Conta il progetto, non il capo



Giorgio Merlo    1 Maggio 2018       2

Tra le tante degenerazioni iniettate dal berlusconismo, dal grillismo e dal renzismo nella politica italiana c'è sicuramente la personalizzazione della politica. Un dato che ha contribuito in modo potente al tramonto e alla cancellazione dei partiti intesi come comunità politiche che elaborano collegialmente il proprio progetto e selezionano democraticamente la propria classe dirigente.

Ma la personalizzazione della politica ha contribuito anche alla nascita dei cosiddetti "partiti personali", ovvero partiti che si identificano con il "capo", o con il "guru" o con il "fondatore". È il caso del "PdR" renziano, del partito di Berlusconi o del partito di Grillo e Casaleggio.

Ora, se c'è un elemento che ha sempre contraddistinto l'antica e feconda tradizione cattolico  democratica e popolare è sempre stata quella di non farla coincidere, mai, con un grigio ed indistinto "partito del capo". Non a caso, Mino Martinazzoli, di fronte alla decadenza dei partiti della Prima Repubblica, parlava già nella metà degli anni duemila della profonda differenza tra i "leader" che caratterizzavano i grandi partiti popolari del passato con i "capi" che svettavano con l'avvio della cosiddetta Seconda Repubblica. Una differenza non secondaria né banale.

Ecco perché, oggi, quando all'orizzonte si staglia un potenziale movimento politico, o partito, o soggetto politico, la prima e unica domanda che viene posta è “chi è il capo?” Ed è solo dalla risposta a questa domanda che discende il giudizio politico su questo presunto partito o movimento politico.

Se, dunque, siamo alla vigilia di un possibile e auspicabile ritorno del protagonismo politico dei cattolici democratici e popolari dopo lo tsunami del 4 marzo che ha cancellato i partiti plurali – come era il PD – e azzerato definitivamente le aree identitarie nei singoli partiti personali, oltre all'annullamento di sigle come l'UDC, è persin ovvio ricordare che il tutto non può decollare individuando solo ed esclusivamente  il "capo" di un eventuale movimento politico e culturale. Donat-Cattin, a metà degli Anni '80 e seppur in un'altra fase storica, insegnava sempre a noi giovani della sinistra sociale DC di Forze Nuove che la "politica, per noi cattolici, si sostanzia di tre ingredienti fondamentali: pensiero, azione e organizzazione".

Ebbene, sono passati circa trent’anni ma la sostanza rimane sempre quella anche se viviamo in una stagione dominata dal "nulla della politica", dalla improvvisazione e dalla povertà della classe dirigente della post politica ideologica. E una possibile "Rete Bianca", nello specifico, può decollare solo nella misura in cui riscopre i principi cardine di questa storica tradizione politica e culturale: e cioè, una cultura politica moderna e definita, un pensiero politico riconoscibile, una leadership diffusa e credibile a livello territoriale e, infine, anche un leader unitivo e unificante. Ma solo alla fine. Perché altrimenti saremo solo e soltanto uno dei tanti partiti personali in circolazione.


2 Commenti

  1. Condivido l’idea della “Rete Bianca”. Una sola cosa mi preoccupa, dopo ciò che ho letto a seguito dell’intervista di Renzi da Fazio: che coloro che difendono Renzi dalle critiche siano tutti veri popolari, difensori di una visione fondata sui valori del pluralismo e del riformismo. Perciò la vera “nuova cosa bianca” si fonderebbe sulla ripresa del progetto renziano e sulle riforme bocciate il 4 dicembre. Se si riparte da queste divisioni e da quella leadership penso ci siano problemi a ripartire: quello sarebbe il tentativo italo-macroniano, non il popolarismo

  2. Preziosa indicazione quella di Giorgio Merlo. Se è vero che prima del leader vengono la cultura politica e il progetto, il discorso si fa decisamente impegnativo. La sfida, per i Popolari, ma direi per tutte le culture riformatrici, “orfane” del fallimento politico e culturale del Partito Democratico, diventa quella di dimostrare in modo credibile agli elettori in che cosa il progetto politico che si intende costruire, si distingue da quello calato dall’alto da élites e logge dominanti, da quel pensiero unico fondato sul primato del dio-denaro sulla persona umana, che collide con la nostra Costituzione ma a cui si sono uniformati gran parte dei trattati europei e internazionali, e che le forze di sinistra e di centrosinistra hanno fatto proprio, perdendo così il consenso tra i ceti lavoratori e popolari e tra la classe media.

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