
«Si va verso un nuovo bipolarismo e l’Europa, se vuole recuperare la sua anima, dovrà fare da ponte tra questi mondi». Stefano Zamagni non ha nostalgie da secondo dopoguerra, «anche se la teoria della deterrenza, come già sosteneva Tucidide, è riuscita almeno per qualche decennio a garantire paradossalmente stabilità». Ora l’economista che ha presieduto per diversi anni la Pontificia Accademia delle Scienze sociali, dopo l’imponente parata militare che ha riempito ancora una volta piazza Tienanmen a Pechino, vede «da una parte il blocco della NATO, che è rimasto in piedi dopo la caduta del Muro quando avrebbe dovuto invece cedere il passo, vista la scomparsa del Patto di Varsavia; dall’altra il blocco composto da Cina, Russia e India, il cosiddetto blocco dello SCO, la Shanghai cooperation organization, cui fa riferimento il gruppo dei Paesi asiatici ed ex sovietici. Attenzione, però: non c’è solo Pechino dietro a questo piano».
Professor Zamagni, l’immagine di Xi Jinping nei panni del nuovo Mao Tse Tung ieri ha colpito molti osservatori, quasi fosse il regista di un nuovo ordine internazionale…
La Cina è di una furbizia diabolica, perché ha saputo tenere insieme in questi anni la presenza di un regime di tipo marxista con l’espansionismo utilitarista tipico dell’Occidente. Un fattore ha contemperato l’altro, frenandolo, senza dimenticare il peso del confucianesimo. Ma il blocco dello SCO oggi è molto più ampio: già oggi raggruppa il 40% della popolazione mondiale e circa il 25% del PIL. Se consideriamo anche i Paesi del Sud globale, arriviamo al 60% della popolazione mondiale e al 55% del Prodotto interno lordo del pianeta. Il paradosso è che questi Stati sono cresciuti e si sono sviluppati grazie all’Occidente e alla rivoluzione tecnologica. È stato un grave errore tenerli in condizione di sudditanza coloniale.
Qualche tempo fa, parlando col nostro giornale, lei disse che gli USA di Trump avrebbero copiato la Cina: meno libertà, meno diritti, più barriere, più controllo. Si sarebbe aspettato un cambiamento di scena così repentino?
Non si possono imporre i valori con la forza. I dazi voluti dall’amministrazione repubblicana sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma la situazione, così come l’abbiamo vista in questi mesi negli Stati Uniti, non può durare a lungo. Lo capisco dall’atteggiamento dei miei studenti all’Università americana di Bologna, la John Hopkins, dove insegno. Sono studenti che fanno master e dottorati di ricerca e hanno capito che la politica trumpiana non produce gli effetti desiderati. Alla nuova religione del potere predicata, in modo assai controverso, alla Casa Bianca, preferiscono il pragmatismo, come tanti loro connazionali: la veloce uscita di scena di Elon Musk non dice nulla?
Per l’Occidente qual è stato l’inizio della fine, a suo parere?
Il primo grande errore è stato non sciogliere la NATO dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, una volta caduto il Muro. In 30 anni l’Alleanza atlantica ha così proseguito la sua strategia, fino al recente maxi-piano di riarmo, finendo col far credere che l’Occidente avesse una volontà egemonica sul resto del mondo. In secondo luogo, i Paesi in via di sviluppo sono cresciuti molto, grazie anche all’aiuto dell’Occidente. Prima o poi, doveva arrivare il momento della resa dei conti. Questi Paesi vogliono contare e vogliono contarsi, come si è visto. Noi abbiamo pensato di tenerli sotto la nostra ala protettiva, sbagliando clamorosamente. Qui si innesca il terzo, decisivo errore: l’aver confuso il multipolarismo con il multilateralismo. Abbiamo garantito il primo, ma non il secondo, e invece le due cose dovevano accompagnarsi. Le regole del governo del mondo vanno fissate da tutti, altrimenti regna l’instabilità, che è ciò che sta accadendo. Se uno guarda al Consiglio di sicurezza dell’ONU, capisce subito che oggi, ancor più di ieri, il diritto di veto concesso a cinque Paesi è una vergogna.
Il diritto internazionale è stato dunque definitivamente superato? Ha vinto la logica del più forte?
Non sono così pessimista, in realtà, anche sull’esito di guerre drammatiche come quelle cui stiamo assistendo. Papa Francesco, prima della sua morte, chiedeva a noi della Pontificia accademia delle scienze sociali di ragionare su nuove regole multilaterali: un primo tentativo sarà il Jubilee report, il rapporto del Giubileo, che verrà presentato tra tre settimane all’assemblea dell’ONU. Ovviamente occorre cambiare la matrice culturale delle nostre politiche: abbandonare l’utilitarismo, secondo cui è lecito moralmente tutto ciò che aumenta il profitto, mentre intenzioni e bene comune non contano, per tornare all’etica della virtù. In questo senso, vedo possibile un nuovo risorgimento per il mondo cattolico. L’Occidente dovrà prima o poi tornare alla lezione di Aristotele, applicando il modello della democrazia deliberativa: i cittadini vogliono un governo che operi con loro, non solo per loro.
Sullo sfondo resta l’Europa, che pare essere diventata un attore marginale…
Se ci fossero nuovi leader politici, con la P maiuscola, l’Europa si troverebbe davanti a una grande occasione e potrebbe avere un ruolo fondamentale. Giovanni Paolo II diceva che il Vecchio continente doveva respirare con due polmoni, uno occidentale e l’altro orientale. L’Europa può davvero fare da ponte, come sostiene il nuovo codice di Camaldoli per l’Europa, suggerito dal cardinale Matteo Zuppi. È l’unico modo per uscire dalla logica dei nuovi blocchi contrapposti e per recuperare quel ruolo-chiave che ha sempre ricoperto nel corso dei secoli. Senza più perdere la sua anima.
(Tratto da www.avvenire.it, intervista di Diego Motta)
Professor Zamagni, l’immagine di Xi Jinping nei panni del nuovo Mao Tse Tung ieri ha colpito molti osservatori, quasi fosse il regista di un nuovo ordine internazionale…
La Cina è di una furbizia diabolica, perché ha saputo tenere insieme in questi anni la presenza di un regime di tipo marxista con l’espansionismo utilitarista tipico dell’Occidente. Un fattore ha contemperato l’altro, frenandolo, senza dimenticare il peso del confucianesimo. Ma il blocco dello SCO oggi è molto più ampio: già oggi raggruppa il 40% della popolazione mondiale e circa il 25% del PIL. Se consideriamo anche i Paesi del Sud globale, arriviamo al 60% della popolazione mondiale e al 55% del Prodotto interno lordo del pianeta. Il paradosso è che questi Stati sono cresciuti e si sono sviluppati grazie all’Occidente e alla rivoluzione tecnologica. È stato un grave errore tenerli in condizione di sudditanza coloniale.
Qualche tempo fa, parlando col nostro giornale, lei disse che gli USA di Trump avrebbero copiato la Cina: meno libertà, meno diritti, più barriere, più controllo. Si sarebbe aspettato un cambiamento di scena così repentino?
Non si possono imporre i valori con la forza. I dazi voluti dall’amministrazione repubblicana sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma la situazione, così come l’abbiamo vista in questi mesi negli Stati Uniti, non può durare a lungo. Lo capisco dall’atteggiamento dei miei studenti all’Università americana di Bologna, la John Hopkins, dove insegno. Sono studenti che fanno master e dottorati di ricerca e hanno capito che la politica trumpiana non produce gli effetti desiderati. Alla nuova religione del potere predicata, in modo assai controverso, alla Casa Bianca, preferiscono il pragmatismo, come tanti loro connazionali: la veloce uscita di scena di Elon Musk non dice nulla?
Per l’Occidente qual è stato l’inizio della fine, a suo parere?
Il primo grande errore è stato non sciogliere la NATO dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, una volta caduto il Muro. In 30 anni l’Alleanza atlantica ha così proseguito la sua strategia, fino al recente maxi-piano di riarmo, finendo col far credere che l’Occidente avesse una volontà egemonica sul resto del mondo. In secondo luogo, i Paesi in via di sviluppo sono cresciuti molto, grazie anche all’aiuto dell’Occidente. Prima o poi, doveva arrivare il momento della resa dei conti. Questi Paesi vogliono contare e vogliono contarsi, come si è visto. Noi abbiamo pensato di tenerli sotto la nostra ala protettiva, sbagliando clamorosamente. Qui si innesca il terzo, decisivo errore: l’aver confuso il multipolarismo con il multilateralismo. Abbiamo garantito il primo, ma non il secondo, e invece le due cose dovevano accompagnarsi. Le regole del governo del mondo vanno fissate da tutti, altrimenti regna l’instabilità, che è ciò che sta accadendo. Se uno guarda al Consiglio di sicurezza dell’ONU, capisce subito che oggi, ancor più di ieri, il diritto di veto concesso a cinque Paesi è una vergogna.
Il diritto internazionale è stato dunque definitivamente superato? Ha vinto la logica del più forte?
Non sono così pessimista, in realtà, anche sull’esito di guerre drammatiche come quelle cui stiamo assistendo. Papa Francesco, prima della sua morte, chiedeva a noi della Pontificia accademia delle scienze sociali di ragionare su nuove regole multilaterali: un primo tentativo sarà il Jubilee report, il rapporto del Giubileo, che verrà presentato tra tre settimane all’assemblea dell’ONU. Ovviamente occorre cambiare la matrice culturale delle nostre politiche: abbandonare l’utilitarismo, secondo cui è lecito moralmente tutto ciò che aumenta il profitto, mentre intenzioni e bene comune non contano, per tornare all’etica della virtù. In questo senso, vedo possibile un nuovo risorgimento per il mondo cattolico. L’Occidente dovrà prima o poi tornare alla lezione di Aristotele, applicando il modello della democrazia deliberativa: i cittadini vogliono un governo che operi con loro, non solo per loro.
Sullo sfondo resta l’Europa, che pare essere diventata un attore marginale…
Se ci fossero nuovi leader politici, con la P maiuscola, l’Europa si troverebbe davanti a una grande occasione e potrebbe avere un ruolo fondamentale. Giovanni Paolo II diceva che il Vecchio continente doveva respirare con due polmoni, uno occidentale e l’altro orientale. L’Europa può davvero fare da ponte, come sostiene il nuovo codice di Camaldoli per l’Europa, suggerito dal cardinale Matteo Zuppi. È l’unico modo per uscire dalla logica dei nuovi blocchi contrapposti e per recuperare quel ruolo-chiave che ha sempre ricoperto nel corso dei secoli. Senza più perdere la sua anima.
(Tratto da www.avvenire.it, intervista di Diego Motta)
Concordo in toto con quanto dichiarato molto lucidamente e chiaramente dal prof. Stefano Zamagni.
Credo però che, per attuare un simile piano geopolitico, sia necessario in precedenza far nascere una nuova cultura umanistica, cristiana ed ecumenica al contempo (homo sum et nihil humani a me alienum puto, come concetto ecumenico, accanto al ben chiaro concetto cristiano di solidarietà umana), che si proponga di spazzare dai cervelli degli europei quel concetto, tipicamente statunitense, dell’uomo ad una dimensione che mira per l’appunto meramente al profitto, individualmente, e spesso brutalmente, perseguito, umiliando ogni forma di spiritualità umana e sbandierando un’idea di progresso consistente in un prossesso materiale infinito che non si comprende come potrebbe portare alla felicità dell’intera umanità.
Senza una simile operazione intellettuale pura, quindi prepolitica, l’Europa non può che rimanere quel rottame intellettuale, prima ancora che politico, che è diventato con il sio assevimento intellettuale ogli USA REALI CHE GESTISCONO IL POTERE. Cioè distinguendo la perdente intellettualità statunitense (spesso di altissima qualità ma priva di un potere che non emani dalla protezione del potere che sovranamente gestisce la società americana in barba a tutti gli sbandierati valori), risultante anch’essa perdente di fronte alla “perdita di innocenza” del popolo americano dipendente dal trionfo della PLUTOTECNOCRAZIA industriale che di fatto ha snaturato la predicata DEMOCRAZIA rendendo, col passare del tempo, gli USA poco credibili, specialmente dopo la caduta del muro di Berlino.
E’ una vecchia storia questa, già ben nota nell’antichità. Aristotele è stato il primo pensatore ad osservare che, perché una polis sia “felice”, è necessario che non vi siano eccessive disparità economiche tra i cittadini. E ben sapeva ciò anche Abramo Lincon che aveva osservato che, affinché la democrazia americana potesse funzionare, non avrebbero dovuto esserci eccessivi accumuli di ricchezza da parte di alcuni gruppi di potere. Purtroppo cosa molto lontana dalla coscienza di quei pionieri americani che avevano serbato un odio profondo per le tasse imposte dal re d’Inghilterra al punto da approdare, due secoli dopo e salvo la parentesi “comunista” (così fu etichettata!) di Franklin Delano Roosvel, alla mai nominata (ma dominante nei cuori degli innocenti coloni) prassi ananarcocapitalistca. Insomma, tutto ciò non è che l’opposto del pragmatico “maoismo-non comunismo marxista-lienilista” di mercato cinese che, nei fatti, è semplicemente un’economia mista pubblico-privata ben vigilata dallo stato (molto in voga nella vecchia Europa non globalizzata dai molto ingenui centri di potere statunitensi) autoritariamente governata secondo millenari sistemi tirannici orientali lontani dalla nostra altrettanto millenaria (e anche talvolta, a modo suo, tirannica) storia occidentale.
Senza una tale operazione “laica”, e culturale allo stato puro, non si potrebbe cancellare dalle menti europee che l’alternativa alle follie totalitarie, che negli Anni Trenta del secolo scorso hanno portato spiritualmente alla FINIS EUROPAE, l’idealizzazione della materialistica, e ora in crisi, American way of life che tutt’ora occupa le menti dell’intero occidente.
Sia Zamagni che Accorinti presentano un diagnosi perfetta di politica internazionale, l’aspetto più difficile sta nell’individuare la strada più agevole per uscire da questa brutta situazione marcatamente anarco capitalistca massonica, troppa ricchezza nelle mani di pochi che organizzano e decidono il futuro dell’umanità. I documenti raccolti da svariati ricercatori sono ormai in grado di dimostrare come un super-governo ombra, diretto dall’alta finanza internazionale, coordina da tempo le azioni e i programmi dei nostri rappresentanti di ogni colore politico per realizzare disegni di dominio assoluto e di nefasta globalizzazione. Si tratta di ciò che la massoneria ama eufemisticamente definire “Nuovo Ordine Mondiale”, un piano secolare che contempla la concentrazione di tutte le risorse del pianeta nelle mani di una infima élite di super-banchieri. Solo conoscendo i retroscena e gli obiettivi delle società occulte a cui sono appartenuti e appartengono tutt’ora tutti i maggiori protagonisti della storia possiamo provare a comprendere realmente il passato, il presente, e forse anche il nostro futuro. Il vero ruolo esercitato dalle società segrete. La crisi del 2006 fra Russia e Ucraina riguardante il prezzo del gas che la prima vendeva alla seconda è figlia di un disegno eversivo con importanti riflessi sull’economia europea, poiché attraverso l’Ucraina passa il gasdotto che alimenta, tra gli altri, Italia, Ungheria, Austria e Repubblica Ceca. Premessa a parte, “La leva più potente è l’odio”, che non costruisce nulla: divide popoli e famiglie, frantuma la politica e rende impossibile il dialogo. È ciò che separa russi e ucraini, israeliani e palestinesi, e anche – su scala diversa ma non meno tossica – centrodestra, magistratura e campo largo. Il riarmo non è una soluzione, ma un fallimento della politica. Spendere miliardi per prepararci alla guerra, invece che investire per evitarla, è una decisione abominevole. Goya non aveva torto: “Il sonno della ragione genera mostri”. E il mostro è proprio quello della guerra come normalità, anziché eccezione. Su questo punto, trovo equilibrata la posizione dell’ammiraglio Cavo Dragone: sì a una difesa europea più coordinata, no a duplicazioni inutili come un esercito UE parallelo alla NATO. Condivido il giudizio: razionalizzare le risorse, evitare sprechi, e soprattutto evitare provocazioni. La guerra non conviene neanche a Mosca, e questo è un punto fermo da cui ripartire. Quali sono i veri pilastri da rafforzare? Altro che armi. Ecco dove l’Italia dovrebbe investire:
1.Riassetto del territorio e acqua dolce per il Sud – La siccità è il nuovo fronte caldo. Recuperare, desalinizzare, distribuire: senza acqua non c’è agricoltura, né coesione territoriale.
2.Agricoltura tecnologica e verticale – frutta, verdura, qualità e filiere corte. Innovare in agricoltura non vuol dire solo droni e sensori, ma anche rispetto per i suoli e per chi lavora la terra.
3.Ricerca applicata: sinergia tra industria e università – Abbiamo 96 atenei in Italia: un capitale di cervelli sottoutilizzato. Serve un ponte stabile tra ricerca e produzione, tra idee e imprese.
4. Energia di potenza pulita e a basso costo – Senza energia non c’è industria, ma serve pulita, distribuita e sostenibile. La transizione ecologica non deve essere una crociata ideologica, ma un investimento strategico.
Purtroppo questi sogni si allontanano perché Trump ci obbliga ad acquistare CH4 dagli USA a prezzi capestro. La guerra del Gas russo: anch’io come il Prof. Stefano Zamagni, sono per “il primato del bene sul giusto”. Per la pace mondiale Trump deve dimettere Zelensky, fino ad oggi i morti sono oltre 700.000 ucraini + 200.000 russi e 1000 MM USD di danni economici che pagheremo noi Paesi UE. Popoli della Terra uniamoci (Italia per prima), si dichiari l’armistizio, sono con tutti quelli che la pensano come: Stefano Zamagni, Paolo Liguori, Piero Sansonetti, Massimo Cacciari, Giuseppe Conte, Marco Travaglio, Michele Santoro, Giampiero Mughini, Vittorio Sgarbi ecc. Il Popolo ucraino è ridotto allo stremo con danni neurologici spaventosi. Non ho mai dimenticato ciò che subirono quelli della mia generazione, sottoscritto compreso, dal 1940 fino al 1960 (venti anni di sofferenze durante e dopo 2a guerra mondiale, un periodo da cani bastonati!). Perciò si deve rispettare l’art. 11 della nostra Costituzione, Mattarella a corrente alternata: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. “La guerra è costata troppo all’America e alla Nato”. Una guerra commerciale sbagliata, come dicevo, data d’inizio 2006 per il gas non pagato dagli ucraini ai russi, continua ancora oggi e danneggia le economie occidentali. Non ci saranno ne vincitori e ne vinti ma soltanto morti, distruzioni, invalidi permanenti e una drammatica parola: “tragedia”.