Il valore delle primarie



Luigi Bottazzi*    8 Marzo 2019       1

Moltissime persone, come è noto, hanno partecipato alle primarie del PD: pare oltre un milione e ottocentomila. Personalmente sono stato fra quelli, dopo molti anni dall’era ulivista. A mio avviso questo non è un solo un fatto di partito, ma anche una nota di costume, di un rinnovato atteggiamento, forse di svolta sociopolitica nel sistema tripolare di grande importanza e valore per il futuro. Speriamo che le aspettative non vadano deluse.

Ciò pare tanto più evidente se pensiamo che, negli ultimi mesi, la discussione politica verteva su quanto fosse affidabile, democratica, rappresentativa la piattaforma Rousseau (una “boiata” direbbe Grillo, se non ne fosse stato il promotore con Casaleggio senior) e di come 50.000 votanti esprimessero il sentire di quel 32% di cittadini che aveva votato M5S alle ultime politiche.

In modo analogo ci si chiedeva come il partito del ministro Salvini, che alle ultime politiche aveva ottenuto il 17% dei voti, possa incidere oggi nel governare con riferimento a valutazioni demoscopiche e sondaggi che indicano il doppio di quei consensi.

Realtà concreta o virtuale? Per questo fa pensare e un po’ stupisce vedere una paziente coda di persone che – a differenza del like on-line e di un sondaggio – finalmente si vede che votano su una scheda cartacea alla ricerca di un segretario, in una competizione interna a un partito e non particolarmente accesa, e quindi poco competitiva.

La sensazione è – come capita spesso in politica – che gli umori dell’elettorato cambiano velocemente a prescindere dai singoli protagonisti e sono mossi da eventi e situazioni diverse.

Così mesi di tensione si sono sciolti in un sentimento di resistenza che ha avuto come suo simbolo proprio questa primaria, e il PD è apparso quale possibile baluardo al governo in carica. Finalmente, dico io, almeno qualche d’uno può contrastare, con decisione e chiarezza (speriamo!) una china pericolosa, rappresentata in primis dai Cinquestelle, ma pure da un partito di destra come la Lega, anche lì, di un solo uomo al comando  con connotati ideologici da vanno da un becero sovranismo ad opportunismo senza limiti.

Ora il popolo del centrosinistra, non riconducibile al solo ambito partitico, vuole vedere delle risposte rapide, concrete e coerenti. Credo abbia espresso  una inaspettata e indiscutibile volontà di ripresa e ritrova nel neo segretario Zingaretti il suo leader. Questa elezione gli da la forza di ricompattare e di esprimere, da un lato, un progetto di società che si faccia carico delle contraddizioni di un Paese portato al limite dello squilibrio economico e del decadimento morale; e dall’altro, una riforma del partito, azzoppato dal dominio renziano, che veda finalmente gli iscritti tornare ad essere protagonisti.

La “fase costituente” di Zingaretti deve essere però vera e sincera, toccare almeno quattro punti strategici : a) abolizione delle primarie nelle elezioni a tutti i livelli degli organi del partito;b) incompatibilità a tutti i livelli fra carica di partito e carica amministrativa e/o di governo: il segretario non deve essere per statuto anche candidato a presiedere il governo; c) obbligo del  completamento dei mandati amministrativi : non si può piantare lì una carica per prenderne una maggiore, se non per casi specialissimi; d) sostenere e fare approvare al Parlamento una legge sui partiti come vuole l’art. 43 della Costituzione.

Dopo l’importante esercizio di queste primarie, una sfida reale e concreta attende subito Zingaretti e i nuovi vertici del PD, sarà l’ Europa del futuro. In una visione lungimirante, come era quella dei suoi fondatori (Adenauer, De Gasperi, Schuman, Spinelli). Una visione purtroppo, in parte tradita,anche dalle attuali formazioni “democratiche” a Bruxelles : i popolari, i socialisti e i liberali.

*L’autore è il presidente del Circolo “Giuseppe Toniolo” di Reggio Emilia


1 Commento

  1. Un partito in grado di guardare lontano deve avere la capacità di elaborare progetti in base alla scala di valori che lo connotano e non può rinunciare ad una funzione pedagogica tesa a portare gli elettori a far propri quei valori e quegli obiettivi che pone a sostegno della propria esistenza. Certamente deve essere attento a ciò che accade nella società e capace di rielaborare con realismo la propria linea politica alla luce delle nuove esigenze, altrimenti cade nell’ideologismo, sempre deteriore. Tutto ciò esige una forte militanza politica e un impegno costante degli iscritti. Nulla a che vedere con un fatto episodico come le primarie. Queste affidano la scelta del gruppo dirigente del partito ad una massa di cittadini eterogenea, genericamente definita di “simpatizzanti”, molti dei quali semplicemente riflettono le posizioni e i giudizi espressi dalla grande stampa e dai media televisivi, solitamente allineati agli interessi dell’establishment. A questo punto, che cosa significa ancora “militare” in un partito se l’iscritto finisce di contare quanto il “simpatizzante”?
    Joseph La Palombara, uno dei più stimati politologi americani, tempo fa (in un seminario presso la facoltà torinese di scienze politiche) disse che le primarie avevano ucciso la militanza di partito (che con caratteristiche diverse da quelle presenti in Europa era rilevante anche nel suo paese) e affidato la scelta delle candidature politiche, ai vari livelli istituzionali, ai detentori del potere economico e mediatico. Teniamolo presente.

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*