I capisaldi di un programma condiviso ed efficace



Alessandro Risso    13 Luglio 2019       2

Cercherò di proporre i punti forti, i capisaldi di un programma. Ma non di un programma qualsiasi. Di un programma definito con due aggettivi: condiviso ed efficace.

Condiviso. Qualcuno ha scritto nella chat della Rete Bianca che di programmi ce ne sono decine, al momento buono basta tirarne fuori uno dai cassetti. C’è chi preferisce le geometrie politiche, i caminetti in cui pianificare manovre di palazzo, mettendo in secondo piano i contenuti. Ne prendo atto. Nella mia concezione della politica il programma è invece al primo posto. L’ho imparato studiando Sturzo e nella esperienza giovanile nella sinistra sociale DC, che legava la sua azione politica alle esigenze dei ceti popolari. Certamente esistono decine di programmi perché esistono decine di persone o gruppetti che li scrivono, pensando di avere la soluzione in tasca. Peccato però che solo il confronto, la condivisione riescano a produrre idee che non sono più del singolo, ma di un collettivo che si arricchisce continuamente di nuovi apporti.

Insomma, passare dall’io al noi, dall’autoreferenzialità alla comunità politica grazie alla condivisione di idee e proposte programmatiche deve essere il nostro primo obiettivo.

Efficace. Un programma è una articolata risposta ai problemi della propria epoca. Se mira a conquistare un facile consenso immediato, slegato però dalla realtà vissuta, non supera la prova del tempo e i problemi si incancreniscono sempre più. Non servono buoni propositi e pannicelli caldi. Un programma è efficace se agisce come un ricostituente, o un antibiotico o, in certi casi, come un bisturi.

Che forma, che ampiezza deve avere un programma?

La nostra storia non può che renderci affezionati ai 12 punti: tanti ne avevano il programma di Torino, quello della DC di Murri, quello del PPI di Surzo, quello della CIL di Giovan Battista Valente. Bastano due pagine, anche meno, per essere eloquenti. Abbiamo fatto una prova con Baviera e Davicino, è a disposizione per chi vuole limarlo e aggiustarlo.

Poi i 12 punti andrebbero espansi, per chi vuole maggior dettaglio. Con 30/40 pagine si può già essere esaurienti. Ma attenti, a un programma non si richiede di essere esaustivo poiché, per quanto uno scriva, c’è sempre qualcosa che sfugge… Inutile fare come l’Unione prodiana: 281 pagine di programma per litigare su tutto e avere il Bertinotti o il Mastella di turno che ad un certo punto staccano la spina.

Le 30/40 pagine sarebbero da fare, e potremmo porlo come obiettivo per la fine di settembre.

Qui oggi mi sono dato invece un altro compito. Fissare le tre-quattro idee forti che ci rappresentano e con cui perforare il muro della pubblica opinione. Sono indispensabili nella comunicazione politica della nostra epoca. Vedi la Lega (sicurezza/stop ai migranti/prima gli italiani/meno tasse),

vedi il M5S (onestà-onestà/reddito di cittadinanza)

Proporrò alla vostra discussione tre parole chiave che racchiudono un programma di governo, ma prima vorrei richiamare altre parole che rappresentano i prerequisiti per una azione politica che, da un lato, si pone in linea con la tradizione che vogliamo rappresentare, dall’altro in controtendenza con la politica politicante degli ultimi decenni.

La prima parola è verità. “Sia il vostro parlare sì sì no no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Dice tutto, attuarlo è già un programma, anzi, sarebbe una rivoluzione. Mi permetterei solo di aggiungere un suggerimento ancor più antico dei vangeli, che ricavo da Socrate, raccontato da Platone nell’Apologia: “Io so di non sapere”. Solo il presuntuoso crede di conoscere tutto, e quindi non ricerca più la verità delle cose. Senza umiltà – altra parola da annotare – non si ha la spinta a conoscere. E chi fa politica, come ricordava Luigi Einaudi, deve “conoscere per deliberare”.

Abbinata alla verità richiamerei la coerenza. Ovviamente non l’unica coerenza che si applica nella politica odierna: quella di inseguire il proprio vantaggio, le proprie opportunità.

Poi la moralità, quella che Pietro Scoppola chiamava “l’etica dei comportamenti”. Mi piacerebbe entrare nel rapporto tra politica e morale, disquisire sul realismo di Machiavelli che consiglia al principe di “non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato”. Tenendo conto però che a calpestare la morale, nella Prima e – ancor più – nella Seconda Repubblica non è tanto la ragion di Stato di Machiavelli, quanto piuttosto il “particulare”, l’interesse del singolo descritto da Guicciardini. Ma non c’è tempo per divagazioni storico-filosofiche.

Mi limito a citare uno dei miei maestri, Carlo Donat-Cattin: “C’è un profilo che sta sopra quello politico, ed è il profilo morale”.

Una società organizzata non può prescindere da una moralità individuale e collettiva, del singolo cittadino e ancor più da chi rappresenta lo Stato. Rilanciamo il celebre e scomodo pensiero di Aldo Moro: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Scomodo ricordare che non esistono diritti senza corrispondenti doveri, non è il miglior modo per ottenere applausi. Ma di imbonitori ne abbiamo già avuti, hanno anche avuto successo, lasciando però un Paese più povero, più disilluso, più rancoroso.

Vanno assolutamente recuperati il valore della responsabilità individuale (la colpa è sempre degli altri: il figlio viene bocciato, colpa dei professori; i marciapiedi sono pieni di mozziconi e cartacce, colpa del Comune che non pulisce; e così via). Possiamo pretendere che i dipendenti Malpensa che per anni hanno rubato nei bagagli loro affidati vengano licenziati? Che il giudice che strappava minori a genitori in difficoltà per far lucrare la struttura di accoglienza cui li affidava, proprietà della moglie, venga messo fuori dalla Magistratura? Che l’alto dirigente dell’ANAS o dell’ASL arricchitosi a bustarelle non continui a percepire uno stipendio pagato con le tasse della collettività?

E alla responsabilità, abbiniamo il valore del merito. Un esempio per tutti: gli Atenei italiani, ultimo caso Catania, hanno il cancro delle clientele, famigliari e no, che inquinano i concorsi. In altri Paesi il problema non esiste. Quando si libera una cattedra, si apre un bando e i concorrenti tengono una lezione davanti al corpo accademico e agli studenti del corso. Tutti esprimono un giudizio e si sceglie semplicemente il migliore. Quante belle teste italiane hanno dovuto trovare spazio all’estero, e danno lustro a quelle Università?

Tutto ciò che vi ho detto sin qui, penserete, c’entra poco con un programma politico tradizionale. Ma fino ad un certo punto. Quanto pesa la caduta verticale di credibilità della politica nell’astensionismo elettorale salito al 44% delle ultime elezioni europee, che come sappiamo sono elezioni squisitamente politiche? Se poi pensiamo che questo astensionismo tra i credenti praticanti, complessivamente più sensibili al profilo morale, è salito al 52%, dobbiamo pensare che l’etica dei comportamenti, il rispetto di un sistema di valori, rimanga un requisito importante per tanti che votano e soprattutto tanti che non votano.

Abbiamo visto significativi successi elettorali per chi ha rappresentato questi temi: l’Italia dei Valori, garantita dalle “mani pulite” di Antonio Di Pietro. Poi affossato da limiti suoi e soprattutto dall’incapacità di selezionare una classe dirigente, di cui alla fine si ricordano soltanto i De Gregorio, gli Scilipoti, i Razzi. Così come “onestà onestà” è stato ed è ancora, pur indebolito, elemento vincente del M5S, che sta rapidamente declinando per la scadente qualità della sua classe dirigente. Non basta la disinvoltura di un Di Maio o di un Di Battista nei talk show, non bastano le veline della Casaleggio Associati per creare una accettabile base di cultura e competenze.

Proprio competenza è un’altra altra parola da segnare. Per votare a comando in Parlamento bastano dei lacché, ma per legiferare e governare ci vogliono persone di sostanza, e non è vero tutti sono intercambiabili perché “uno vale uno”.

Quindi, riassumendo, basterebbe dimostrarsi onesti e capaci per ottenere un consenso.

Facile a dirsi, più complicato realizzarlo, in un clima di generale sfiducia verso la politica.

Con quali contenuti possiamo qualificare la nostra presenza e fare breccia nel fracasso della politica urlata e nel muro della disillusione?

Ed eccoci ai tre capisaldi che offro alla discussione.

1. Racchiudo il primo nella parola futuro.

Dobbiamo dare una prospettiva di futuro a questo Paese.

Che futuro può avere un Paese in “recessione demografica”, un Paese che nel 2018 ha registrato 150.000 nati in meno rispetto a 10 anni prima, con altrettanti giovani che si trasferiscono all’estero in cerca di opportunità lavorative?

Un Paese destinato a diventare sempre più vecchio, dove si usano già accorgimenti linguistici per occultare la realtà: il regolamento del Punto Incontro anziani della mia città, fatto nel 1980, prevede che ci si possa iscrivere a partire dai 50 anni. Allora era una età da pensionati. La soglia della terza età è poi salita a 60, poi 65, poi – con la Fornero – a 67. Oggi la fascia d’età 65-75 anni è definita dei “tardo adulti”. Cosa succederà ad un Paese destinato a perdere, ai trend attuali, nei prossimi 15 anni quasi 5 milioni di giovani e ad immettere nel welfare 12 milioni di nuovi pensionati, tra cui tutti i figli del boom economico? Reggerà il sistema? Chi pagherà quelle pensioni? I pochi giovani rimasti? Gli immigrati che non vogliamo?

Di questo la politica e i media non parlano. Ore ed ore di trasmissione, per giorni e giorni, sui 42 naufraghi raccolti dalla Sea Watch, occhi sempre puntati su sospiri, sguardi e dispettucci tra i dioscuri populisti al governo, attenzione massima ai sondaggi per vedere di quale zero virgola sale uno e scende l’altro, massima prospettiva temporale le incognite della Finanziaria autunnale.

Dobbiamo guardare oltre, imporre una diversa agenda politica.

Serve una politica per la famiglia. Serve un nuovo lungimirante patto tra generazioni. Ha ragione Guasco, serviva già ieri, ma non possiamo non farlo oggi.

Come non possiamo eludere i problemi posti dai cambiamenti climatici e dalla conservazione del creato. Papa Francesco con la Laudato si’ ci ha consegnato un documento che deve solo essere letto e messo in pratica. I giovani mobilitati sull’esempio di Greta Thunberg devono diventare interlocutori di una politica che guarda al futuro.

E pensando a un futuro per questo Paese, come si fa a non parlare di Europa?

Per noi rimane valido il sogno nato a Ventotene, rimane valido il percorso iniziato da grandi democratici cristiani come De Gasperi, Adenauer, Schuman verso l’unità politica di una Europa federale. Un cammino che si è interrotto per l’incapacità di darsi una Costituzione. Ed ora la recessione culturale verso il neo nazionalismo ci deve preoccupare. L’Europa è argomento troppo importante per poterlo trattare in poche battute. Vi ricordo solo che una Europa unita e forte non piace agli Stati Uniti né alla Russia, e neppure alla Cina, l’ultima arrivata tra le grandi potenze. Tutte loro preferiscono un Vecchio Continente diviso, con piccoli Stati più facilmente manovrabili con accordi bilaterali. Ho ascoltato recentemente una conferenza di De Rita, che ha posto tra i requisiti fondamentali per un nuovo partito la scelta chiara di un alleato forte. Certo, per la DC è stato facile nel dopoguerra scegliere gli USA e non l’Unione Sovietica, e non solo per gli aiuti del Piano Marshall. Oggi l’alleanza di ferro con Trump significa sotterrare ogni velleità di Europa unita. E se continuassimo a sostenerla, abbiamo la capacità di cambiare rotta verso gli obiettivi originali? Ci ha detto Guido Bodrato di aver conosciuto due generazioni di politici tedeschi: chi aveva vissuto la tragedia della guerra, ha convintamente lavorato per una grande Europa. Ma i più giovani hanno avuto come obiettivo una grande Germania in Europa. Vediamo a cosa sta portando l’austerità tedesca che, come ha scritto il professor Ciravegna, va ben oltre lo spirito e la lettera dei trattati.

L’Europa federale rimane un obiettivo: difficile, difficilissimo. Ma se hanno saputo prefigurare un futuro allora inimmaginabile dei poveri esiliati su un’isola, non dobbiamo ora rinunciare all’Europa come stella polare del nostro impegno.

  1. Secondo caposaldo: la Comunità


L’individualismo imperante porta alla difesa dei propri averi, dei propri privilegi e si guarda con paura e timore a tutto ciò che può generare cambiamento. In questo clima prospera la Lega.

È urgente quindi ricostruire la comunità come sinonimo di vita collettiva e pacifica, rendere le nostre case, i nostri Comuni, i nostri quartieri luoghi di relazioni, di aiuto reciproco, di accoglienza ai più deboli, di integrazione. La solitudine e l’insicurezza si combattono non rinchiudendosi in casa – magari armati – ma passando dalla semplice ricerca di un buon vivere alla dimensione di un “buon convivere”: un ruolo fondamentale per ricostruire la “coesione sociale”, nelle aree metropolitane come nelle province e nelle aree più disagiate (quelle che al Nord oggi votano Lega) viene rivestito dalle municipalità (uso apposta questo termine caro a Sturzo), dai corpi intermedi e dalle associazioni, strumenti di solidarietà e generatori di relazioni e dialogo civile. Dobbiamo ripartire dai Comuni, dagli amministratori locali, soprattutto dalle piccole realtà, in cui più forte è lo spirito di comunità. La crisi del PD è cominciata da quando si è trasformato nel partito delle aree metropolitane, poco interessato alle periferie agricole, collinari e montane; per poi ritrovarsi estraneo anche alle periferie urbane ed espressione dei quartieri residenziali e delle ZTL...

Il Comune, come indicato nel Titolo V della Costituzione, resta il cardine del nostro sistema di Autonomie locali, regolato dal principio di sussidiarietà, cui si deve aggiungere quello della responsabilità fiscale. Ad esempio, facendo diventare i Comuni protagonisti della gestione del catasto.  Sono da evitare centralismi statali o regionali indicando chiaramente nel Comune – o nelle Unioni tra Comuni - l’Ente che amministra i servizi di prossimità, e nelle Province o Città Metropolitane l’ente che amministra l’area vasta.

Il senso civico che pervade le municipalità va diffuso e promosso nella scuola (partendo dal ripristino dell’educazione civica) e nella società (ad esempio con il servizio civile generalizzato, che farebbe bene ai giovani per primi).

  1. Il terzo caposaldo lo racchiudo nella parola dignità.


Intendo la dignità della persona attraverso il lavoro. Lavoro che sta alla base della Repubblica, della nostra civile convivenza. L’articolo 1 della Costituzione.

Lo spiego con un aneddoto raccontato da Castagnetti che riporta ai lavori della Costituente, iniziati con forte diffidenza tra i vari partiti. Dopo una accesa riunione, il giovane Dossetti invita a pranzo Togliatti, leader PCI più vecchio di lui di 20 anni, che, sorpreso, accetta. Al tavolo della trattoria Dossetti dice: Io propongo di scrivere che la Repubblica Italiana si costruisce sul diritto al lavoro. Togliatti replica: Ma lei dice questo per compiacermi? Risponde Dossetti: No, lo faccio per compiacere me stesso. Io so che quando le propongo il tema del lavoro lei non può dire di no, perché conosco la storia del comunismo, del partito dei lavoratori. Io al lavoro arrivo da un’altra strada, ma l’importante è approdare nello stesso punto. Sa perché io credo nella centralità del lavoro? Perché penso che l’individuo possa diventare persona solo se conquista la dignità, e la dignità la conquista solo se ha il lavoro. Un individuo che ha il lavoro conquista la dignità quando va a casa e può guardare negli occhi i suoi figli, perché lavorando li può mantenere, crescere, istruire. È un uomo che ha recuperato la dignità, è una persona. Io credo la nostra Costituzione vada costruita sulla centralità della persona.

Facciamoci paladini di questo nuovo umanesimo che ha come protagonista l’homo faber, l'uomo come artefice, capace di creare, costruire, trasformare in meglio l'ambiente e la realtà in cui vive. Vale per chi costruisce beni materiali, per gli artigiani, per chi coltiva, per chi dà cura, assistenza, servizi pubblici e privati, meglio se offerti con un sorriso.

Istruzione, formazione professionale, apprendistato al servizio del lavoro. Legislazione per favorire chi crea lavoro, chi intraprende. Riduzione del cuneo fiscale (tutti lo dicono, nessuno lo fa… piuttosto ti danno 80 euro…), emersione del lavoro nero, suddivisione del lavoro che c’è, supertassazione degli straordinari, paga minima oraria (c’era già: era il voucher da 7 euro e mezzo netti… sorvoliamo su come e perché è stato cancellato.)

Ora è il momento di chiudere.

Sguardo al futuro, ricostruzione del senso di comunità, dignità della persona attraverso il lavoro potrebbero essere i cardini di un programma che dovrà, per forza, essere coraggioso. Discutiamone. Dite la vostra, cambiateli, aggiungetene.

Se rimarranno le idee di uno – le mie in questo caso , ma vale per chiunque – è poca cosa.

Se invece diventassero le idee di una comunità politica, le nostre idee – e di chi si aggiungerà man mano perché la porta è sempre aperta per chi aderisce ai valori e contribuisce al programma – potremmo anche pensare di avviare la nuova stagione dei “liberi e forti”.


2 Commenti

  1. Futuro, comunità, dignità: un trinomio, quello indicato da Risso, su cui imbastire un programma da rendere concreto, modulandolo sulle istanze dei due terzi della società, di quel ceto medio impoverito cui le politiche deflattive stanno togliendo tutti i termini del suddetto trinomio.

  2. Condivido pienamente la relazione di Alessandro Risso e i suoi tre punti (futuro, comunità, dignità che contengono l’attenzione e l’impegno per la famiglia e la natalità, per le periferie, e per il lavoro). Aggiungo, non tanto per allungare la lista, ma solo per ulteriormente precisare la positività dei capisaldi indicati: partecipazione vera e concreta dei cittadini, beni comuni da preservare da una visione Stato/mercato, legalità intesa nell’accezione in cui ne parla don Ciotti (cioè modalità e strumento di giustizia, di responsabilità, di educazione, di solidarietà)

Lascia un commento

La Tua email non sarà pubblicata.


*