La vera contrapposizione tra cattolici



Alessandro Risso    19 Settembre 2018       2

Giancarlo Chiapello, nel suo intervento da noi rilanciato, esorta a superare nel laicato di ispirazione cristiana la contrapposizione tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale”, riprendendo questa distinzione da un recente passaggio del presidente della CEI Bassetti. Un appello che non sta a cuore soltanto all’autore dell’articolo, ma che ricorre tra chi sta cercando di dar voce e sostanza a un nuovo progetto politico, la Rete Bianca, di cui Giorgio Merlo ha più volte scritto su questo sito.

Prima di varare la Rete Bianca – o qualunque altro tentativo di ricostruire una presenza politica organizzata di cattolici – si dovrebbe però chiarire se esiste un “mondo cattolico” da rappresentare nella sua interezza, oppure vedere come è diviso e se la frattura è sanabile. Questo per non perdere tempo inseguendo chimere, e pure coscienti del fatto che “la ormai consueta azione di gettare in mare scialuppe di salvataggio per muovere vecchia classe dirigente (o portatori di qualche interesse) desiderosa di salvarsi ad ogni passaggio elettorale è definitivamente fallita”, come scrive Chiapello. Oltre a questa consapevolezza, siamo con lui nel giudicare negativamente la “seconda repubblica”, caratterizzata “dalla diaspora e dalla progressiva irrilevanza dei cattolici in politica (...) suicidio di una presenza corale per garantire strapuntini individuali”. Imputa poi tale fallimento “alla spaccatura stessa tra cattolici del sociale e cattolici della morale”, e ritiene che, per sanare la frattura, “urge un ritorno alla virtù dell’Amicizia da trasformare, ritrovando una comune identità e storia, in processo politico capace di ricostruire una triplice autonomia di analisi, valutazione ed azione fuori dalla geometria tradizionale destra/centro/sinistra”. E qui invece nascono alcune perplessità di fondo.

Per prima cosa la contrapposizione tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” si può considerare una forzatura. Su un piano logico-linguistico alla moralità si possono contrapporre amoralità e/o immoralità, mentre all’opposto del “sociale” (comunitario e solidale) possiamo collocare l’individualismo. La contrapposizione proposta in quei termini non sta in piedi: credo che attenzione al sociale e adesione ai “valori non negoziabili” non siano in conflitto, come dimostrano le tante persone impegnate nel volontariato e/o nella catechesi che ciascuno di noi ha modo di conoscere nel proprio ambito ecclesiale e amicale. Tanti cattolici si risentirebbero nel venire incasellati da una parte o dall’altra, dato che per loro è normale vivere la carità verso il prossimo e, contestualmente, l’insegnamento della Chiesa sui temi della famiglia e della bioetica. Anche il cardinal Bassetti, quando afferma che “non è auspicabile che i cattolici si dividano in cattolici della morale e in cattolici del sociale” sembra proprio esortarci ad essere cristiani a tutto tondo, e non dimezzati. Sociale e morale vanno a braccetto, non sono da contrapporre. Non facciamo come il parente sciocco che chiede al bambino se vuole più bene alla mamma o al papà....

Se poi invece vogliamo definire “cattolici della morale” coloro che nella “seconda repubblica” hanno dato consenso al centrodestra berlusconiano e “cattolici del sociale” quelli che . – organizzati nel PPI, poi nella Margherita e infine confluiti nel PD – hanno contribuito, da militanti o semplici elettori, alle politiche del centrosinistra, allora entriamo in un altro ambito. Ma qui la morale c’entra proprio poco e dobbiamo usare altre categorie squisitamente politiche. Come la sempre attuale distinzione di don Sturzo nel discorso di Caltagirone: “O sinceramente democratici o sinceramente conservatori”. Qui, da oltre un secolo, sta la vera divisione, talvolta sfociata in aperta contrapposizione, del mondo cattolico. Ce lo dice la storia del Novecento.

Il fondatore del PPI riuscì a raccogliere nel primo dopoguerra tutte le anime ed esperienze del cattolicesimo italiano, ma alle prime tensioni sociali il partito si spaccò tra i democratici e i clerico-conservatori, attratti dal blocco d’ordine poi egemonizzato da Mussolini.

La DC, che tanti evocano come concreto esempio dell’unità politica dei cattolici, era tenuta insieme dal rigido mondo bipolare della Guerra Fredda, ed era divisa in correnti, molto distanti tra loro su temi fondamentali. Non a caso lo scudocrociato si frantumò poco dopo la caduta del muro di Berlino, e con il bipolarismo la spaccatura dei democratici cristiani, ai tempi di Buttiglione segretario del PPI, fu plateale e lacerante. Non basta un ritorno all’“Amicizia Cattolica” auspicata da Chiapello per superare sensibilità e interessi divergenti.

E le divisioni politiche non sono riferibili al solo passato, ma il presente le ripropone continuamente in forme aggiornate.

Per ridurre le disuguaglianze non a parole, patrimoniale sì o patrimoniale no? Tassazione progressiva o Flat Tax? Taglio delle tasse sul lavoro o abolizione dell’IMU? Equità tra persone e generazioni o mantenimento dei privilegi acquisiti? Aiuti alle giovani famiglie o spesa sociale sbilanciata sulle pensioni? Intransigenza con gli evasori o condoni (palesi e occulti)? Uso del contante ridotto alle piccole spese o senza limiti?

Potrei continuare con altre domande – e senza entrare in questioni epocali come i migranti – che indicano quotidiane scelte politiche tra bene comune o interessi privati, tra solidarietà o individualismo. Scelte che, necessariamente, sono divisive.

Non che la gerarchia ecclesiastica dia un esempio di compattezza ai laici: tra la Chiesa “gentiloniana” e attratta dal potere del cardinal Ruini e quella “evangelica” di papa Bergoglio c’è un abisso. E vediamo come gli ambienti più conservatori della Curia cercano in ogni modo di ostacolare Francesco nel suo pontificato di rinnovamento.

Se già i pastori sono divisi, figuriamoci il gregge: se domani nascesse il partito politico modellato sulle idee di papa Francesco, l’unico vero “profeta” e leader mondiale oggi esistente, sappiamo bene tutti che una larga parte dei cattolici italiani praticanti non lo voterebbe. Non certamente l’85% sbandierato da “Libero”, ma una metà circa gli preferirebbe Salvini, come nel recente passato votò Berlusconi, “ateo devoto”, e non il “cattolico adulto” Prodi.

Ecco quindi che auspicare il ritorno all’unità politica dei cattolici rischia solo di essere una favola, bella da raccontare ma del tutto impraticabile

Con sano realismo converrebbe dare credito a Sturzo. Lasciare che i conservatori seguano le loro logiche e organizzare i cattolici “sinceramente” democratici-sociali-popolari-solidali sulla base di un programma che si ponga con chiarezza obiettivi di rispetto del creato, di lotta alle disuguaglianze e ai privilegi, di ricostruzione della coesione sociale, di partecipazione ed educazione democratica, di valorizzazione dei corpi intermedi, primi fra tutti la famiglia e i municipi. Con proposte chiare e coerenti, capaci di rivolgersi a tutta la società italiana nella ricerca del “bene comune”. Con piena laicità, ma consapevoli di rappresentare una tradizione culturale e politica che ha radici nel messaggio evangelico, storicizzato nella ricca dottrina sociale della Chiesa e oggi reso ancor più vivo e attuale dal Magistero di papa Francesco.

Se questo è il percorso, noi Popolari potremmo rimetterci in cammino. Altre iniziative preoccupate di tenere insieme politiche e interessi contraddittori sono destinate a soffocare tra silenzi e ambiguità.

Ancora un’ultimo spunto: una politica di concreta riduzione delle disuguaglianze, animata dalla solidarietà e dalla ricerca del bene comune, contrapposta a una politica individualista, tesa a mantenere i privilegi – personali, corporativi o generazionali che siano – non permette di mantenere valida la distinzione tra destra e sinistra? Quella che in tanti danno, un po’ troppo frettolosamente, per morta e sepolta?


2 Commenti

  1. Fondamentalmente d’accordo, con qualche chiosa, se mi si permette. Vorrei che le contrapposizioni – che per tanti versi si delineano secondo la linea proposta da Risso – non fossero assolutizzate; così è anche per quanto riguarda la gerarchia: è quantomeno superficiale – e a dire il vero neppure Risso lo fa in questi termini – costruire l’antitesi Ruini-Bergoglio come un dualismo assolutamente inconciliabile (e di “atei devoti” ce ne sono dappertutto…). Come cattolici democratici in politica, mi sembra poi necessario che, pur senza rispolverare un’acritica ripetizione dei “valori non negoziabili” fatti coincidere con l’area vita-famiglia, si eviti la sudditanza, molto diffusa, all’impostazione egemonizzata dal pensiero radicale, larghissimamente diffusa a sinistra, senza temere di cercare, su quei temi, un dialogo anche nel campo “avverso” (smettendo così, tra l’altro, di regalare consensi proprio a quel campo a causa di tale sudditanza, che è tutt’altra cosa dal sacrosanto e severo esame di coscienza per le molte colpe accumulate nei secoli dai cattolici in nome di una visuale “proprietaria” dell’etica pubblica). Infine – ma è chiaro che sono solo poche battute di primo acchito – mi piacerebbe che anche tra cristiani si abbassassero certi toni di reciproca aggressività, che giungono a evocare vere e proprie guerra di religione, seppur, per fortuna, non più cruente (ma attenzione perché, come nella Spagna del 1936 ci può sempre essere qualche “compagno” e qualche “camerata” pronto ad accendere la miccia)…

  2. Opportuno ribadire, come fa Alessandro, la distinzione fra cattolici conservatori e cattolici sociali-popolari. La complicazione dell’oggi sta nel fatto che non basta aderire a uno schieramento riformatore, per esser tali. Non basta, davanti alla crisi del Pd cambiare l’ordine degli addendi, le liste identitarie al posto del partito-contenitore. Il risultato sempre quello è: occorre cambiare le politiche.
    Il presupposto per poter attuare nei fatti politiche di concreta riduzione delle disuguaglianze, è ri-affermare l’obbligo delle banche centrali di acquistare direttamente dallo stato il debito, liberando risorse, fino a oggi inghiottite dalla speculazione finanziaria, per creare nuovo lavoro, per investimenti per lo sviluppo, per la manutenzione delle infrastrutture e del territorio.
    Dunque, non è sufficiente dirsi riformatori. C’è una scelta successiva da compiere: riformatori pro austerity come il Pd e i suoi alleati, di fatto artefici di politiche neoliberali, oppure riformatori che danno la priorità al lavoro e all’economia reale, anziché al feticcio della stabilità monetaria, foriera di grave instabilità economica e sociale?
    Chi opta per la seconda scelta credo debba impegnarsi a costruire, già per le prossime Europee una ampia coalizione per la domanda interna aperta a tutto il campo riformatore.

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