
La Flotilla fermata a dispetto del Diritto a 75 miglia marine dalle spiagge di Gaza, cioè nel pieno delle libere acque internazionali. Tutto il resto viene dopo. È quello che spontaneamente ha portato ieri sera in tante città italiane alle manifestazioni di piazza. Con uno sdegno largamente diffuso.
Siamo alla vera e propria pirateria per combattere la quale abbiamo speso miliardi nel Mar Rosso. Ma gli autori di quella erano soprattutto Somali ed islamici. E per combattere quella abbiamo mandato sulle navi nostri Fucilieri di mare autorizzati a sparare come ben ricordano Massimino Latorre e Salvatore Girone, poi, costretti loro malgrado a passare mesi e mesi di fatto prigionieri in India. Ma la memoria è fallace, così come la coerenza dei governi.
Le modalità in questo caso sono state le solite. Anche se c’è molto da chiarire di un’operazione ancora in corso e il fermo per prime delle imbarcazioni della Flotilla con italiani a bordo. Per ora, non c’è scappato il morto, come invece accadde nel 2010 quando gli israeliani uccisero nove imbarcati sulla flottiglia di volontari partita dalla Turchia. È probabile che le modalità siano state concordate con il Governo italiano che poteva mettere sul tavolo la condanna degli imbarcati sulla Flotilla fino a far passare loro dalla parte del torto.
Un’opera di denigrazione in cui si è distinto Matteo Salvini. Ma in buona compagnia di tanti “commentatori” televisivi che confondono il rigore delle analisi e delle valutazioni con la faziosità di parte e l’attacco continuo ad idee e persone che disturbano i manovratori di Palazzo Chigi.
Salvini con il suo modo di esprimersi – anche volgare e, certo, poco consono ad un Vicepresidente del consiglio – ha sostenuto che la Flotilla sarebbero entrati “illegalmente” in una zona di guerra. Ha dimenticato lo sbracciarsi di tantissimi in Occidente nell’occasione in cui un giovane cinese, in Piazza Tienanmen a Pechino, si piazzò dinanzi ad una lunga colonna di carri inviata dalle autorità comuniste per reprimere le manifestazioni degli studenti. Anche lui era un irresponsabile…
È l’immagine plastica di quell’ambiguo, anche vergognoso, “doppiopesismo” che mina alla fondamenta la credibilità di tanti nostri politici e, più in generale, quella dell’intero Occidente che vuole “esportare la democrazia”, ma non interviene mai abbastanza, né con coerenza, quando il diritto è calpestato da qualcuno dei suoi.
Un atteggiamento simile anche da parte della Presidente Meloni la quale, giustamente, ci sprona – e ci fa spendere miliardi – a favore del diritto dell’Ucraina alla propria autodeterminazione, ma non muove un dito per fermare l’alleato Netanyahu. E non solo. Ha dipinto, addirittura, con una iperbole davvero ardita, quelli della Flotilla come i potenziali responsabili dell’eventuale fallimento del piano Trump che non sembra avere in cima alla lista dei suoi 20 punti la soluzione degli annosi problemi che hanno portato al feroce attacco di Hamas del 7 ottobre di due anni fa e alla criminale reazione di Israele di cui pagano le conseguenze i due milioni di abitanti di Gaza.
Ora, è vero, che nelle acque internazionali è possibile fermare una imbarcazione e controllarne il carico, di beni e di persone, ma da parte di chi ne ha l’autorità. Il Diritto internazionale dice anche che, una volta che i controlli hanno dato esito negativo – e che cioè a bordo non vengano ritrovati armi o strumenti atti a compiere atti di violenza – quella imbarcazione non può né essere bloccata e neppure dirottata. E questo a maggior ragione se il carico è costituito da aiuti umanitari, medicinali ed apparecchiature sanitarie la cui destinazione sia una zona di guerra dove c’è da alleviare le condizioni della popolazione civile. Cose che, però, stiamo dicendo al vento perché Israele quell’autorità se la sia presa, anche grazie ai governi come il nostro.
Di sicuro non ce la raccontato tutta su quel che riguarda questa querelle sull’appartenenza delle acque antistanti la Striscia di Gaza. E la Flotilla ha fatto ritornare centrale un punto che da un ventennio passa sotto silenzio e che interessa anche l’Italia ed altri Paesi mediterranei. E cioè quello dei giacimenti di idrocarburi che si trovano proprio di fronte a Gaza. In pochissimi sanno che dal 1999 anche l’Autorità della Palestina ha riconosciuta una propria riserva marittima di risorse energetiche. Anno in cui la ANP dette in concessione la licenza di sfruttamento alla British Gas di un grosso giacimento denominato Gaza Marine, ma di cui, in realtà, le autorità di Ramallah non hanno mai potuto disporre perché, semplicemente, Israele ne ha sempre impedito le attività.
Nel 2000 il giacimento venne considerato in grado, con i suoi 32 miliardi di metri cubi di gas, di garantire 15 anni di energia a Gaza ed alla Cisgiordania. Quello che Arafat definì il “Dono di Allah”. Un dono mai consegnato, in realtà.
Il 16 gennaio del 2020 sembrava che si potesse raggiungere un accordo in occasione dell’incontro del Cairo dell’East Mediterranean Gas Forum di cui fanno parte alcuni Paesi interessati al gas nel Mediterraneo orientale: Italia, Egitto, Grecia, Francia, Italia, Giordania, Israele. Oltre che l’Autorità nazionale della Palestina che, evidentemente, viene riconosciuta a seconda delle convenienze. In sostanza, i palestinesi si erano trovati costretti a dirsi disponibili a passare, a prezzi più bassi di mercato, attraverso compagnie israeliane per l’utilizzazione e la commercializzazione delle loro risorse energetiche presenti sotto il fondale marino antistante la Striscia di Gaza.
Poi, tutto è precipitato e c’è da chiedersi quanto la questione petrolifera e la possibilità di Cisgiordania e Gaza di trovare una certa autonomia energetica non spieghi tutto l’aiuto fornito da Netanyahu ad Hamas su cui dovrebbe fare luce l’inchiesta avviata in Israele e chiamata Qatargate per la quale due stretti collaboratori del Primo ministro israeliano sono finiti sotto processo. In sostanza, Israele fa di tutto per togliere territori alla gente di Palestina e far mancare loro quei minimi strumenti e mezzi che possa consentire la nascita di una entità statuale, e in questo la presenza di Hamas è sempre tornata comoda.
Insomma, è comprensibile che c’è chi non voleva che la questione della Flotilla strabordasse oltre il necessario.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
Siamo alla vera e propria pirateria per combattere la quale abbiamo speso miliardi nel Mar Rosso. Ma gli autori di quella erano soprattutto Somali ed islamici. E per combattere quella abbiamo mandato sulle navi nostri Fucilieri di mare autorizzati a sparare come ben ricordano Massimino Latorre e Salvatore Girone, poi, costretti loro malgrado a passare mesi e mesi di fatto prigionieri in India. Ma la memoria è fallace, così come la coerenza dei governi.
Le modalità in questo caso sono state le solite. Anche se c’è molto da chiarire di un’operazione ancora in corso e il fermo per prime delle imbarcazioni della Flotilla con italiani a bordo. Per ora, non c’è scappato il morto, come invece accadde nel 2010 quando gli israeliani uccisero nove imbarcati sulla flottiglia di volontari partita dalla Turchia. È probabile che le modalità siano state concordate con il Governo italiano che poteva mettere sul tavolo la condanna degli imbarcati sulla Flotilla fino a far passare loro dalla parte del torto.
Un’opera di denigrazione in cui si è distinto Matteo Salvini. Ma in buona compagnia di tanti “commentatori” televisivi che confondono il rigore delle analisi e delle valutazioni con la faziosità di parte e l’attacco continuo ad idee e persone che disturbano i manovratori di Palazzo Chigi.
Salvini con il suo modo di esprimersi – anche volgare e, certo, poco consono ad un Vicepresidente del consiglio – ha sostenuto che la Flotilla sarebbero entrati “illegalmente” in una zona di guerra. Ha dimenticato lo sbracciarsi di tantissimi in Occidente nell’occasione in cui un giovane cinese, in Piazza Tienanmen a Pechino, si piazzò dinanzi ad una lunga colonna di carri inviata dalle autorità comuniste per reprimere le manifestazioni degli studenti. Anche lui era un irresponsabile…
È l’immagine plastica di quell’ambiguo, anche vergognoso, “doppiopesismo” che mina alla fondamenta la credibilità di tanti nostri politici e, più in generale, quella dell’intero Occidente che vuole “esportare la democrazia”, ma non interviene mai abbastanza, né con coerenza, quando il diritto è calpestato da qualcuno dei suoi.
Un atteggiamento simile anche da parte della Presidente Meloni la quale, giustamente, ci sprona – e ci fa spendere miliardi – a favore del diritto dell’Ucraina alla propria autodeterminazione, ma non muove un dito per fermare l’alleato Netanyahu. E non solo. Ha dipinto, addirittura, con una iperbole davvero ardita, quelli della Flotilla come i potenziali responsabili dell’eventuale fallimento del piano Trump che non sembra avere in cima alla lista dei suoi 20 punti la soluzione degli annosi problemi che hanno portato al feroce attacco di Hamas del 7 ottobre di due anni fa e alla criminale reazione di Israele di cui pagano le conseguenze i due milioni di abitanti di Gaza.
Ora, è vero, che nelle acque internazionali è possibile fermare una imbarcazione e controllarne il carico, di beni e di persone, ma da parte di chi ne ha l’autorità. Il Diritto internazionale dice anche che, una volta che i controlli hanno dato esito negativo – e che cioè a bordo non vengano ritrovati armi o strumenti atti a compiere atti di violenza – quella imbarcazione non può né essere bloccata e neppure dirottata. E questo a maggior ragione se il carico è costituito da aiuti umanitari, medicinali ed apparecchiature sanitarie la cui destinazione sia una zona di guerra dove c’è da alleviare le condizioni della popolazione civile. Cose che, però, stiamo dicendo al vento perché Israele quell’autorità se la sia presa, anche grazie ai governi come il nostro.
Di sicuro non ce la raccontato tutta su quel che riguarda questa querelle sull’appartenenza delle acque antistanti la Striscia di Gaza. E la Flotilla ha fatto ritornare centrale un punto che da un ventennio passa sotto silenzio e che interessa anche l’Italia ed altri Paesi mediterranei. E cioè quello dei giacimenti di idrocarburi che si trovano proprio di fronte a Gaza. In pochissimi sanno che dal 1999 anche l’Autorità della Palestina ha riconosciuta una propria riserva marittima di risorse energetiche. Anno in cui la ANP dette in concessione la licenza di sfruttamento alla British Gas di un grosso giacimento denominato Gaza Marine, ma di cui, in realtà, le autorità di Ramallah non hanno mai potuto disporre perché, semplicemente, Israele ne ha sempre impedito le attività.
Nel 2000 il giacimento venne considerato in grado, con i suoi 32 miliardi di metri cubi di gas, di garantire 15 anni di energia a Gaza ed alla Cisgiordania. Quello che Arafat definì il “Dono di Allah”. Un dono mai consegnato, in realtà.
Il 16 gennaio del 2020 sembrava che si potesse raggiungere un accordo in occasione dell’incontro del Cairo dell’East Mediterranean Gas Forum di cui fanno parte alcuni Paesi interessati al gas nel Mediterraneo orientale: Italia, Egitto, Grecia, Francia, Italia, Giordania, Israele. Oltre che l’Autorità nazionale della Palestina che, evidentemente, viene riconosciuta a seconda delle convenienze. In sostanza, i palestinesi si erano trovati costretti a dirsi disponibili a passare, a prezzi più bassi di mercato, attraverso compagnie israeliane per l’utilizzazione e la commercializzazione delle loro risorse energetiche presenti sotto il fondale marino antistante la Striscia di Gaza.
Poi, tutto è precipitato e c’è da chiedersi quanto la questione petrolifera e la possibilità di Cisgiordania e Gaza di trovare una certa autonomia energetica non spieghi tutto l’aiuto fornito da Netanyahu ad Hamas su cui dovrebbe fare luce l’inchiesta avviata in Israele e chiamata Qatargate per la quale due stretti collaboratori del Primo ministro israeliano sono finiti sotto processo. In sostanza, Israele fa di tutto per togliere territori alla gente di Palestina e far mancare loro quei minimi strumenti e mezzi che possa consentire la nascita di una entità statuale, e in questo la presenza di Hamas è sempre tornata comoda.
Insomma, è comprensibile che c’è chi non voleva che la questione della Flotilla strabordasse oltre il necessario.
(Tratto da www.politicainsieme.com)
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