Appunti per un programma di centro



Paolo Girola    1 Luglio 2019       0

Parto da quanto scritto qui da Giorgio Merlo nell’articolo “Basta con i partiti identitari” di cui condivido molte cose. Faccio una considerazione alla monsieur de la Palisse: perché ci sia un centrosinistra bisogna che ci sia un centro. Oggi questo non c’è , e ho sentito in questi giorni la stessa Maria Stella Gelmini richiamarsi a un centro che non può appiattarsi sulla Lega. Giorgio lo dice in riferimento al PD di Zingaretti.

Credo che il congresso di Forza Italia farà emergere le contraddizioni fra le posizioni di Toti e quelle di Carfagna-Gelmini. Giorgio pensa poi che sia positiva l’elezione di Tabacci a Presidente di +Europa. Lo penso anche io. In +Europa ci sono posizioni, oggi maggioritarie nel partito – ma forse non nella militanza –, che non fanno più riferimento al Partito Radicale (se non sbaglio hanno avuto il 70% al congresso di Milano): forze di area liberaldemocratica cattoliche e laiche. In Italia ci sono poi  molte liste civiche che possono essere iscritte in questa area. Oggi il centro deve essere il luogo di incontro di queste varie  esperienze .

Ma, come scrive Dellai, non bisogna costruire sulla sabbia, bisogna incontrarsi su alcuni punti programmatici concreti , oggi la gente vota per qualcosa di concreto: la flat tax o il reddito di cittadinanza, anche la lotta all’immigrazione ecc.

Io penso che questo centro, nel quale potrebbero confluire queste varie anime che chiamo liberaldemocratiche (dalla probabile scissione di Forza Italia dopo Berlusconi a quella del PD da parte di Calenda e renziani oltre agli altri che ho citato) debba appunto avere un programma liberaldemocratico:

Il welfare. Salvare il welfare puntando  a una società meno statalista nella quale le burocrazie statali sono più snelle e quindi meno gravanti sulle finanze pubbliche e di conseguenza sulle nostre tasche che si occupi più del controllo che della gestione in diversi campi, così da liberare le energie della migliore società civile: Dal welfare aziendale a  iniziative che mettano  in campo il privato sociale, il terzo settore, il privato convenzionato, i cosiddetti corpi intermedi, nell’assistenza, nella sanità, nell’istruzione, nella formazione. Si sa che i costi (e gli sprechi, gli assenteismi ecc.) sono decisamente inferiori alla gestione diretta del pubblico. Un privato che non sostituisce totalmente la gestione pubblica ma la integra e può contribuire, oltre a consistenti risparmi, con un po’ di concorrenza  a migliorarla.

Alcuni esempi: in campo sanitario mi pare che la Regione Lombardia abbia proceduto più o meno in questo senso. Il Piemonte no , ed ha provocato un buco di spesa recuperato tagliando le prestazioni e allungando le liste di attesa, tagliando le convenzioni per esami con gli ambulatori privati che forniscono un utile servizio ai cittadini. Io penso che i laboratori analisi degli ospedali dovrebbero essere dedicati ai ricoverati e alla alta diagnostica così da non far diventare i nosocomi un porto di mare affollato di gente che va e viene con gravi pericoli anche  per l’igiene. L’ex  sindaco di Torino Fassino, con un bilancio comunale in dissesto, diede  in gestione tutti i nidi municipali a cooperative che hanno rilevato anche il personale: Non risulta che, a parte le proteste del personale che voleva continuare a essere dipendente pubblico, qualcuno si sia lamentato.

Potrei continuare ricordando le RSA per anziani, praticamente tutte ormai gestite da privati  e , almeno in Piemonte, sottoposte a norme e controlli piuttosto rigidi sia per la tipologia strutturale sia per la qualificazione del personale.

La scuola. Non capisco l’accanimento contro le scuole paritarie: non sottolineo che in un Paese laico come la Francia gli stipendi dei docenti sono a carico dello Stato, basterebbe, senza riaprire stantie e ormai datate discussioni costituzionali, consentire ai genitori una maggiore libertà di scelta, dando loro la possibilità di dedurre le rette (magari fino a un certa cifra, 5.000 euro come per i PIP i piani individuali pensionistici privati), e borse di studio per i meno abbienti (tutti sapendo che un allievo nella scuola non statale costa la metà di uno nella statale…).

I poveri. In Italia è molto difficile accertare chi siano veramente e quanti siano: l’evasione fiscale, in alcune regioni la criminalità diffusa impediscono calcoli veritieri. Meglio dare fondi ai Comuni che conoscono le vere sacche di bisogno e le motivazioni: inutile dare soldi a famiglie  in cui vengono sprecati; meglio altri sostegni, come fanno Caritas  e San Vincenzo.

La riduzione delle tasse. Ha scritto Roberto Mingardi, su “La Stampa” del 23 giugno scorso, che il peggiore errore che possono fare le  opposizioni è “fingere che di quella riduzione delle imposte non ci sia necessità. Da anni il cittadino italiano ha la sensazione di pagare troppo, per una spesa pubblica di bassa qualità. E ha ragione”. Il problema è come,  e non andrebbe fatto a debito. Una riduzione che potrebbe anche essere finanziata nel primo anno con una qualche  patrimoniale (se i benefici sono credibili e chiari). Il debito rinvia il problema e non lo risolve.
Si sa che tanto più pesante è il prelievo tanto maggiore è l’incentivo all’ evasione o tanto minore l’incentivo a far crescere i propri redditi. Il merito delle flat tax è appunto quello di togliere gli scaglioni di reddito ma le “flat tax” di Salvini non sono “piatte” per niente e fanno esattamente il contrario. Pensiamo a una soglia di 50 mila euro per i dipendenti o a 65 mila per gli autonomi: tutti quelli che possono cercheranno di non superarla per non vedere aumentare fortemente il prelievo fiscale.

Qui mi fermo, ma potrei continuare.

Naturalmente ci vogliono anche valori che alimentino il privato sociale e lo rendano non solo speculativo. Credo che i cattolici, come molte altre istituzioni religiose e laiche, possono contribuire, e già lo fanno, a promuovere una società basata sull’impegno personale e dare ad essa valori indispensabili che devono essere alla base di una comunità civile: impegno, solidarietà, responsabilità individuale e collettiva.

E qui concludo citando don Bosco il cui programma era “formare il buon cristiano e il buon cittadino”.


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