Un NO contro il populismo



Christian Rocca    13 Agosto 2020       0

Lasciate stare le ragioni tecniche e costituzionali, pur giuste e importanti, che spiegano perché la porcata antiparlamentare di Di Maio e associati è da bocciare. Fermare il taglio dei parlamentari è una battaglia civile e morale, politica e culturale, contro i demagoghi di governo e i sovranisti d’opposizione.

Le ragioni tecniche sull’inutilità della riduzione del numero dei parlamentari su cui si voterà il 20 e il 21 settembre le trovate in numerosi articoli su Linkiesta, e quasi mai altrove, ma la questione principale per votare No al quesito costituzionale di Di Maio non è che il risparmio annuale sarebbe soltanto dello 0.007 per cento del bilancio statale né che i lavori delle due camere andrebbero in tilt, tantomeno quella bizzarra del Pd secondo cui il taglio dei deputati e dei senatori è un pericolo per la democrazia ma se si cambia anche la legge elettorale allora va benissimo.

La questione è politica e culturale e non va nemmeno nobilitata dandogli un peso costituzionale, visto che i padri ignobili di questa cosiddetta riforma sono Grillo e Di Battista, Gianluigi Paragone e Vito Crimi, i giornali giustizialisti formatisi nella temperie di Mani pulite e di altre operazioni politico-editoriali di sanificazione pubblica contro la casta.

Come abbiamo scritto già a febbraio su questo giornale, l’unico apertamente contrario alla porcheria made in Di Maio e associati, «dietro questa misura demagogica e apparentemente innocua di voler ridurre il personale politico non c’è un’idea di riforma dello Stato né alcunché di elevato, ma soltanto una visione meschina della politica e una volontà punitiva nei confronti della democrazia parlamentare. Casaleggio padre aveva l’obiettivo di sostituire la democrazia rappresentativa con una piattaforma digitale di sua proprietà, l’erede Casaleggio immagina un futuro senza parlamenti e molta blockchain, l’intendenza grillina viola palesemente l’articolo 67 della Costituzione imponendo ai tanti agenti Catarella mandati in Parlamento un vincolo di mandato e di obbedienza al volere della piattaforma, con tanto di contratto e di penali».

Dopo aver riempito le istituzioni di mezze calzette e il parastato di compagni di pizziate, svilendo per almeno un paio generazioni la credibilità della politica in modo irreparabile, il taglio dei parlamentari è il secondo passo verso l’abbattimento della repubblica parlamentare per cominciare a sostituirla con quella digitale, qualunque cosa voglia dire.

Nel 1993 Marco Pannella organizzò gli «autoconvocati delle 7», dall’orario in cui riuniva a Montecitorio i deputati sotto attacco della magistratura che li inquisiva e della stampa che li delegittimava, con una delle più funamboliche ma preziose trovate in difesa delle istituzioni della sua ampia e acrobatica carriera.

Fosse ancora tra di noi, Pannella sarebbe senza dubbio il leader della difesa del Parlamento, come in effetti lo sono i suoi eredi confluiti in +Europa. Gli avremmo ceduto il timone degli «autocovoncati de Linkiesta», anche perché il No del prossimo settembre è l’occasione perfetta per i democratici e i liberali e i socialisti, non importa se di sinistra o di destra, non importa se di governo o di opposizione, di fare fronte transpartitico contro gli stronzi.

Il No al referendum è un No al populismo, è un No ai demagoghi e i sovranisti con le peggiori intenzioni, è la via d’uscita a disposizione del PD, di Italia Viva e di Forza Italia per liberarsi dall’illusione di poter domare la bestia che ciascuno di loro nei rispettivi schieramenti ha coltivato con insuccesso. La bestia populista non si doma, si sconfigge nel paese e nelle urne. Se non ora, la volta successiva. Ma bisogna provarci, non consegnarsi mani e piedi.

(Tratto da www.linkiesta.it)


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