Il PD che ritorna PDS



Giorgio Merlo    20 Novembre 2018       3

Francamente trovo un po' stucchevole la polemica sulle tre candidature a segretario nazionale che arrivano dalla filiera PCI/PDS/DS. Stucchevole soprattutto dopo l'esito del voto del 4 marzo. Le elezioni politiche, tra le molte altre cose, hanno detto in modo chiaro che l'esperienza del cosiddetto "partito plurale" a "vocazione maggioritaria" è politicamente archiviata. Il 4 marzo, oltre ad aver registrato una sconfitta storica per quel partito nato appena dieci anni prima, ha segnato anche l'inesorabile ritorno delle identità politiche. Identità che saranno necessariamente aggiornate e riviste rispetto al passato, ma sempre di identità si tratta. A cominciare da quella cattolico popolare e democratica, che in questi ultimi anni si è pericolosamente eclissata al punto di diventare, di fatto, irrilevante nella vita politica italiana. È nata una nuova destra che ha sostituito ed azzerato definitivamente il vecchio e tradizionale centrodestra. Resta per il momento, anche se un po' fiaccata, una identità antisistema e demagogica interpretata dal Movimento 5 Stelle.

All'interno di questo contesto, è del tutto naturale che anche la sinistra si riorganizzi. Ritornando, seppur in forma aggiornata, al tradizionale partito della sinistra italiana. Una sinistra che in questi anni è stata devastata e quasi distrutta dalle politiche del renzismo – con il plauso conveniente di moltissimi esponenti della filiera PCI/PDS/DS – e che adesso, com'è ovvio, deve essere radicalmente ricostruita. Dalle fondamenta. E qui arriviamo al punto. E cioè, come ci si può stupire se tre esponenti che arrivano dalla storia politica e culturale post PCI si candidano alla guida di un partito che punta a ricostruire la sinistra dalle fondamenta? Come ci si può stupire se, dopo il 4 marzo e la fine del partito plurale a vocazione maggioritaria, si punta direttamente a ridefinire il pensiero e la cultura della sinistra italiana? Ma chi dovrebbe guidare un partito che ha quella "mission" specifica se non chi arriva direttamente da quella tradizione?

Ecco perché le polemiche, o lo stupore, non hanno più senso di esistere. Al di là degli obiettivi, dei posizionamenti e delle piroette dell'ex segretario Matteo Renzi.

Occorre prendere atto che si è aperta una nuova fase politica e storica. È del tutto inutile, nonché controproducente, continuare la litania del partito a vocazione maggioritaria e plurale quando le circostanze storiche che hanno dato vita al PD veltroniano sono ormai un semplice ricordo del passato. Quella stagione è ormai alle nostre spalle. Chi pensa di riproporla meccanicamente rischia di far naufragare anche il progetto oggi incarnato, con sfumature poco comprensibili, dai tre candidati di sinistra per rilanciare un partito di sinistra.

Semmai, e questo è un altro punto politico non secondario, si tratta di capire se è utile avere tre candidati di sinistra, a cui se ne aggiungono altri minori ma sempre provenienti dal medesimo ceppo culturale, per centrare lo stesso obiettivo. E cioè, riproporre nel dibattito pubblico italiano il ruolo e il profilo di un partito che ha l'ambizione di rilanciare la sinistra italiana dopo le recenti e ripetute sconfitte elettorali. Di questo si tratta e non di altro. Senza polemiche del tutto fuori luogo.


3 Commenti

  1. Caro Giorgio,
    hai fatto centro.
    Ricordo – a conforto di quanto dici – l’ammonizione di Lenin ad Amadeo Bordiga (classe 1889) “plus de souplesse Monsieur Bordiga”. Pare che – un secolo dopo – siamo sempre là.

  2. Lucidissima analisi quella di Giorgio. Senza dimenticare il paradosso che il Pd torna ad una sinistra che non è più tale, capace ormai di parlare solo al terzo più ricco della popolazione, l’unica fascia di elettorato che può reggere un’austerità senza fine.

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