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Noi, Popolari “rivoluzionari”
 
di Carlo Baviera
 

Confesso di aver esitato prima di metter giù queste poche considerazioni temendo di fare il “guastatore”. Ma il popolarismo è più di altre una cultura di dialogo in cui ciascuno ha diritto di esprimersi. Così, pur sottovoce e con tutti i dubbi del caso, mi permetto di proporre posizioni forse minoritarie. Scusandomi, non essendo iscritto a nessun partito, per eventuali incursioni in realtà di cui non faccio parte.

La premessa è che dovremmo evitare di essere ancora quelli del “preambolo” o essere collocati fra gli anti-ulivisti (cadute di Prodi 1998 e 2008). Ricordo che Bodrato, in dissenso col “preambolo”, costruì un gruppo autonomo; e che nella fine dei Governi Prodi, formalmente provocata da Bertinotti e da Mastella, temo ci siano le impronte di qualche Popolare.
I cattolici democratici hanno scelto il campo in cui schierarsi e questo non si dovrebbe più discutere, qualunque sia la soluzione organizzativa adottata. Non possiamo essere i moderati del centrosinistra, o pensare a un futuro come centro autonomo equidistante da altre tradizioni. Ma ritornerò più avanti su questo argomento.

Primo punto, il popolarismo. Una storia gloriosa. Oggi, anche all’interno delle realtà facenti parti del composito mondo cattolico, lo si conosce, se ne parla, ha collegamenti? Penso che ci siamo disinteressati, in molte realtà, della vita ecclesiale e associativa (a volte ne siamo stati messi al margine!), anche se la nostra esperienza deve restare aconfessionale. Lo stesso è avvenuto con le realtà sociali, con i giovani, con l’associazionismo: e ci siamo dedicati quasi esclusivamente all’impegno partitico e istituzionale. Penso si debba tornare alla base, come si dice; che dobbiamo rilanciare la partecipazione in molti settori, riproporre la visione di società sussidiaria, delle autonomie, riformulare una proposta che valorizzi la società civile, le strutture intermedie, le famiglie e le loro realtà associative. Non dobbiamo delegare ad altri questa impostazione sturziana.

Secondo aspetto, l’Europa. Vediamo come, a torto o a ragione, aumenta ogni giorno la componente di chi si dice euroscettico, è perplesso sulla moneta unica, non apprezza i vincoli comunitari. Noi sappiamo invece che è l’Europa il nostro futuro e la nostra salvezza; l’abbiamo pensata e costruita noi. Per renderla una realtà apprezzata dai cittadini dobbiamo rilanciarne lo spirito, spiegarne vantaggi e prospettive, lavorare per sburocratizzarla, impedendole di assumere direttive centralistiche che molte volte sono contro il buon senso o la coscienza. Per questo l’Europa va sottratta ai tecnici e ai Governi, e consegnata al popolo: servono partiti europei. E i Popolari devono costruire una casa abitabile, senza subire contraddizioni, e senza rinnegare la propria storia. Il PPE ormai è conservatore! Le soluzioni sono l’ALDE (liberali e democratici) o la nuova Alleanza Progressista (socialisti, e Partito Democratico)? Credo che se ne debba parlare e che i cattolici democratici, in qualunque partito italiano militino, debbano spingere verso qualcosa che non sia semplicemente la socialdemocrazia: se non si deve morire democristiani, non lo si deve neanche da socialdemocratici. Né morire da conservatori nel PPE.

Terzo: il Governo. Sono tra coloro che non condividono la soluzione adottata, né ritengo che fosse inevitabile giungere a questo compromesso. Si poteva (si doveva!) tentare l’impossibile. Colpa sicuramente del M5S, delle sue chiusure e ingenuità. Però, pur ritenendo anch’io i grillini inaffidabili e con una visione lontana dalla nostra, continuo a pensare che fosse meglio chiedere un Governo del Presidente, con figure di alto livello come ministri e pochi punti di programma. Poi sarebbe cambiato il panorama per l’elezione del Presidente della Repubblica. Invece i ripetuti errori e un gruppo parlamentare non coeso del PD hanno portato alla rielezione di Napolitano, a cui vanno riconosciuti lo spirito di servizio, l’equilibrio, la dignitosa nobiltà nel mantenere la conduzione di una partita difficile. Ma si è prestato a dar vita alla “grande coalizione”. Risultato: buon Presidente del Consiglio, facce nuove come ministri, ma anche rimessa in gioco del personaggio che ha causato il decadimento per vent’anni, con le chiavi in mano del governo, al riparo da provvedimenti che lo mettano in difficoltà (vedi ineleggibilità), prospettiva politica che renderà difficile contrapporsi al centrodestra alle prossime elezioni. Chi incarnerà il Polo solidarista?

Quarto, il sistema elettorale. Avendo sempre sostenuto il sistema proporzionale (e le preferenze), continuo a ritenerlo la soluzione migliore. Credo, altresì, che il proporzionale utile oggi non sia un semplice ritorno alla prima fase della Repubblica, dove con l’1% si facevano cadere o si condizionavano i Governi; il centro giocava sui due forni; gli elettori votavano per un partito senza sapere quale alleanza avrebbe realizzato. Non sono renziano, ma penso anch’io che possa andar bene il sistema per l’elezione dei Sindaci: anche questo ha dei difetti, ma le alleanze si dichiarano prima, si sa chi vince, ognuno mantiene la propria identità, e alle segreterie non è concesso fare i furbi dopo i risultati.

Per ultimo: l’alleanza fra moderati (centristi) e sinistra democratica (PD) è l’obiettivo? Condivido se non la si intende come “la solita minestra” che alla fine tiene buone le persone: non bisogna poi scandalizzarsi se si allargano il qualunquismo o l’area antagonista. Il cattolicesimo democratico, riprendo quanto accennavo in premessa, deve essere all’avanguardia. Tutti i discorsi contro il turbocapitalismo, per la pace, per lo sviluppo sostenibile e la difesa dell’ambiente, devono concretizzarsi. Si legga quanto dice Pezzotta (che rivoluzionario non è) contro le armi, per il lavoro, per la cooperazione internazionale; si rilegga quanto diceva da Presidente delle ACLI Olivero sul lavoro indecoroso, sul lavoro schiavo, sugli attacchi all’art.18; cosa scriveva il professor Ciravegna un anno fa su www.perildomani.it (“Consumiamo beni che in realtà non contribuiscono alla qualità della nostra vita, senza considerare l’impatto sull’ambiente naturale dei nostri consumi”); quanto scriveva Barbara Spinelli su Repubblica del 29/2/12 (“gli Stati affossano la giustizia sociale offerta in pegno nel buio della guerra. Pensano di poter fare l’Europa così, sognando di sospendere lo Stato sociale e l’agorà democratica con le sue sempre possibili alternative”); le affermazioni del professor Pasinetti (“la teoria economica sta attraversando un periodo molto critico, che davvero richiede una severa e radicale riconsiderazione dei suoi fondamenti. Ciò comporta maggior attenzione ai profondi bisogni generati dalla globalizzazione, come la necessità della protezione dell’ambiente a livello globale e la crescente rilevanza del principio della destinazione universale dei beni”). Dovremmo essere noi, le nostre alleanze, “rivoluzionari”, alternativi all’estremismo movimentista, al moderatismo, alle espressioni politiche del capitalismo.

Concludo con quanto afferma il manifesto conclusivo dell’Assemblea della rete C3dem, di cui fa parte anche la “Fondazione Persona, Comunità, Democrazia” presieduta da Castagnetti: “Non crediamo che la ripresa di investimento della coscienza credente in politica possa realizzarsi in un orizzonte di moderatismo contrassegnato dal mito del «centro»”.
Noi dovremmo essere “avanti”, a favore dei più deboli, di chi lavora (imprenditore o dipendente), delle classi medie a cui si vogliono far pagare gli errori, i ritardi, le evasioni, impoverendole con tagli e imposte.
La solidarietà, giustamente invocata e da perseguire, non deve essere lo strumento per allargare l’area della povertà: penalizzando le famiglie che riescono ancora a sostenere propri componenti non autosufficienti, disoccupati, in cassa integrazione, in mobilità, e senza prospettive.


Stefano Godizzi - 2013-05-29
La forze e la fecondità di una cultura politica si giudicano da quello che la medesima produce. Non è quindi una questione di organigrammi ma di capacità di guida e di interpretazione. Una cultura politica dà frutti se la si vive, la si alimenta ma muore se la si dichiara di tanto in tanto misurandola solo sul passato. Perchiò è assurda e paradossale la divisione fra quanti si dichiarano appartenenti al popolarismo e poi non se ne legge la traccia visibile nelle scelte. Nel mondo della "webcrazia" per quanto possa risultare controcorrente (o anticonformistica) la cultura del popolarismo avrebbe veramente forti ragioni per alimentare impegno e consenso intorno ad essa. Ma occorre molta lucidità e molto coraggio e credo che ancora ce ne sia nei nostri paraggi.
giorgio merlo - 2013-05-28
Un articolo che merita indubbiamente una riflessione politico e culturale che non si puo' esaurire con poche rigle. Una sola considerazione, per il momento. In un partito plurale come il Pd - partito in cui molti di noi militano - la presenza popolare e cattolico democratica ha un senso se si catterizza, adesso, per la sua unità organizzativa e per la sua produzione progettuale. Senza chiusure, com'è ovvio. Ma anche senza cadere nella ipocrisia di chi predica il superamento di tutte le correnti per conservare solo la propria. Che, normalmente, non si chima corrente ed è dipinta come quella che incarna la vera modernità, il vero rinnovamento, l'autentico cambiamento e la fedeltà alle ragioni fondanti del Pd.Ma avremo modo di parlarne con maggior approfondimento.