, a tassi d’interesse da usura, supponiamo, visto l’andazzo. Generazioni che, peraltro, avranno anche il problema non da poco di capire come passare trent'anni senza fare nulla, visto che le culle sono vuote e di nipotini da curare non ce ne sarà granché, non senza quella crescita economica che dipende da investimenti in istruzione, ricerca, innovazione rinviati a babbo morto nel nome di quota 100 e del peso elettorale di 18 milioni di baby boomer nati tra il 1945 e 1964.

E non è ancora finita. Perché il recente rapporto del ministero dell’Economia e Finanze e della Ragioneria di Stato sulle “Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario”, che evidentemente né Salvini né Di Maio si sono premurati di leggere stima che entro il 2040 la spesa per le pensioni salirà, in percentuale del Pil, dal 15,7% al 18,5%, senza che della Legge Fornero sia toccata anche solo una virgola, adeguamento automatico all’aspettativa di vita compreso. Con quota 100 probabilmente si sfonderebbe il muro del 20% in scioltezza.

Ciliegina sulla torta avvelenata cucina da Salvini e Di Maio: se decidi di spendere 20 miliardi all’anno per le pensioni, difficilmente ne avrai per riempire le culle con politiche a sostegno dell'occupabilità femminile e delle giovani coppie. E culle vuote oggi vuol dire meno lavoratori domani. Meno lavoratori vuol dire meno contributi per pagare le pensioni. E questo vuol dire una sola cosa: che noi che oggi abbiamo meno di cinquant’anni, nel giro di una decina d’anni massimo, ci ritroveremo una Legge Fornero al cubo per rimediare ai danni di quota 100, quando il sistema non si reggerà più in piedi. E magari Salvini e Di Maio, o chi per loro, a inveire contro l’Europa cattiva e i mercati infami, a riempire le piazze oggi lasciate vuote da una generazione silente, e per questo complice.

 

(tratto da www.linkiesta.it )


Il primo dei commenti

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*