
    E’ penoso, quasi imbarazzante parlare del conflitto che sta insanguinando nuovamente il Medioriente. E’ difficile trattarne in termini oggettivi e distaccati. Perché avversiamo l’antisemitismo e non siamo mai stati nemici di Israele. Che cos’è l’antisemitismo? Forse un meccanismo mentale elementare che agisce nelle profondità del subconscio dell’occidente? Che cosa ha rappresentato il popolo ebraico per gli europei d’occidente e d’oriente? Forse una soggettività altra ma al tempo stesso intimamente simile alla propria? Una sorta di alter ego che può essere odiato ed esecrato quasi a esorcizzare le proprie mancanze e limiti? Dinamiche che agiscono a livello individuale e collettivo.
Giovanni Paolo II chiuse un paio di millenni di persecuzioni, alternate a fasi segnate da un certo grado di tolleranza, da parte dei cristiani verso gli ebrei. I nostri fratelli maggiori li definì. Forse avrebbe potuto dire i nostri padri. Nel nuovo testamento si menziona il “Padre Abramo” (Lc 16, Gv. 8). Forse l’antisemitismo è una sorta di reiterato parricidio, la ribellione del figlio che cerca di emanciparsi per diventare adulto. Il parricidio è un archetipo presente in moltissime culture come sappiamo. Proprio in considerazione della sua natura di “struttura” psicologica profonda l’antisemitismo è sempre in agguato, quasi uno schema antropologico elementare della coscienza collettiva, un mostro che si può risvegliare qualora le circostanze lo permettano: un’epoca segnata da crisi identitarie, ansia, transizione verso un approdo ancora indistinguibile non rappresenta forse la condizione perché questo meccanismo s'inneschi e deflagri? Basta una scintilla celata sotto motivazioni apparentemente razionali. L’ebreo errante, agitato dal vento di una diaspora millenaria ha trovato finalmente uno spazio stabile e uno Stato; oggi si ritrova coinvolto in una guerra che non avrebbe mai desiderato, guidato da ideologie estreme del tutto estranee alla tradizione culturale Yiddish e Ashkenazita che nei secoli ha corroborato con contributi preziosi l’arte e il pensiero dell’occidente (Mahler, Freud, Einstein…) ma paradossalmente molto simili nei metodi a quelle che periodicamente hanno vomitato odio sulle donne e sugli uomini della diaspora fino agli orrori della soluzione finale.
Se questo Stato, il focolare degli ebrei, guidato dagli estremisti adotta nei confronti di una popolazione avvertita come ostile, misure che obiettivamente è difficile non definire genocidiarie basta poco perché il mostro dell’antisemitismo non trovi il pretesto per risvegliarsi gettando la colpa di quanto accade sull’intero popolo ebraico. Quello stesso ebreo che per due millenni è stato il perfido deicida viene accusato oggi di essere il genocida di un’intera popolazione.
E’ facile cadere vittime delle generalizzazioni: l’orrore suscitato dalla tracotanza illimitata con cui il governo Netanyahu sta infliggendo ai palestinesi una punizione chiaramente intesa a dare corpo a una soluzione finale del tutto simile a quella con cui il nazismo tentò di cancellare gli ebrei dalla storia, cade su un terreno fertile, dissodato da due millenni di odio antisemita; anche noi italiani siamo stati accusati talora, in blocco, di essere fascisti o mafiosi ma questi semi di odio hanno avuto vita breve, cadevano su terreni sterili giacché non vi è mai stata alcuna radicata avversione nei nostri confronti.
Possiamo sviluppare una rilettura politica della cronaca di questi mesi alla luce dei rapporti intercorsi negli ultimi 100 o 120 anni tra gli ex sudditi dell’impero ottomano stanziati in Palestina e le colonie ebraiche prima e lo stato di Israele poi.
Le inevitabili frizioni fra i primi coloni animati dagli ideali sionisti di Theodor Herzl (a proposito: quanta ipocrisia e scarsa conoscenza della storia e del pensiero politico da parte di chi afferma io non sono affatto antisemita ma bensì antisionista!), la dichiarazione Balfour con cui il segretario agli esteri britannico si impegnava a riconoscere un focolare nazionale agli ebrei nella terra ancestrale, la dichiarazione 181 dell’ONU del ’47 che sanciva la nascita di due Stati respinta dai paesi arabi e dagli ex sudditi ottomani: ne scaturì la prima guerra arabo israeliana, Egitto, Siria, Giordania e Iraq speravano di disperdere quei fastidiosi europei e impadronirsi di qualche lembo di territorio con buona pace dei correligionari palestinesi; ma le cose andarono diversamente come si sa. Da notare che a opporsi alla soluzione dei due Stati (oggi uno scioglilingua per i governanti di ogni latitudine che cercano di fare bella figura di fronte agli intrighi mediorientali pur non sapendo che pesci prendere) furono gli arabi ma anche una minoranza di israeliani estremisti fautori del “grande Israele”.
Ci furono altre guerre, sofferenze da ambo le parti risoluzioni diplomatiche, speranze di pace e riconciliazione deluse; scomparvero per vecchiaia, malattia o per attentato leader di grande spessore come Sadat, lo stesso Arafat e Rabin: irriducibili avversari per un lungo periodo ma capaci poi di intessere un dialogo e di riportare la politica letteralmente nel centro della scena, perché è al centro che si smussano gli spigoli, si ricerca il necessario compromesso e si aprono spazi di speranza per la gente comune.
Oggi attraversiamo un po’ ovunque una fase in cui estremismi, stati emotivi incandescenti, formule semplificatorie e manichee la fanno da padroni: in Europa assistiamo sgomenti al fenomeno inedito di un centrismo autoproclamato che neppure riesce ad articolare la parola negoziato con riferimento a un conflitto che insanguina il quadrante orientale del continente, un centrismo estremista, ossimoro (forse) inconsapevole. Ma in Medioriente questo esilio della saggezza e della politica (del centrismo!) assume un tragico risalto. Hamas sapeva che l’orrore del 7 ottobre avrebbe scatenato una reazione devastante e che l’intero popolo palestinese di Gaza si sarebbe ridotto a scudo umano di massa, il governo israeliano dominato dall’estremismo religioso ha salutato con beffarda soddisfazione quella Pearl Harbour mediorientale? Emerge in filigrana una funesta corrispondenza di amorosi sensi fra gli estremisti dell’una e dell’altra fazione impegnati in un gioco mortale a somma zero. I fautori del Grande Israele, minoranza ai tempi di Ben Gurion e Golda Meir nel ’47, oggi occupano il potere. E’ sulla variabile religiosa che bisogna spostare l’attenzione; Israele è un paese lacerato: da una parte vi è chi armonizza la propria fede religiosa con i principi della democrazia liberale o ha una visione del tutto laica della vita dall’altra i fondamentalisti che ispirano la loro visione della società e della politica a una lettura priva di mediazioni esegetiche della Scrittura.
Chi scrive ha recentemente seguito un corso biblico (tenuto da Miglietta e De Leon noti biblisti torinesi) sui due libri immediatamente successivi al Pentateuco, Giosué e Giudici, che narrano la progressiva conquista dei territori da parte di una nascente confederazione di tribù accomunate dalla concezione monoteista del divino: era un mondo spietato dove per ordine del Signore gli abitanti di qualsiasi età delle città conquistate dovevano essere passati tutti a fil di spada onde evitare che in futuro i nemici ( Evei, Gebusei, Amorrei, Filistei, i palestinesi dell’epoca) ti ricambiassero la cortesia. Alla luce delle tragiche notizie di cronaca commentammo desolati che in quella piccola porzione di terra benedetta e infelice in 3000 anni non è cambiato molto. In Gdc. 16 si racconta la vicenda di Sansone che svelle le porte di ….Gaza (allora governata dai Filistei dopo essere stata Cananea)! Le destre religiose israeliane operano una mera trasposizione di quei fatti e di quelle atmosfere ai giorni nostri. Il sionismo moderno, tanto vituperato nelle assemblee ProPal, inizialmente non nutriva affatto il proposito di prevaricare su altri popoli. Ho amici ebrei che assistono con grande sgomento a tutte queste vicende.
Rispetto a 3000 anni fa la popolazione mondiale non ammonta a 200 milioni di persone ma ad alcuni miliardi, esiste il villaggio globale, esistono i principi del diritto internazionale, esistono le comunità di Stati e le organizzazioni multilaterali: eppure lo schema del gioco mediorientale dove si intrecciano e infrangono interessi diversi e configgenti sembra immutabile. Sull’Europa vi sarebbe moltissimo da dire o forse nulla in considerazione della passività con cui l’Unione ha accettato un ruolo ancillare in questa fase di ridefinizione dei rapporti di forza che costituiranno la base del nuovo sistema internazionale (se e quando si sarà consolidato).
L’unico segnale politicamente significativo è il riarmo tedesco apparentemente sinergico con quello francese e inglese ma foriero di tensioni che potrebbero squassare rovinosamente la tenuta dell’Unione ( UK non ne fa parte ma è il cuore di quel “consensus” antirusso che gli anglosassoni sono riusciti a imporre cogliendo a pretesto un conflitto che sotto altre condizioni sarebbe restato tutto interno al mondo slavo): evidentemente non si pone l’orecchio alle lezioni della Storia né a quel soldato galantuomo che di nome faceva Eisenhower e temeva, insieme allo strapotere del “blocco militar-industriale" (lo disse nel discorso di commiato al termine del mandato presidenziale), proprio il Rearm tedesco sopra ogni cosa.
L’imprevedibile, zazzeruto barbaro statunitense invece si è mosso attivamente. Ha lanciato alcuni messaggi in diverse direzioni. Ha bombardato con “moderazione” l’Iran (pare preavvertendoli addirittura). Che cosa significa? Vi potremmo ridurre in cenere ma se sarete ragionevoli potremmo anche diventare “quasi amici” e a noi tornerebbe comodo bilanciare il peso dei nostri ingombranti alleati del Golfo che vi sono nemici. E a Israele: saremo sempre al vostro fianco ma il governo del conflitto deve rimanere saldo nelle nostre mani, evitate colpi di testa e ricordate che le armi siamo noi a fornirvele. Alla Russia: non abbiamo distrutto quel paese con cui avete stipulato un matrimonio di convenienza e rappresenta il vostro unico punto di riferimento in Medioriente dopo la caduta di Assad e la vostra precipitosa ritirata dalla Siria. In cambio vi chiediamo di esercitare una moral suasion sugli ayatollah invitandoli alla moderazione (la Russia ha prontamente eseguito): potremmo così gettare le basi per un “deal” sul versante ucraino che vi sta così a cuore. E un messaggio rivolto al deep state: lo so che neocons e dem sono rosi dal desiderio di rovesciare il regime iraniano ma il tempo dell’avventurismo militare è scaduto, l’esportazione in punta di fucile della democrazia non è più all’ordine del giorno, è tempo di una nuova politica estera, l’epoca dell’unilateralismo è terminata.
Può piacere o non piacere ma le bombette trumpiane erano cariche non solo di tritolo ma di politica. Il Presidente statunitense ha ritmi circadiani del tutto imprevedibili; è un gambler , un giocatore di poker, uno spregiudicato venditore. Punta forte gettando nello sconcerto gli avversari seduti al tavolino: l’Europa va nel panico, le borse pure ( e lui privatamente specula:” fossi nella testa di Trump quanti soldi ti farei guadagnare…” ha detto il mio consulente finanziario). Ma questo è lo scenario e occorre prenderne atto. Il vero confronto sussurrano molti analisti avrà sede sul quadrante indo pacifico. La Cina avrebbe interesse a mantenere caldo il fronte ucraino per impegnare gli USA su un secondo oneroso teatro. Per questo motivo probabilmente Trump cerca l’appeasement con la Russia ma per far questo, per sottrarre questo grande Paese all’abbraccio mortale di Pechino avrebbe bisogno dell’aiuto diplomatico dell’Europa. Europa?….Toc toc…
		
		Giovanni Paolo II chiuse un paio di millenni di persecuzioni, alternate a fasi segnate da un certo grado di tolleranza, da parte dei cristiani verso gli ebrei. I nostri fratelli maggiori li definì. Forse avrebbe potuto dire i nostri padri. Nel nuovo testamento si menziona il “Padre Abramo” (Lc 16, Gv. 8). Forse l’antisemitismo è una sorta di reiterato parricidio, la ribellione del figlio che cerca di emanciparsi per diventare adulto. Il parricidio è un archetipo presente in moltissime culture come sappiamo. Proprio in considerazione della sua natura di “struttura” psicologica profonda l’antisemitismo è sempre in agguato, quasi uno schema antropologico elementare della coscienza collettiva, un mostro che si può risvegliare qualora le circostanze lo permettano: un’epoca segnata da crisi identitarie, ansia, transizione verso un approdo ancora indistinguibile non rappresenta forse la condizione perché questo meccanismo s'inneschi e deflagri? Basta una scintilla celata sotto motivazioni apparentemente razionali. L’ebreo errante, agitato dal vento di una diaspora millenaria ha trovato finalmente uno spazio stabile e uno Stato; oggi si ritrova coinvolto in una guerra che non avrebbe mai desiderato, guidato da ideologie estreme del tutto estranee alla tradizione culturale Yiddish e Ashkenazita che nei secoli ha corroborato con contributi preziosi l’arte e il pensiero dell’occidente (Mahler, Freud, Einstein…) ma paradossalmente molto simili nei metodi a quelle che periodicamente hanno vomitato odio sulle donne e sugli uomini della diaspora fino agli orrori della soluzione finale.
Se questo Stato, il focolare degli ebrei, guidato dagli estremisti adotta nei confronti di una popolazione avvertita come ostile, misure che obiettivamente è difficile non definire genocidiarie basta poco perché il mostro dell’antisemitismo non trovi il pretesto per risvegliarsi gettando la colpa di quanto accade sull’intero popolo ebraico. Quello stesso ebreo che per due millenni è stato il perfido deicida viene accusato oggi di essere il genocida di un’intera popolazione.
E’ facile cadere vittime delle generalizzazioni: l’orrore suscitato dalla tracotanza illimitata con cui il governo Netanyahu sta infliggendo ai palestinesi una punizione chiaramente intesa a dare corpo a una soluzione finale del tutto simile a quella con cui il nazismo tentò di cancellare gli ebrei dalla storia, cade su un terreno fertile, dissodato da due millenni di odio antisemita; anche noi italiani siamo stati accusati talora, in blocco, di essere fascisti o mafiosi ma questi semi di odio hanno avuto vita breve, cadevano su terreni sterili giacché non vi è mai stata alcuna radicata avversione nei nostri confronti.
Possiamo sviluppare una rilettura politica della cronaca di questi mesi alla luce dei rapporti intercorsi negli ultimi 100 o 120 anni tra gli ex sudditi dell’impero ottomano stanziati in Palestina e le colonie ebraiche prima e lo stato di Israele poi.
Le inevitabili frizioni fra i primi coloni animati dagli ideali sionisti di Theodor Herzl (a proposito: quanta ipocrisia e scarsa conoscenza della storia e del pensiero politico da parte di chi afferma io non sono affatto antisemita ma bensì antisionista!), la dichiarazione Balfour con cui il segretario agli esteri britannico si impegnava a riconoscere un focolare nazionale agli ebrei nella terra ancestrale, la dichiarazione 181 dell’ONU del ’47 che sanciva la nascita di due Stati respinta dai paesi arabi e dagli ex sudditi ottomani: ne scaturì la prima guerra arabo israeliana, Egitto, Siria, Giordania e Iraq speravano di disperdere quei fastidiosi europei e impadronirsi di qualche lembo di territorio con buona pace dei correligionari palestinesi; ma le cose andarono diversamente come si sa. Da notare che a opporsi alla soluzione dei due Stati (oggi uno scioglilingua per i governanti di ogni latitudine che cercano di fare bella figura di fronte agli intrighi mediorientali pur non sapendo che pesci prendere) furono gli arabi ma anche una minoranza di israeliani estremisti fautori del “grande Israele”.
Ci furono altre guerre, sofferenze da ambo le parti risoluzioni diplomatiche, speranze di pace e riconciliazione deluse; scomparvero per vecchiaia, malattia o per attentato leader di grande spessore come Sadat, lo stesso Arafat e Rabin: irriducibili avversari per un lungo periodo ma capaci poi di intessere un dialogo e di riportare la politica letteralmente nel centro della scena, perché è al centro che si smussano gli spigoli, si ricerca il necessario compromesso e si aprono spazi di speranza per la gente comune.
Oggi attraversiamo un po’ ovunque una fase in cui estremismi, stati emotivi incandescenti, formule semplificatorie e manichee la fanno da padroni: in Europa assistiamo sgomenti al fenomeno inedito di un centrismo autoproclamato che neppure riesce ad articolare la parola negoziato con riferimento a un conflitto che insanguina il quadrante orientale del continente, un centrismo estremista, ossimoro (forse) inconsapevole. Ma in Medioriente questo esilio della saggezza e della politica (del centrismo!) assume un tragico risalto. Hamas sapeva che l’orrore del 7 ottobre avrebbe scatenato una reazione devastante e che l’intero popolo palestinese di Gaza si sarebbe ridotto a scudo umano di massa, il governo israeliano dominato dall’estremismo religioso ha salutato con beffarda soddisfazione quella Pearl Harbour mediorientale? Emerge in filigrana una funesta corrispondenza di amorosi sensi fra gli estremisti dell’una e dell’altra fazione impegnati in un gioco mortale a somma zero. I fautori del Grande Israele, minoranza ai tempi di Ben Gurion e Golda Meir nel ’47, oggi occupano il potere. E’ sulla variabile religiosa che bisogna spostare l’attenzione; Israele è un paese lacerato: da una parte vi è chi armonizza la propria fede religiosa con i principi della democrazia liberale o ha una visione del tutto laica della vita dall’altra i fondamentalisti che ispirano la loro visione della società e della politica a una lettura priva di mediazioni esegetiche della Scrittura.
Chi scrive ha recentemente seguito un corso biblico (tenuto da Miglietta e De Leon noti biblisti torinesi) sui due libri immediatamente successivi al Pentateuco, Giosué e Giudici, che narrano la progressiva conquista dei territori da parte di una nascente confederazione di tribù accomunate dalla concezione monoteista del divino: era un mondo spietato dove per ordine del Signore gli abitanti di qualsiasi età delle città conquistate dovevano essere passati tutti a fil di spada onde evitare che in futuro i nemici ( Evei, Gebusei, Amorrei, Filistei, i palestinesi dell’epoca) ti ricambiassero la cortesia. Alla luce delle tragiche notizie di cronaca commentammo desolati che in quella piccola porzione di terra benedetta e infelice in 3000 anni non è cambiato molto. In Gdc. 16 si racconta la vicenda di Sansone che svelle le porte di ….Gaza (allora governata dai Filistei dopo essere stata Cananea)! Le destre religiose israeliane operano una mera trasposizione di quei fatti e di quelle atmosfere ai giorni nostri. Il sionismo moderno, tanto vituperato nelle assemblee ProPal, inizialmente non nutriva affatto il proposito di prevaricare su altri popoli. Ho amici ebrei che assistono con grande sgomento a tutte queste vicende.
Rispetto a 3000 anni fa la popolazione mondiale non ammonta a 200 milioni di persone ma ad alcuni miliardi, esiste il villaggio globale, esistono i principi del diritto internazionale, esistono le comunità di Stati e le organizzazioni multilaterali: eppure lo schema del gioco mediorientale dove si intrecciano e infrangono interessi diversi e configgenti sembra immutabile. Sull’Europa vi sarebbe moltissimo da dire o forse nulla in considerazione della passività con cui l’Unione ha accettato un ruolo ancillare in questa fase di ridefinizione dei rapporti di forza che costituiranno la base del nuovo sistema internazionale (se e quando si sarà consolidato).
L’unico segnale politicamente significativo è il riarmo tedesco apparentemente sinergico con quello francese e inglese ma foriero di tensioni che potrebbero squassare rovinosamente la tenuta dell’Unione ( UK non ne fa parte ma è il cuore di quel “consensus” antirusso che gli anglosassoni sono riusciti a imporre cogliendo a pretesto un conflitto che sotto altre condizioni sarebbe restato tutto interno al mondo slavo): evidentemente non si pone l’orecchio alle lezioni della Storia né a quel soldato galantuomo che di nome faceva Eisenhower e temeva, insieme allo strapotere del “blocco militar-industriale" (lo disse nel discorso di commiato al termine del mandato presidenziale), proprio il Rearm tedesco sopra ogni cosa.
L’imprevedibile, zazzeruto barbaro statunitense invece si è mosso attivamente. Ha lanciato alcuni messaggi in diverse direzioni. Ha bombardato con “moderazione” l’Iran (pare preavvertendoli addirittura). Che cosa significa? Vi potremmo ridurre in cenere ma se sarete ragionevoli potremmo anche diventare “quasi amici” e a noi tornerebbe comodo bilanciare il peso dei nostri ingombranti alleati del Golfo che vi sono nemici. E a Israele: saremo sempre al vostro fianco ma il governo del conflitto deve rimanere saldo nelle nostre mani, evitate colpi di testa e ricordate che le armi siamo noi a fornirvele. Alla Russia: non abbiamo distrutto quel paese con cui avete stipulato un matrimonio di convenienza e rappresenta il vostro unico punto di riferimento in Medioriente dopo la caduta di Assad e la vostra precipitosa ritirata dalla Siria. In cambio vi chiediamo di esercitare una moral suasion sugli ayatollah invitandoli alla moderazione (la Russia ha prontamente eseguito): potremmo così gettare le basi per un “deal” sul versante ucraino che vi sta così a cuore. E un messaggio rivolto al deep state: lo so che neocons e dem sono rosi dal desiderio di rovesciare il regime iraniano ma il tempo dell’avventurismo militare è scaduto, l’esportazione in punta di fucile della democrazia non è più all’ordine del giorno, è tempo di una nuova politica estera, l’epoca dell’unilateralismo è terminata.
Può piacere o non piacere ma le bombette trumpiane erano cariche non solo di tritolo ma di politica. Il Presidente statunitense ha ritmi circadiani del tutto imprevedibili; è un gambler , un giocatore di poker, uno spregiudicato venditore. Punta forte gettando nello sconcerto gli avversari seduti al tavolino: l’Europa va nel panico, le borse pure ( e lui privatamente specula:” fossi nella testa di Trump quanti soldi ti farei guadagnare…” ha detto il mio consulente finanziario). Ma questo è lo scenario e occorre prenderne atto. Il vero confronto sussurrano molti analisti avrà sede sul quadrante indo pacifico. La Cina avrebbe interesse a mantenere caldo il fronte ucraino per impegnare gli USA su un secondo oneroso teatro. Per questo motivo probabilmente Trump cerca l’appeasement con la Russia ma per far questo, per sottrarre questo grande Paese all’abbraccio mortale di Pechino avrebbe bisogno dell’aiuto diplomatico dell’Europa. Europa?….Toc toc…
 
Andrea Griseri non ha scritto un articolo ma ha composto un affresco che parte dalla tragedia che devasta la Terra Santa – inquadrandone le premesse teologiche e storiche – per allargarsi ad una visione d’insieme di scenari inquietanti che incombono sul mondo contemporaneo. Lo ringrazio per la fatica e l’impegno che sicuramente gli sono costati a comporlo, esprimendo una posizione largamente apprezzata da chi legge Rinascita Popolare. Non raccolgo qui gli innumerevoli spunti che questo scritto offre; mi limito ad esprimere il mio sdegno per l’incredibile tracotanza e disumanità espresse in questo arco di tempo dal governo israeliano, non solo a Gaza ma anche nel favorire le continue aggressioni dei coloni in Cisgiordania . Altrettanto riprovevole la cinica ferocia di Hamas che gioca il suo ruolo sulla pelle della martoriata e sfinita popolazione dell’enclave.