
Marco Follini in Democrazia cristiana, il racconto di un partito (Sellerio), non fa la storia della DC e nemmeno dei suoi protagonisti. A ben vedere non si parla neanche propriamente di politica. L’autore, da tempo ai margini della politica attiva e più propenso a cimentarsi con la scrittura, ci fa invece penetrare, quasi in veste di sociologo, all’interno del mondo democristiano, dentro quella Balena bianca che per mezzo secolo, nel bene e nel male, ha retto le sorti dell’Italia.
Partito curioso la DC: capace di tenere assieme aspetti molto diversi. Forza di ispirazione cristiana ma profondamente laica (nessuno dei suoi leader avrebbe baciato il rosario a un comizio). Avversa al collettivismo socialista ma neppure prona – come troppi esponenti di una certa sinistra odierna – al liberalcapitalismo, da imbrigliare in una generale solidarietà interclassista. Al governo – e dunque al potere – per decenni, ma sempre avversa a qualsiasi leaderismo, diffidando nel profondo dell' “uomo solo al comando” e preferendo piuttosto la centralità del Parlamento, da eleggersi, naturalmente, con legge proporzionale per dare spazio a tutti.
Questa fu la DC e così la racconta Follini che nel 1977, divenendo segretario giovanile del partito, fu catapultato, poco più che ventenne, nell’Olimpo dello scudo crociato, vicino a leader come Aldo Moro, Giulio Andreotti, Amintore Fanfani e Benigno Zaccagnini. Si parla anche di loro nel libro ma più che altro si cerca di scandagliare a fondo quel corpaccione bianco che teneva insieme, chissà come, anime tanto diverse, dalla sinistra sociale alla destra conservatrice. Correnti, per lo più in competizione tra loro, ma in grado poi di fare una sintesi, più o meno ben riuscita, e capaci soprattutto di fare quadrato in difesa del potere.
Il potere, in effetti, fu il segno caratteristico della DC per mezzo secolo. E dire che questo potere le venne consegnato quasi inaspettatamente. In vista delle elezioni per l’Assemblea costituente, nel 1946, altri sembravano i possibili favoriti: i partiti di sinistra, socialisti e comunisti, nell’ansia di rinnovamento del Paese, ma anche i liberali, forti della vecchio, anche se un po’ datata, autorevolezza prefascista. Invece il successo elettorale arrise ai cattolici democratici che da quel momento, e ancor più dopo la soverchiante vittoria del 18 aprile 1948, assunsero la guida dell’Italia, mantenendola per quasi cinque decenni.
Una vicenda lunga, complessa, contraddittoria. Un'esperienza di governo che coincise con le trasformazioni di un Paese che cambiava economicamente ma anche, se non soprattutto, socialmente e culturalmente. E la DC era sempre lì, forte di un consenso mai troppo esibito, interpretando a modo suo questi cambiamenti. Un partito che non fu mai l’espressione della borghesia (che occhieggiava verso i liberali e i repubblicani) né, tanto meno, quello degli intellettuali (per lo più attratti dall'ideologia di sinistra), ma che affondava le proprie radici nel cattolicesimo popolare di un’Italia più modesta. Era il Paese del piccolo commercio, dell'impresa familiare, degli artigiani, degli agricoltori, di pezzi di classe operaia. Un partito, quindi, autenticamente popolare, capace di cogliere gli umori degli strati più profondi della nostra popolazione.
Per decenni la DC fu votata come bastione anticomunista. Eppure altrettanto decisivo fu il compito, seppure assai meno sottolineato, di traghettare in un alveo democratico non poche forze conservatrici avverse alla democrazia stessa. Lo riconobbe, molti anni dopo, il settimanale comunista Rinascita: “La DC ha avuto un merito: ha tenuto ancorato in una prospettiva democratica un pezzo di società italiana che era potenzialmente reazionaria. Finito quel partito, spappolato quel blocco sociale interclassista, il pezzo di società reazionaria si è spostato all’estrema destra”.
Poi, d'improvviso, tutto mutò. Molti fattori vi concorsero: la caduta del Muro di Berlino, che rendeva inutile la diga contro il comunismo; il malaffare scoperchiato con Tangentopoli; il logorio di mezzo secolo ininterrotto di governo. Ma non fu solo questo. In realtà era l’Italia ad essere cambiata, volgendo il proprio sguardo in altre direzioni. E così per la DC arrivò l’ora del tramonto, subitaneo e inaspettato, allo stesso modo in cui fu inatteso e sorprendente il successo agli albori della Repubblica.
Un intero ciclo storico e politico si stava chiudendo e anche le ragioni che avevano tenuto assieme anime tanto diverse, di colpo, non furono più tali. Oggi, a volte, torna la nostalgia per lo scudo crociato, edulcorandone persino i tratti più negativi. Forse perché chi è venuto dopo ha presto deluso le attese. Ma questa è un'altra storia.
Lascia un commento