Finito il tempo del “deficit spending”



Guido Puccio    13 Giugno 2022       0

Mancano pochi minuti all’inizio della conferenza stampa, in una Amsterdam ancora fredda, e la signora Cristine Lagarde, la potente presidente nella Banca Centrale Europea, annuncia che dal prossimo mese finiranno gli acquisti di titoli di Stato e si alzeranno i tassi di interesse.

Di solito i banchieri centrali non parlano prima delle riunioni ufficiali, piuttosto lasciano intendere, suggeriscono. Questa volta niente passi felpati: l’annuncio è diretto, pesante ed ha anticipato le decisioni del direttivo.

Un annuncio che cambia tutto, segna la fine di un tempo e l’inizio di nuovi problemi per l’Italia e non solo.

Il tempo che finisce è quello che aveva aperto Mario Draghi nel lontano 2012 quando, sfidando “i diavoli” della London Stock Exchange, pronunciò sorpresa le ormai famose parole: “la BCE è pronta a fare tutto ciò che servirà per difendere l’euro. E, credetemi, sarà abbastanza.”

Da allora la Banca Centrale Europea ha attuato programmi di gigantesca portata stampando moneta e acquistando titoli di Stato e privati sul mercato secondario. Prima per fare fronte con prontezza alla speculazione finanziaria, poi per acquistare titoli emessi dai Paesi più esposti con il debito, poi ancora per dare supporto agli Stati membri dell’eurozona alla lotta contro il Covid-19. Si tratta di migliaia di miliardi di danaro fresco immessi sul mercato in dieci anni e offerti praticamente a tasso zero.

Tutto questo è finito. Dal prossimo mese non solo il denaro sarà più caro ma la BCE non acquisterà più i titoli di Stato emessi per finanziare il disavanzo pubblico. Sarà il mercato a decidere e a stabilire il rendimento.

Con tutto quanto ne potrà conseguire, a cominciare dal “rischio Italia” che tornerà alla attenzione.

Le ragioni della decisione della BCE sono note da tempo: prima la crisi pandemica mondiale che ha spezzato le catene di approvvigionamento delle materie prime e della logistica, poi la crisi energetica esplosa ancor prima della guerra in Ucraina e di conseguenza ancora più accentuata. Quindi il ritorno dell’inflazione: non quella tradizionale provocata dell’eccesso di domanda ma questa volta più difficile da affrontare come è quella provocata da carenza di offerta, vale a dire appunto di materie prime, gas, petrolio, prodotti agricoli, fertilizzanti, componenti elettronici.

Gli americani e gli inglesi lo hanno già fatto da qualche mese. La Federal Reserve e la Bank of England hanno in corso una stretta monetaria dura e tutte le illusioni che l’inflazione sarebbe durata poco in quanto “tecnica” è stata spazzata via dalla realtà di una percentuale che viaggia sopra l’8% in America e ormai il 7% in Europa, con punte in alcuni Paesi superiori al dieci per cento.

Ora si pongono problemi seri. Non solo il finanziamento del deficit per il bilancio pubblico e non solo l’incidenza degli interessi sulla spesa corrente che ne ridurrà la capienza, ma anche il supporto alla crescita che pure era in corso dopo la crisi sanitaria. Il rischio è una nuova caduta del PIL, della produttività e della occupazione proprio mentre l’inflazione morde, ovvero lo scenario più temuto dagli economisti.

L’unico elemento di fiducia è che al timone del governo italiano abbiamo un nocchiero serio ed esperto. Se basterà, dipende da come si muoveranno le forze politiche pur in prossimità delle scadenze elettorali. Anche se a pensarci tremano i polsi.

(Tratto da www.politicainsieme.com)


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