Dobbiamo ridare anima alla nostra democrazia



Guido Bodrato    3 Marzo 2018       0

Siamo alla vigilia di elezioni che potrebbero ridisegnare il panorama politico del Paese, in un tempo in cui è sempre più profondo il solco che separa l'opinione pubblica dalla politica. I sondaggi, per quanto valgono, fanno prevedere un'astensione vicina al 30% e indicano nel 20% la quota degli indecisi tra quanti si recheranno alle urne.
L'indecisione riguarda anche molti amici che leggono "Rinascita popolare": alcuni voteranno Partito Democratico perché lo considerano l'argine migliore contro l'onda di un populismo tentato dall'idea del partito unico; altri voteranno pensando che questa sia una seconda occasione, dopo il referendum costituzionale, per correggere un leaderismo che ha fatto deragliare il centrosinistra.
Tutti questi amici dovrebbero riconoscere che la (mancata) dialettica tra PD e Liberi e Uguali non ha pesato su una vicenda elettorale, che invece è stata caratterizzata, dall'inizio alla fine, dall'imprevisto ritorno in campo di Berlusconi a guida della destra ForzaLeghista, e dalla irresistibile ascesa elettorale del Movimento 5 Stelle, sempre più "partito di governo" con Di Maio, e "partito di lotta" con Di Battista.
A questa crisi, a questo salto nel buio, ha contribuito sicuramente una legge elettorale, il Rosatellum, che costringe gli elettori a ratificare scelte compiute dai vertici dei partiti, cioè ad accettare un Parlamento di nominati e a subire coalizioni che in realtà sono ammucchiate senza progetto, costruite con l'unico obiettivo di conquistare il maggior numero di collegi uninominali...
Chi ha imposto questa legge, chi ha detto No prima al voto di preferenza e poi a un “voto disgiunto” tra lista e candidato nel collegio uninominale – voto che avrebbe rese possibili convergenze politicamente significative – forse sta riflettendo su un madornale errore politico che fa rischiare il declino al PD e regala al centrodestra un successo elettorale che, malgrado la candidatura a leader di Tajani, presidente del Parlamento europeo, resta a trazione sovranista e nazional-leghista.
Nessuna coalizione dovrebbe comunque conquistare, da sola, una maggioranza parlamentare che permetta di governare il Paese, e la violenza della polemica elettorale tra leader che si considerano premier, fa pensare che dopo il voto le diverse posizioni si allontaneranno, invece di dimostrarsi disponibili al dialogo. Tuttavia, prima di tornare al voto, forse sarà imposto dalla forza delle cose il dovere di riformare la legge elettorale. E si dovrà affidare questa straordinaria responsabilità ad una “maggioranza di scopo”, la più vasta possibile...
Lasciamo tale questione al confronto che deve aprirsi dopo il 4 marzo. Questione tutt'altro che facile da risolvere, anche perché ci sono forze che puntano sul “tanto peggio...”.
Per quanto riguarda i Popolari, la loro storia e la loro identità, penso debbano dire sin da oggi che si sentono impegnati a un ripensamento sul come dare anima democratica al panorama politico ridisegnato da queste elezioni. I nostri padri lo hanno fatto dopo le rovine provocate dalla guerra, quando, parlando dei democristiani, Emmanuel Mounier scrisse: “Se non ci fossero stati, avremmo dovuto inventarli, poiché hanno dato una speranza a un popolo prigioniero della paura”. Quando la generazione cresciuta negli Anni '30 con “libro e moschetto”, si è unita ai popolari sturziani che avevano rifiutato il fascismo e ha partecipato alla Resistenza, con i liberali, i comunisti, gli azionisti e i socialisti, ponendo i valori dei “ribelli per amore” in una Costituzione repubblicana che – con le norme transitorie, ha consegnato il fascismo alla storia.


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