Vero banco di prova per il nuovo governo spagnolo guidato da Pedro Sanchez, sarà la questione catalana. In un'intervista al quotidiano “El Pais”, il nuovo premier ha detto che è finito il tempo in cui era lo stesso governo a complicare il percorso verso una possibile soluzione.
Non va infatti dimenticato che a dar fuoco alle polveri del secessionismo fu, nel 2011, la bocciatura dello Statuto autonomistico voluta dal Partito popolare perché nel preambolo si parlava di nazionalità catalana. Vi era cioè il richiamo ad un'identità che certamente è sentita dalla maggioranza della popolazione della regione, senza che questo dovesse necessariamente significare l'avvio di un processo di indipendenza dalla Spagna. La chiusura totale della destra spagnola verso quello che era un semplice, ma profondo, sentimento a livello identitario e culturale ha però contribuito a radicalizzare la situazione verso un sovranismo folle e irresponsabile che, in ogni caso, non gode del consenso maggioritario dei cittadini catalani.
Adesso è giunto il momento di uscire da questo stallo e l'avvento di Sanchez e del PSOE, al posto della destra, potrebbe offrire qualche nuova prospettiva. Certo, non vi saranno concessioni alla causa indipendentista, visto che nell'ultimo anno i socialisti hanno, con ragione, sostanzialmente appoggiato la linea Rajoy sull'applicazione dell'art. 155 della Costituzione che attribuisce poteri speciali allo Stato qualora le regioni abusino delle proprie facoltà. Una posizione confermata del resto nella trattativa con i partiti catalani (PdCat ed ERC), al momento di assicurarsi i loro voti per la sfiducia a Rajoy.
Detto questo, è però probabile che con il ritorno al potere del PSOE sarà finalmente posto in discussione il progetto di riforma in senso federale dello Stato. Una bozza è stata già resa nota la scorsa settimana e prevede il riconoscimento delle specifiche nazionalità che compongono lo Stato spagnolo; un maggior spazio alle particolari identità culturali e l'attribuzione di competenze speciali sia alla Catalogna che ai Paesi baschi, realizzando una più accentuata differenziazione rispetto all'uniformità del modello attuale. L'odierno assetto, nato nel 1978, dopo il ritorno alla democrazia, da tempo viene soprannominato da baschi e catalani, “cafè para todos”, per stigmatizzare un'autonomia concessa con le stesse modalità a tutte le regioni, quasi annacquando deliberatamente le nazionalità storiche. In pratica, la proposta socialista condurrebbe a un federalismo a geometria variabile, per valorizzare in maniera più esplicita il pluralismo e le identità nazionali presenti nel Paese.
Una riforma del genere richiede però tempi lunghi e certo non potrà veder la luce nell'attuale legislatura. In ogni caso, qualsiasi modifica costituzionale necessita anche del voto del Senato, dove il Partito popolare, contrario a qualsiasi opzione federalista, risulta maggioritario. Sarà dunque indispensabile costruire una proposta di più ampia condivisione.
Evidente però che la questione catalana andrà affrontata, anche perché l'inerzia di Rajoy, lasciando che fossero solo i giudici ad occuparsi del problema, ha finito per condurre sull'orlo del baratro. Una spinta a un diverso approccio tra Madrid e Barcellona, potrebbe giungere dall'elezione, avvenuta per combinazione in contemporanea a quella di Sanchez, del nuovo presidente della Generalitat, Quim Torra, che ha fatto automaticamente cessare l'applicazione dell'art.155. Si apre quindi, con due nuovi leader al posto degli ormai logori Rajoy e Puigdemont, una felice opportunità per riprendere seriamente il dialogo: nell'interesse europeo, di tutti gli spagnoli e dei catalani in particolare.
Non va infatti dimenticato che a dar fuoco alle polveri del secessionismo fu, nel 2011, la bocciatura dello Statuto autonomistico voluta dal Partito popolare perché nel preambolo si parlava di nazionalità catalana. Vi era cioè il richiamo ad un'identità che certamente è sentita dalla maggioranza della popolazione della regione, senza che questo dovesse necessariamente significare l'avvio di un processo di indipendenza dalla Spagna. La chiusura totale della destra spagnola verso quello che era un semplice, ma profondo, sentimento a livello identitario e culturale ha però contribuito a radicalizzare la situazione verso un sovranismo folle e irresponsabile che, in ogni caso, non gode del consenso maggioritario dei cittadini catalani.
Adesso è giunto il momento di uscire da questo stallo e l'avvento di Sanchez e del PSOE, al posto della destra, potrebbe offrire qualche nuova prospettiva. Certo, non vi saranno concessioni alla causa indipendentista, visto che nell'ultimo anno i socialisti hanno, con ragione, sostanzialmente appoggiato la linea Rajoy sull'applicazione dell'art. 155 della Costituzione che attribuisce poteri speciali allo Stato qualora le regioni abusino delle proprie facoltà. Una posizione confermata del resto nella trattativa con i partiti catalani (PdCat ed ERC), al momento di assicurarsi i loro voti per la sfiducia a Rajoy.
Detto questo, è però probabile che con il ritorno al potere del PSOE sarà finalmente posto in discussione il progetto di riforma in senso federale dello Stato. Una bozza è stata già resa nota la scorsa settimana e prevede il riconoscimento delle specifiche nazionalità che compongono lo Stato spagnolo; un maggior spazio alle particolari identità culturali e l'attribuzione di competenze speciali sia alla Catalogna che ai Paesi baschi, realizzando una più accentuata differenziazione rispetto all'uniformità del modello attuale. L'odierno assetto, nato nel 1978, dopo il ritorno alla democrazia, da tempo viene soprannominato da baschi e catalani, “cafè para todos”, per stigmatizzare un'autonomia concessa con le stesse modalità a tutte le regioni, quasi annacquando deliberatamente le nazionalità storiche. In pratica, la proposta socialista condurrebbe a un federalismo a geometria variabile, per valorizzare in maniera più esplicita il pluralismo e le identità nazionali presenti nel Paese.
Una riforma del genere richiede però tempi lunghi e certo non potrà veder la luce nell'attuale legislatura. In ogni caso, qualsiasi modifica costituzionale necessita anche del voto del Senato, dove il Partito popolare, contrario a qualsiasi opzione federalista, risulta maggioritario. Sarà dunque indispensabile costruire una proposta di più ampia condivisione.
Evidente però che la questione catalana andrà affrontata, anche perché l'inerzia di Rajoy, lasciando che fossero solo i giudici ad occuparsi del problema, ha finito per condurre sull'orlo del baratro. Una spinta a un diverso approccio tra Madrid e Barcellona, potrebbe giungere dall'elezione, avvenuta per combinazione in contemporanea a quella di Sanchez, del nuovo presidente della Generalitat, Quim Torra, che ha fatto automaticamente cessare l'applicazione dell'art.155. Si apre quindi, con due nuovi leader al posto degli ormai logori Rajoy e Puigdemont, una felice opportunità per riprendere seriamente il dialogo: nell'interesse europeo, di tutti gli spagnoli e dei catalani in particolare.
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