
Continua a calare il numero di nascite in Italia e questo non tanto per ragioni economiche, ma soprattutto valoriali.
L’ulteriore calo delle nuove nascite nel 2024 (370 mila equivalenti al -2,6% rispetto all’anno precedente), ampiamente anticipato nelle indagini previsionali, trova conferma nel dato consolidato contenuto nel comunicato emesso ieri dall’Istat. Desta particolare preoccupazione la stima delle nascite registrate nei primi 7 mesi del 2025 (-13mila rispetto all’analogo periodo del 2024) che proiettata sulla parte rimanente dell’anno, fa intravedere un’ulteriore contrazione di 20mila nascite.
Questi numeri offrono un’ulteriore conferma della cronica inversione di tendenza rispetto alle 570 mila nascite registrate nel 2008, anno che segna l’apice della significativa ripresa del tasso di fecondità per ogni donna fertile (1,5 figli) registrato a cavallo del nuovo millennio. Quello attuale 1,18, marca il significativo peggioramento della distanza che ci separa dalla media dei Paesi europei (1,6).
Il calo delle nascite del 2024 risulta concentrato nei nuclei familiari composti da italiani (-9mila), mentre rimane stabile il numero di quelle generate da quelli composti da almeno uno o più stranieri (81mila pari al 21,8% del totale) . Riguarda indifferentemente la quota dei figli primogeniti (-2,7%) e di quelli successivi (-2,9%). Investe con una particolare accentuazione le aree del Mezzogiorno (-4,3%). Sul medio lungo periodo i tassi di natalità (3,4 per mille abitanti) tendono ad allinearsi su tutto il territorio nazionale.
Risulta in costante aumento anche l’età media per il primo parto (31,9 anni) con una particolare accentuazione in alcune regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Sardegna).
L’incidenza dei nati da coppie formalmente non coniugate continua a crescere in modo esponenziale (il 43,2% del totale), con un incremento di 23 punti percentuali rispetto al 2008.
La gran parte degli esperti e dei commentatori converge nell’attribuire le cause del fenomeno italiano alle criticità economiche relative all’instabilità dei rapporti di lavoro per le giovani generazioni e alla difficoltà di conciliare i carichi lavorativi con quelli familiari che, sommate all’allungamento dei percorsi formativi, tendono a procrastinare nel tempo le scelte di formare una famiglia e di generare figli.
Le motivazioni economiche trovano conferme nelle statistiche, ma tendono a sottovalutare altri fattori, a partire dai cambiamenti valoriali, che tendono a privilegiare altri stili di vita. Generare figli, e farli crescere, comporta inevitabilmente scelte d’amore e di capacità di donare che prescinde dal mero calcolo economico.
Nelle indagini di opinione focalizzate sulla disponibilità a generare figli aumenta in modo esponenziale la quota dei giovani che tendono a escludere questa eventualità a discapito di quelli che la prendono in considerazione in relazione alla sostenibilità economica.
La scelta di non instaurare solidi legami di coppia, a maggior ragione se accompagnati da vincoli istituzionali, e la rinuncia a generare figli è un fenomeno che investe tutti i ceti sociali, anche a prescindere dalle condizioni economiche. L’evoluzione culturale, unitamente alla riduzione demografica del numero delle donne fertili, riduce l’efficacia delle politiche rivolte a sostenere la ripresa della natalità.
Il tema è oggetto di riflessione anche nei Paesi, ad esempio la Francia e quelli del centro nord Europa, che storicamente hanno investito, con buoni risultati, nelle politiche fiscali e in servizi per il sostegno della natalità.
Tutto ciò non autorizza l’abbandono di queste politiche, per problemi di equità, di tutela delle persone, e per gli indiscutibili vantaggi collettivi, sia culturali che economici, derivanti dal contributo solidale offerto dalle famiglie generative. Il tasso di natalità, ancorché contenuto, continuerà a rappresentare una condizione indispensabile per assicurare livelli dignitosi e sostenibili di coesione sociale delle nostre comunità.
Ma la carenza di un ricambio generazionale adeguato impone l’assunzione di politiche, ad esempio l’ allungamento corposo dell’età pensionabile e l’aumento della pressione fiscale per sostenere la domanda di cura per le persone non autosufficienti, che non saranno indolori.
L’attenzione dedicata all’affermazione indifferenziata dei diritti individuali e di selezione delle priorità, coincide purtroppo con la perdita di valori condivisi e della capacità di costruire una visione comune dell’interesse generale.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
L’ulteriore calo delle nuove nascite nel 2024 (370 mila equivalenti al -2,6% rispetto all’anno precedente), ampiamente anticipato nelle indagini previsionali, trova conferma nel dato consolidato contenuto nel comunicato emesso ieri dall’Istat. Desta particolare preoccupazione la stima delle nascite registrate nei primi 7 mesi del 2025 (-13mila rispetto all’analogo periodo del 2024) che proiettata sulla parte rimanente dell’anno, fa intravedere un’ulteriore contrazione di 20mila nascite.
Questi numeri offrono un’ulteriore conferma della cronica inversione di tendenza rispetto alle 570 mila nascite registrate nel 2008, anno che segna l’apice della significativa ripresa del tasso di fecondità per ogni donna fertile (1,5 figli) registrato a cavallo del nuovo millennio. Quello attuale 1,18, marca il significativo peggioramento della distanza che ci separa dalla media dei Paesi europei (1,6).
Il calo delle nascite del 2024 risulta concentrato nei nuclei familiari composti da italiani (-9mila), mentre rimane stabile il numero di quelle generate da quelli composti da almeno uno o più stranieri (81mila pari al 21,8% del totale) . Riguarda indifferentemente la quota dei figli primogeniti (-2,7%) e di quelli successivi (-2,9%). Investe con una particolare accentuazione le aree del Mezzogiorno (-4,3%). Sul medio lungo periodo i tassi di natalità (3,4 per mille abitanti) tendono ad allinearsi su tutto il territorio nazionale.
Risulta in costante aumento anche l’età media per il primo parto (31,9 anni) con una particolare accentuazione in alcune regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Sardegna).
L’incidenza dei nati da coppie formalmente non coniugate continua a crescere in modo esponenziale (il 43,2% del totale), con un incremento di 23 punti percentuali rispetto al 2008.
La gran parte degli esperti e dei commentatori converge nell’attribuire le cause del fenomeno italiano alle criticità economiche relative all’instabilità dei rapporti di lavoro per le giovani generazioni e alla difficoltà di conciliare i carichi lavorativi con quelli familiari che, sommate all’allungamento dei percorsi formativi, tendono a procrastinare nel tempo le scelte di formare una famiglia e di generare figli.
Le motivazioni economiche trovano conferme nelle statistiche, ma tendono a sottovalutare altri fattori, a partire dai cambiamenti valoriali, che tendono a privilegiare altri stili di vita. Generare figli, e farli crescere, comporta inevitabilmente scelte d’amore e di capacità di donare che prescinde dal mero calcolo economico.
Nelle indagini di opinione focalizzate sulla disponibilità a generare figli aumenta in modo esponenziale la quota dei giovani che tendono a escludere questa eventualità a discapito di quelli che la prendono in considerazione in relazione alla sostenibilità economica.
La scelta di non instaurare solidi legami di coppia, a maggior ragione se accompagnati da vincoli istituzionali, e la rinuncia a generare figli è un fenomeno che investe tutti i ceti sociali, anche a prescindere dalle condizioni economiche. L’evoluzione culturale, unitamente alla riduzione demografica del numero delle donne fertili, riduce l’efficacia delle politiche rivolte a sostenere la ripresa della natalità.
Il tema è oggetto di riflessione anche nei Paesi, ad esempio la Francia e quelli del centro nord Europa, che storicamente hanno investito, con buoni risultati, nelle politiche fiscali e in servizi per il sostegno della natalità.
Tutto ciò non autorizza l’abbandono di queste politiche, per problemi di equità, di tutela delle persone, e per gli indiscutibili vantaggi collettivi, sia culturali che economici, derivanti dal contributo solidale offerto dalle famiglie generative. Il tasso di natalità, ancorché contenuto, continuerà a rappresentare una condizione indispensabile per assicurare livelli dignitosi e sostenibili di coesione sociale delle nostre comunità.
Ma la carenza di un ricambio generazionale adeguato impone l’assunzione di politiche, ad esempio l’ allungamento corposo dell’età pensionabile e l’aumento della pressione fiscale per sostenere la domanda di cura per le persone non autosufficienti, che non saranno indolori.
L’attenzione dedicata all’affermazione indifferenziata dei diritti individuali e di selezione delle priorità, coincide purtroppo con la perdita di valori condivisi e della capacità di costruire una visione comune dell’interesse generale.
(Tratto da www.ilsussidiario.net)
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