
Assuefatti all’illogico, rassegnati al peggio, abituati al non sense, ci avviamo allegramente all’autunno più sconsiderato della storia recente del Paese. In mezzo a due guerre che chiamano l’Italia a un ruolo di pace, nel mezzo di una trattativa spasmodica sul nuovo quadro finanziario europeo, nel cuore di una sessione di bilancio ancora più impattante dal punto di vista sociale per via dei piani di riarmo imposti in sede internazionale e dei dazi imposti dagli Usa, ci concediamo il lusso di una raffica di elezioni regionali rigorosamente separate l’una dall’altra (e se qualche data coinciderà, sarà per caso e non per sapienza). Niente election-day. Da fine settembre a fine novembre, ogni santo giorno ci consegneremo con leggerezza e nonchalance al retorico teatrino del chi vince e chi perde a livello nazionale, chi è più forte e chi è più debole, chi regge il timone delle coalizioni e chi è condannato a stare a bordo da marinaio semplice, il governo tiene o non tiene, il campo largo si forma o non si forma... Ogni singolo giorno, per due mesi interi, mentre il mondo è nel caos, l’Europa annaspa e il Paese naviga a vista tra troppe incertezze.
E che elezioni, poi. Marche, Campania, Veneto, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta. Tutti test probanti. Cui i leader di partito parteciperanno, necessariamente, come trottole. Chiusa la complessa partita dei candidati, li vedremo teletrasportarsi lungo tutto lo Stivale alzando i toni, promettendo la luna, allestendo o annunciando in fretta e furia misure-spot acchiappa consenso, programmando iniziative e piazze pervase di sloganismo, radicalizzando le proprie posizioni, allontanando persino le ombre di un proficuo dialogo istituzionale e politico sulle priorità del Paese, dell’Ue, del contesto internazionale.
Al loro seguito, ovviamente, i parlamentari interessati di volta in volta dalla competizione elettorale, con la prospettiva di rendere ancora più corta e stritolata l’agenda di Camera e Senato. Acclarato che non poteva emergere in questa circostanza un’autorità nazionale in grado di organizzare la vita elettorale del Paese secondo parametri di sostenibilità, acclarato che anche stavolta il tanto decantato regionalismo non ha dato grande prova di sé, ci si ritrova con una domanda: ma dove non arrivano le regole, le leggi, le prassi, non può arrivare l’applicazione del ragionamento razionale? Nessuno, da Palazzo Chigi ai segretari e leader di partito, sino ad arrivare ai singoli governatori uscenti, uomini di comprovata esperienza politica ed istituzionale, ha avvertito il senso di responsabilità di consegnare al Paese un appuntamento elettorale singolo, di oggettiva importanza, simile ad una elezione di midterm, che avrebbe avuto un prima e un dopo rilevanti, forse rilevantissimi, ma in ogni caso concentrati e dunque meno impattanti? Non è accaduto, da Roma si è lasciato fare e i singoli territori hanno deciso o stanno decidendo in base a piccole convenienze: c’è chi pensa di trarre vantaggio da una campagna elettorale accorciata, chi invece ritiene più utile per sé consumare sino all’ultima ora di potere disponibile.
Guardando avanti, lo sconcerto non può che aumentare. Dopo le sei tornate elettorali asincrone, dopo il dicembre di tregua che servirà alle Camere per approvare la legge di bilancio come al solito last second e sacrificando la dignità di una delle due Aule, con molta probabilità saremo già immersi in una nuova campagna elettorale ad alto tasso di polarità per il referendum costituzionale (confermativo, senza quorum) sulla separazione delle carriere. Seguirà a stretto giro ancora un’altra tornata amministrativa e ci si troverà, dall’estate 2026, già in campagna elettorale per le elezioni politiche del 2027, che potrebbero essere anticipate di qualche mese e unite (auspicabilmente) alle amministrative di Roma, Milano e Napoli. E va da sé che l’ultimo scorcio di legislatura è dominato tradizionalmente da un dossier importante, ma slegato (almeno apparentemente) dalle necessità concrete delle persone: la legge elettorale.
Difficile dire in astratto se questo forcing elettorale rafforzerà la già drammatica tendenza astensionistica dei cittadini o al contrario suonerà come una sveglia partecipativa. Certamente, si perdonerà la schiettezza, alimenterà, anche all’estero e anche presso gli ambiti investitori nazionali e internazionali, l’idea di un Paese-barzelletta, che vota di continuo, in modo frenetico, disorganico, caotico, al solo fine di rilegittimare una politica che non si sa rilegittimare attraverso le scelte che assume. Se per approssimazione o indifferenza o calcolo non si sa o vuole organizzare un banale election day, è legittimo dubitare sulla qualità del discernimento della nostra classe politica di fronte a questioni ben più rilevanti.
(Tratto da www.avvenire.it)
E che elezioni, poi. Marche, Campania, Veneto, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta. Tutti test probanti. Cui i leader di partito parteciperanno, necessariamente, come trottole. Chiusa la complessa partita dei candidati, li vedremo teletrasportarsi lungo tutto lo Stivale alzando i toni, promettendo la luna, allestendo o annunciando in fretta e furia misure-spot acchiappa consenso, programmando iniziative e piazze pervase di sloganismo, radicalizzando le proprie posizioni, allontanando persino le ombre di un proficuo dialogo istituzionale e politico sulle priorità del Paese, dell’Ue, del contesto internazionale.
Al loro seguito, ovviamente, i parlamentari interessati di volta in volta dalla competizione elettorale, con la prospettiva di rendere ancora più corta e stritolata l’agenda di Camera e Senato. Acclarato che non poteva emergere in questa circostanza un’autorità nazionale in grado di organizzare la vita elettorale del Paese secondo parametri di sostenibilità, acclarato che anche stavolta il tanto decantato regionalismo non ha dato grande prova di sé, ci si ritrova con una domanda: ma dove non arrivano le regole, le leggi, le prassi, non può arrivare l’applicazione del ragionamento razionale? Nessuno, da Palazzo Chigi ai segretari e leader di partito, sino ad arrivare ai singoli governatori uscenti, uomini di comprovata esperienza politica ed istituzionale, ha avvertito il senso di responsabilità di consegnare al Paese un appuntamento elettorale singolo, di oggettiva importanza, simile ad una elezione di midterm, che avrebbe avuto un prima e un dopo rilevanti, forse rilevantissimi, ma in ogni caso concentrati e dunque meno impattanti? Non è accaduto, da Roma si è lasciato fare e i singoli territori hanno deciso o stanno decidendo in base a piccole convenienze: c’è chi pensa di trarre vantaggio da una campagna elettorale accorciata, chi invece ritiene più utile per sé consumare sino all’ultima ora di potere disponibile.
Guardando avanti, lo sconcerto non può che aumentare. Dopo le sei tornate elettorali asincrone, dopo il dicembre di tregua che servirà alle Camere per approvare la legge di bilancio come al solito last second e sacrificando la dignità di una delle due Aule, con molta probabilità saremo già immersi in una nuova campagna elettorale ad alto tasso di polarità per il referendum costituzionale (confermativo, senza quorum) sulla separazione delle carriere. Seguirà a stretto giro ancora un’altra tornata amministrativa e ci si troverà, dall’estate 2026, già in campagna elettorale per le elezioni politiche del 2027, che potrebbero essere anticipate di qualche mese e unite (auspicabilmente) alle amministrative di Roma, Milano e Napoli. E va da sé che l’ultimo scorcio di legislatura è dominato tradizionalmente da un dossier importante, ma slegato (almeno apparentemente) dalle necessità concrete delle persone: la legge elettorale.
Difficile dire in astratto se questo forcing elettorale rafforzerà la già drammatica tendenza astensionistica dei cittadini o al contrario suonerà come una sveglia partecipativa. Certamente, si perdonerà la schiettezza, alimenterà, anche all’estero e anche presso gli ambiti investitori nazionali e internazionali, l’idea di un Paese-barzelletta, che vota di continuo, in modo frenetico, disorganico, caotico, al solo fine di rilegittimare una politica che non si sa rilegittimare attraverso le scelte che assume. Se per approssimazione o indifferenza o calcolo non si sa o vuole organizzare un banale election day, è legittimo dubitare sulla qualità del discernimento della nostra classe politica di fronte a questioni ben più rilevanti.
(Tratto da www.avvenire.it)
Lascia un commento