Cambiare Regione (o la politica delle Autonomie)?



Carlo Baviera    5 Settembre 2018       1

I quotidiani del mese di luglio riproponevano la richiesta, tramite la convocazione di un referendum, di passaggio del Verbano dalla Regione Piemonte a quella lombarda. Di per sé, cosa costituzionalmente possibile. Inoltre storia e interessi economici supporterebbero l’ipotesi, che non è nuova. E anche la Provincia di Novara viene investita dalla ventata che soffia verso est; una specie di Risorgimento al contrario, vele spiegate verso il lombardo-veneto. Qui non c’entra, però, la volontà di sottrarsi ad un invasore (quale era l’Austria nell’800); giocano piuttosto altre esigenze.

L’accusa è verso una visione torinocentrica: e attacca la Regione Piemonte «Per loro esiste solo Torino. Noi veniamo trattati come gli ultimi della classe perché siamo sul confine e questa disparità si è accentuata negli ultimi anni. Confrontiamoci allora con gli amministratori locali e i cittadini per capire se non sia il caso di lasciare e aggiungerci alla Lombardia»; inoltre i promotori hanno ravvisato nella Lombardia un territorio florido «A Verbania ci lega il lago Maggiore. Se si riuscisse a fare sistema fra la cosiddetta sponda magra e quella grassa, sarebbe un vantaggio enorme per il settore turistico-alberghiero». E gli ispiratori della consultazione sperano di ottenere agevolazioni anche economiche. A partire da canoni idrici (sul tavolo c’è la richiesta di 18 milioni, sempre negata dal Piemonte) e tagli sull’accisa della benzina.

Come sempre sono gli interessi economici a farla da padrone, le prospettive di sviluppo a smuovere l’attenzione delle persone; ma non è da sottovalutare l’innata aspirazione dei territori (quelli di frontiera, come quelli legati da avvenimenti storici e istituzioni al passato). L’accusa di essere trascurati, di non avere voce in capitolo, di non rientrare nei progetti che via via si vanno costruendo, di non essere sufficientemente valorizzati, di vedersi sottratti servizi pubblici e istituzioni è sempre incombente, e in ogni epoca si manifesta con modalità diverse ma uguale interesse (ci si ricorda ancora della richiesta di ripristinare le originarie “piccole Province” in Piemonte negli anni ’80 del secolo scorso?).

C’è chi ha sostenuto che «innanzitutto merita un grande rispetto la volontà dei cittadini di autodeterminarsi». Detta così non suona benissimo; sembra più uno slogan secessionista, ma la questione resta valida. Ogni territorio storicamente definito, e con sue tradizioni e consuetudini ha diritto di avere una sua rappresentanza istituzionale, e potersi gestire per quanto riguarda una serie di servizi pubblici, le proprie risorse, le scelte ritenute più opportune: pur all’interno di una programmazione più generale. A questo dovevano servire i Comprensori, che dopo un decennio si sono colpevolmente fatti morire; mentre dovevano sostituire le Province.

So che l’argomento mi pone in evidente minoranza rispetto al pensare comune. Ma resto convinto che quella fosse, e resti, una delle riforme per supportare gli Enti locali (rafforzando e favorendo la fusione fra piccoli Comuni e magari aiutando l’accorpamento di qualche Regione).

Interessante anche una battuta dell’ex Sindaco di Novara, Andrea Ballarè: «È vero che i nostri interessi privati ruotano più su Milano ma è la politica che deve avere la forza di imporsi a Torino. Da Presidente dell’ANCI, l’associazione dei Comuni, ero riuscito a spostare l’interesse sul Piemonte orientale. Per questo insisto sul ruolo chiave di politici e amministratori locali piuttosto che lanciare idee populiste».

Qui si evidenzia un altro aspetto che deve essere affrontato per evitare anche in futuro tentazioni di fughe verso la Lombardia; o di territori che guardino ad altre Province. Ricordo che non si è ancora del tutto esaurita l’insistenza di molti casalaschi per “passare con Vercelli” sperando di avere più attenzione/considerazione, e magari dividere con il capoluogo una serie di Uffici e Servizi Pubblici ora sottratti a Casale Monferrato (anche in questo caso da una sconsiderata politica di accentramenti e razionalizzazioni).

Anche in questo caso so di trovarmi quasi in solitudine, perché è evidente che occorra avere – soprattutto nella Sanità e nell’Università – momenti e strutture di eccellenza. È anche vero, e torno alla riflessione sul Piemonte orientale, che le eccellenze non escludono altre presenze più diffuse, soprattutto in presenza di popolazione anziana: ad esempio ho letto di recente di una sede universitaria anche a Ostia (Polo di Ingegneria delle tecnologia del mare). Tutto il Piemonte Orientale, pur con un’importante presenza della “propria” Università (ma la sede staccata di Casale la si è chiusa!), si sente lontano da Torino, ha visto addirittura tagliare o quasi completamente annullare i trasporti ferroviari verso il capoluogo, non si sente parte di un intervento ‘sostenuto’ per quanto riguarda attività produttive o di Centri di ricerca.

Anche la parte turistica e culturale sembra più improvvisata che non frutto di impegni continuativi e programmati, nonostante importanti traguardi come l’inserimento nel Patrimonio UNESCO di parti del territorio (forse più merito dell’Albese che di altri). L’ultimo colpo quello della unione fra ATL, le agenzie per la valorizzazione turistica, di Alba e Asti che esclude il Casalese: e pensare, come fa qualcuno, di poter andare avanti da soli quale reazione non gioverà moltissimo al nostro Monferrato. Colpa, anche quest’ultima, degli amministratori? Oppure qualche responsabilità la possiamo addossare alla Regione (intendo a tutte le forze politiche che da Torino dimenticano i territori periferici) e magari anche a disattenzioni provinciali?

Tutti segnali che richiedono molta attenzione, soprattutto in vista delle prossime scadenze per il rinnovo del Consiglio regionale. Non si deve rincorrere il populismo, non si deve giocare al campanilismo in un’epoca che richiede visione globale, ma non si deve neanche considerare i territori orientali della nostra Regione e i suoi abitanti come semplice frontiera. E occorre ricordare sempre che “popolarismo” è anche sinonimo (politicamente parlando) di autonomie locali.

Quindi più che cambio di Regione o di Provincia, è importante cambiare l’atteggiamento verso cittadini che non sono di serie B solo perché non appartenenti ai capoluoghi di Regione o di Provincia.


1 Commento

  1. Anche a me dispiace perdere una parte del territorio piemontese, ma già Napoleone dopo la vittoria di Marengo del 1800 aveva legato il Piemonte, escluso i territori delle attuali provincie di Novara e del VCO, al territorio metropolitano della Francia mentre, invece, Novara e il VCO alla Repubblica Cisalpina poi al Regno d’Italia, quindi alla Lombardia. Avendo vissuto qualche tempo sul Verbano, posso dire che il dialetto e le tradizioni di quelle zone è molto di più lombardo che piemontese. Purtroppo per conto mio stiamo piangendo sul latte versato: tutto il Piemonte orientale è stato dimenticato dai vari governi regionali, allora non stupiamoci se ne vogliono andare. Porto un esempio in fatto di trasporti ferroviari da Domodossola a Milano e da Domodossola a Torino (vale anche per Verbania – Stresa ed Arona. Da Domo a Milano treni diretti: tempo di percorrenza da un ora a un ora e 40, da Domo a Torino invece, sembra una barzelletta, ma non lo è, se voglio andare a Torino in treno prima devo andare a Milano (se mi va bene, solo fino a Rho) e da Milano cambiare per recarmi a Torino: tempo, mediamente più di tre ore. Se poi vogliamo parlare delle comunicazione ferroviarie di Casale Monferrato, allora è il caso di mettersi le mani nei capelli!

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