Ursula, i dazi e il gioco delle tre carte



Giancarlo Infante    31 Luglio 2025       0

Ursula von der Leyen, Merz e Martin Weber. Tre tedeschi, e ahinoi, tre popolari, che sui dazi la raccontano diversamente, almeno in parte.

La prima, dopo il controverso accordo con Trump, deve ora vedersela con gli insoddisfatti. Sono tanti. A partire da molti nel Parlamento europeo. Il quale, almeno sulla carta, è meno condizionato dal numero di quei sovranisti i quali, invece, sono riusciti a far valere la loro forza su tanti governi che hanno stretto la strada della von der Leyen anche in occasione delle trattative con Trump.

Comunque, quello portato umilmente in omaggio a Trump nella sede di un suo business personale in Scozia, è altro regalo di questa destra parolaia che svende i veri interesse dei vari Paesi membri. Di alcuni meno e di altri più, come capita, guarda caso, “alla nostra Nazione”, cui la Meloni si trova adesso a dover far pagare il proprio “trumpismo”.

Merz – a prima vista, almeno – non andrebbe contato tra gli insoddisfatti. Anzi, ha sprizzato gioia per le evitate possibili conseguenze ai danni dell’industria automobilistica tedesca. Salvo, poi, rettificare leggermente i tiro e far capire di una soddisfazione a metà. Perché la Germania non esporta solo auto. Forse anche lui seguirà la Meloni con la richiesta di “ristori” per i settori che ne usciranno più danneggiati. Però Weber, a capo dei popolari europei, fa sbraitare il portavoce al commercio internazionale del gruppo PPE di Bruxelles, l’eurodeputato Jörgen Warborn, contro i dazi statunitensi del 15% e gli fa ribadire “il sostegno del PPE al commercio multilaterale basato sulle regole”. Con l’aggiunta che: “l’imposizione di una tariffa di base del 15% è una palese violazione dei principi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e un grave colpo alla competitività industriale europea”.

Siamo evidentemente dinanzi ad una messa in scena combinata di dichiarazioni diverse e in parte contraddittorie. Cioè di fronte ad un “gioco” di squadra tutto teutonico per non esporre il fianco né ai socialisti di casa, né agli altri scomodi connazionali dell’estrema destra sovranista e nazionalista. Insomma: ciascuno svolge più parti in commedia in difesa degli interessi germanici.

E sulla scena italiana, cosa accade? Cosa accade a Giorgia Meloni, a lei che sperava e faceva dire i suoi di far affidamento nelle sue “relazioni speciali” con Trump? Ve li ricordate Italo Bocchino e gli altri “pupazzi parlanti”, che ogni sera sgrammaticavano in televisione questo ridicolo messaggio. Accade che oggi si trova in grande imbarazzo. Perché quel mondo economico italiano che ha puntato su di lei si troverà, dopo la performance scozzese della sottomessa Ursula, in difficoltà maggiori di prima sui mercati internazionali. E a lei non rimane che trincerarsi dietro una mancata conoscenza dei dettagli dell’accordo. Dettagli importanti, però. E comunque dettagli che, di norma, Ursula von der Leyen avrebbe invece dovuto sottoscrivere solo dopo aver sentito tutti e 27 i paesi europei. Perfino l’Italia, visto che li rappresenta tutti in materia di commercio internazionale.

Adesso, ma forse un po’ tardi, la Meloni sui dettagli promette battaglia… giungendo a dire che si tratta di un accordo non ancora “giuridicamente vincolante”. E questo è vero; almeno in teoria; perché le regole europee prevedono l’accettazione formale da parte del Parlamento. Ma è vero solo in teoria. E che la “Presidente del Consiglio” debba rifugiarsi dietro questa fictio soprattutto la dice lunga su quanto l’Italia sia tornata “grande”. E forse lo è davvero; ma solo al “tavolo delle tre carte”. Dove peraltro, sembra perdere sempre.

Almeno il Primo Ministro francese François Bayrou – un altro “centrista” – ha avuto il pudore di riconoscere: “È un giorno molto buio quando un’alleanza di popoli liberi, riuniti per affermare i propri valori comuni e difendere i propri interessi comuni, si rassegna alla sottomissione”.

E intanto, Trump – che pure aveva sinora messo insieme solo una bella collezione di figuracce e di dietrofront – può per una volta cantare vittoria. E questa volta a buon titolo, viste le centinaia di miliardi che la Von der Leyen gli ha promesso di far utilizzare in acquisti in armi americane, e di combustibili fossili a prezzi tre volti più cari che quelli della Russia. Il che, in conclusione, pensando anche alla guerra d’Ucraina, la dice lunga su come stanno – tra Trump e l’Europa – le cose che contano.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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