Temo che risulterebbe troppo comoda e superficiale una analisi sui nuovi orizzonti per l'impegno politico dei cattolici democratici che evidenziasse solo le ragioni del fallimento del progetto del Partito Democratico e la novità della nuova aggregazione "Liberi e uguali", guidata da Pietro Grasso.
In realtà la storia recente dell'intero schieramento riformatore in Italia è stata contrassegnata nelle sue svolte fondamentali non tanto dal confronto fra progetti, come ad esempio nel Regno Unito o negli Stati Uniti, dove Corbyn e Sanders significano qualcosa di profondamente diverso da Blair o dai Clinton, quanto piuttosto da un perenne stato di necessità.
Non a caso al tempo della nascita del PD si parlò di fusione a freddo fra Democratici di Sinistra e Margherita. Prevalsero le preoccupazioni contingenti, quelle dettate dai sondaggi, i tatticismi spesso meschini, il piccolo cabotaggio, al posto di una elaborazione programmatica all'altezza delle sfide di questo nuovo secolo.
Dopo la sconfitta al referendum costituzionale, la strategia di Renzi ha mirato a un ferreo controllo del PD più che alla ricostruzione del centrosinistra e ha definitivamente precluso, almeno in questa fase, ogni possibilità di confronto sulle questioni di fondo e di deciso cambio di profilo del campo riformatore. Parimenti occorre riconoscere con onestà che anche la composita area che si è ritrovata sotto la guida del presidente Grasso, facendo senz'altro, da quel punto di vista, la cosa più ragionevole che si potesse fare, al momento sembra dovere questa risoluzione più allo stato di necessità imposto dall'approssimarsi delle urne, che ad una comune convergenza su un nucleo di proposte-chiave capaci di cambiare il volto dell'intero schieramento riformatore.
Ma non esistono scorciatoie valide rispetto ad un tale percorso, se si intende puntare a recuperare un consenso che man mano è scivolato verso il Movimento 5 Stelle o verso l'astensione.
Le domande a cui cercare una risposta sono nel contempo semplici e molto complesse, e si possono condensare in una: fenomeni come la crescita del centrodestra e delle destre in Italia e in Europa, la Brexit, l'elezione di Trump sono la causa o sono l'effetto della crisi economica, dell'aumento delle disuguaglianze, dell'instabilità internazionale attorno all'Europa?
Chi ritiene che ne siano prevalentemente l'effetto non può che cercare di imprimere un netto cambio di rotta alle politiche sin qui seguite anche, e forse soprattutto, dalle forze di centrosinistra.
In questa prospettiva i prossimi mesi che ci separano dal voto, appaiono interlocutori. Le forze divise del centrosinistra pensano soprattutto a salvare il salvabile, a ridurre le dimensioni della sconfitta e, in via subordinata di cui non fanno mistero, a raggranellare un consenso sufficiente al PD per un governo con Forza Italia, e a “Liberi e uguali” per un governo con il M5S.
Ma i nodi irrisolti si ripresenteranno tutti dopo il voto.
Allora si dovrà scegliere, per esempio, se si è favorevoli o contrari all'abolizione dell'obbligo del pareggio di bilancio dalla Costituzione; a politiche espansive per lo sviluppo, il lavoro, l'occupazione, il welfare che comportano necessariamente lo sforamento del vincolo del rapporto deficit/PIL del 3% e il superamento dell'impostazione ordoliberista tedesca; ai provvedimenti perequativi sul sistema pensionistico per garantirne la futura sostenibilità economica e sociale; all'abolizione della legge Fornero e agli automatismi sull'età pensionabile; alla revoca delle sanzioni alla Russia; al riconoscimento dei BRICS come attori con pari dignità sullo scacchiere globale, solo per citare alcune scelte qualificanti da cui passa la rinascita di un progetto politico democratico, popolare e sociale adeguato ai nostri tempi.
A questo obiettivo possono contribuire significativamente anche le tante esperienze in cui si articola il cattolicesimo democratico e sociale. Le parole di rottura con l'insostenibile – per la stragrande maggioranza della popolazione – ordine presente delle cose già le ha pronunciate papa Francesco, con coraggio e chiarezza e con una risonanza universale. Servono testimoni che sappiano incanalare la forza dirompente di tali parole in progetti concreti e fattibili. Sembra un paradosso, ma da qualche tempo quasi tutti i principali interventi sulla realtà sociale e civile del Paese dell'episcopato italiano o di singoli esponenti, come pure le conclusioni dell'ultima Settimana Sociale di Cagliari, oltre ad essere ispirate a valori che sono patrimonio comune non solo dei credenti ma che innervano la Costituzione e illuminano il comune sentire della Nazione, costituiscono degli appelli pressanti, quando non addirittura delle precise proposte a cambiare le cose.
Al di là dei tanti proclami sarebbe sufficiente che i cattolici impegnati in politica seguissero con originalità la lezione di laicità che viene dai loro Pastori.
È il tempo in cui i cattolici in politica sono significativi non se dicono che ci sono e con chi stanno, ma soprattutto se dicono cosa intendono fare e se poi fanno quello che dicono.
In realtà la storia recente dell'intero schieramento riformatore in Italia è stata contrassegnata nelle sue svolte fondamentali non tanto dal confronto fra progetti, come ad esempio nel Regno Unito o negli Stati Uniti, dove Corbyn e Sanders significano qualcosa di profondamente diverso da Blair o dai Clinton, quanto piuttosto da un perenne stato di necessità.
Non a caso al tempo della nascita del PD si parlò di fusione a freddo fra Democratici di Sinistra e Margherita. Prevalsero le preoccupazioni contingenti, quelle dettate dai sondaggi, i tatticismi spesso meschini, il piccolo cabotaggio, al posto di una elaborazione programmatica all'altezza delle sfide di questo nuovo secolo.
Dopo la sconfitta al referendum costituzionale, la strategia di Renzi ha mirato a un ferreo controllo del PD più che alla ricostruzione del centrosinistra e ha definitivamente precluso, almeno in questa fase, ogni possibilità di confronto sulle questioni di fondo e di deciso cambio di profilo del campo riformatore. Parimenti occorre riconoscere con onestà che anche la composita area che si è ritrovata sotto la guida del presidente Grasso, facendo senz'altro, da quel punto di vista, la cosa più ragionevole che si potesse fare, al momento sembra dovere questa risoluzione più allo stato di necessità imposto dall'approssimarsi delle urne, che ad una comune convergenza su un nucleo di proposte-chiave capaci di cambiare il volto dell'intero schieramento riformatore.
Ma non esistono scorciatoie valide rispetto ad un tale percorso, se si intende puntare a recuperare un consenso che man mano è scivolato verso il Movimento 5 Stelle o verso l'astensione.
Le domande a cui cercare una risposta sono nel contempo semplici e molto complesse, e si possono condensare in una: fenomeni come la crescita del centrodestra e delle destre in Italia e in Europa, la Brexit, l'elezione di Trump sono la causa o sono l'effetto della crisi economica, dell'aumento delle disuguaglianze, dell'instabilità internazionale attorno all'Europa?
Chi ritiene che ne siano prevalentemente l'effetto non può che cercare di imprimere un netto cambio di rotta alle politiche sin qui seguite anche, e forse soprattutto, dalle forze di centrosinistra.
In questa prospettiva i prossimi mesi che ci separano dal voto, appaiono interlocutori. Le forze divise del centrosinistra pensano soprattutto a salvare il salvabile, a ridurre le dimensioni della sconfitta e, in via subordinata di cui non fanno mistero, a raggranellare un consenso sufficiente al PD per un governo con Forza Italia, e a “Liberi e uguali” per un governo con il M5S.
Ma i nodi irrisolti si ripresenteranno tutti dopo il voto.
Allora si dovrà scegliere, per esempio, se si è favorevoli o contrari all'abolizione dell'obbligo del pareggio di bilancio dalla Costituzione; a politiche espansive per lo sviluppo, il lavoro, l'occupazione, il welfare che comportano necessariamente lo sforamento del vincolo del rapporto deficit/PIL del 3% e il superamento dell'impostazione ordoliberista tedesca; ai provvedimenti perequativi sul sistema pensionistico per garantirne la futura sostenibilità economica e sociale; all'abolizione della legge Fornero e agli automatismi sull'età pensionabile; alla revoca delle sanzioni alla Russia; al riconoscimento dei BRICS come attori con pari dignità sullo scacchiere globale, solo per citare alcune scelte qualificanti da cui passa la rinascita di un progetto politico democratico, popolare e sociale adeguato ai nostri tempi.
A questo obiettivo possono contribuire significativamente anche le tante esperienze in cui si articola il cattolicesimo democratico e sociale. Le parole di rottura con l'insostenibile – per la stragrande maggioranza della popolazione – ordine presente delle cose già le ha pronunciate papa Francesco, con coraggio e chiarezza e con una risonanza universale. Servono testimoni che sappiano incanalare la forza dirompente di tali parole in progetti concreti e fattibili. Sembra un paradosso, ma da qualche tempo quasi tutti i principali interventi sulla realtà sociale e civile del Paese dell'episcopato italiano o di singoli esponenti, come pure le conclusioni dell'ultima Settimana Sociale di Cagliari, oltre ad essere ispirate a valori che sono patrimonio comune non solo dei credenti ma che innervano la Costituzione e illuminano il comune sentire della Nazione, costituiscono degli appelli pressanti, quando non addirittura delle precise proposte a cambiare le cose.
Al di là dei tanti proclami sarebbe sufficiente che i cattolici impegnati in politica seguissero con originalità la lezione di laicità che viene dai loro Pastori.
È il tempo in cui i cattolici in politica sono significativi non se dicono che ci sono e con chi stanno, ma soprattutto se dicono cosa intendono fare e se poi fanno quello che dicono.
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