
Se i risultati elettorali hanno certificato che il consenso al Movimento 5 Stelle vale il doppio di quello alla Lega, dopo neppure tre mesi la sensazione è che il rapporto di forza tra i due partiti si sia capovolto. Al punto che Di Maio, pur di salvare in extremis la nascita di un governo gialloverde si dice disposto a farlo guidare da un leghista (e si fa il nome di Giorgetti).
Nella lunga trattativa tra i due leader populisti, c’è voluto poco a capire chi sia il gatto e chi la volpe. Lo aveva scritto a chiare lettere un vecchio saggio come il sociologo De Masi (“La Lega mangerà i 5 Stelle”), ma non avremmo pensato che il banchetto fosse così rapido. Tutti i sondaggi assegnano alla Lega un +10 nei sondaggi e un -5 ai grillini. Così al momento la forza tra i due si è pareggiata, sulla carta. Ma Salvini – la volpe, anzi, il volpone – è quello che dà le carte, l’uomo forte della situazione, anche per la possibilità di sfruttare a suo favore i due forni: il governo populista da una parte e la leadership del centrodestra dall’altra.
Di Maio invece – che si è dimostrato, più che un gatto, un gattino con le unghie tagliate – si ritrova con la via obbligata dell’accordo con il volpone, e alle sue condizioni: tornando al voto perderebbe elettorato di sinistra disgustato dall’accordo con la Lega e voti dei delusi dall'inconcludenza grillina, che andrebbero invece alla Lega; il forno PD è stato sprangato da Renzi e una apertura al “demonio” Berlusconi è impossibile, perché sarebbe la fine del Movimento. Anche se in queste settimane ci hanno abituati a sentire tutto e il contrario di tutto, c’è un limite alle piroette della politica. Di Maio ha pure cercato di cavalcare la piazza contro Mattarella, ma Salvini – che della rottura con il Quirinale è stato il cinico regista – lo ha lasciato solo sulla pagliacciata della richiesta di impeachment, per poi sterzare sulla riproposizione del presidenzialismo, la versione edulcorata dell’uomo forte al comando, indigesta ai grillini.
Dopo tutto sappiamo bene, come la storia ci insegna, che il populismo vira inevitabilmente a destra.
Nella lunga trattativa tra i due leader populisti, c’è voluto poco a capire chi sia il gatto e chi la volpe. Lo aveva scritto a chiare lettere un vecchio saggio come il sociologo De Masi (“La Lega mangerà i 5 Stelle”), ma non avremmo pensato che il banchetto fosse così rapido. Tutti i sondaggi assegnano alla Lega un +10 nei sondaggi e un -5 ai grillini. Così al momento la forza tra i due si è pareggiata, sulla carta. Ma Salvini – la volpe, anzi, il volpone – è quello che dà le carte, l’uomo forte della situazione, anche per la possibilità di sfruttare a suo favore i due forni: il governo populista da una parte e la leadership del centrodestra dall’altra.
Di Maio invece – che si è dimostrato, più che un gatto, un gattino con le unghie tagliate – si ritrova con la via obbligata dell’accordo con il volpone, e alle sue condizioni: tornando al voto perderebbe elettorato di sinistra disgustato dall’accordo con la Lega e voti dei delusi dall'inconcludenza grillina, che andrebbero invece alla Lega; il forno PD è stato sprangato da Renzi e una apertura al “demonio” Berlusconi è impossibile, perché sarebbe la fine del Movimento. Anche se in queste settimane ci hanno abituati a sentire tutto e il contrario di tutto, c’è un limite alle piroette della politica. Di Maio ha pure cercato di cavalcare la piazza contro Mattarella, ma Salvini – che della rottura con il Quirinale è stato il cinico regista – lo ha lasciato solo sulla pagliacciata della richiesta di impeachment, per poi sterzare sulla riproposizione del presidenzialismo, la versione edulcorata dell’uomo forte al comando, indigesta ai grillini.
Dopo tutto sappiamo bene, come la storia ci insegna, che il populismo vira inevitabilmente a destra.
Lascia un commento