Uno spettro si aggira per l’Europa. Lo spettro dell’Economia sociale di mercato (ESM). Proclamata dai trattati comunitari, evocata dagli eurocrati, avversata o reinterpretata dai politici nazionali, non è mai stata oggetto di una analisi adeguata ai tempi attuali, caratterizzati da crisi economica, mancanza di leadership politica e dal riemergere di pulsioni populiste ed egoismi localistici.
Se di spettro si tratta occorre sapere se si intende “spettro” (vocabolario Devoto-Oli) come: a) immagine di persona morta, risalente dall’oltretomba a comunicare con i vivi; b) un motivo di minaccia incombente; c) l’insieme delle componenti monocromatiche presente in un fascio di luce.
Io ritengo necessaria un’analisi delle sue varie componenti per chiarire in che quadro socio-economico-politico oggi l’Europa si sta muovendo, prima di preoccuparsi delle eventuali “minacce” o reinterpretare i “messaggi” che tale approccio ci comunica.
Nel dibattito economico-ideologico (l’economicismo è anch’esso una ideologia pseudo-scientifica, come molte altre) si confrontano con l’approccio dell’ESM varie impostazioni di origine ottocentesca:
a) Vi è chi ha ritenuto, e ancora ritiene, che l’ESM sia un ossimoro e che pertanto o l’economia è esclusivamente di mercato, libera da ogni aggettivo-vincolo, o non è: è il liberismo economico che nega ogni legittimità ad approcci che, orientando il processo economico, ne inficiano l’efficienza. Saranno gli stessi attori del mercato a stabilire tramite la somma e l’incontro dei loro interessi individuali ed egoistici i risultati utili all’intera collettività. Ogni intervento del “governo” è pernicioso e foriero di costi burocratici inutili e di prassi politico-clientelari deleterie. L’ESM sarebbe quindi una” minaccia” all’efficienza produttiva e quindi alla “felicità” sociale.
b) Vi è chi ha ritenuto, e ancora ritiene, che ESM sia un ossimoro in quanto gli aspetti sociali dell’economia (eguaglianza economica dei cittadini, redistribuzione equa delle risorse, eliminazione dello sfruttamento del lavoro) richieda un forte intervento del “governo” (dello Stato nazionale) che determini gli obiettivi economici, pianifichi le scelte e redistribuisca i profitti in modo egualitario tra tutti i lavoratori. L’ESM sarebbe quindi non uno spettro, ma una figura politica retorica, una “minaccia” alla capacità di elaborare il conflitto sociale e di sviluppare la lotta di classe, unico strumento di progresso, in particolare in una fase di crisi.
c) Vi è chi ritiene invece che l’ESM sia una miscela delle due tendenze precedenti, che devono essere adeguatamente bilanciate:
Per alcuni il piatto della bilancia pesa più dal lato della libertà economica e quindi gli aspetti sociali, di cui pure occorre tener conto, sono il correttivo necessario per mantenere stabile, o quanto meno non troppo squilibrata, la società in trasformazione. È avvenuto in Inghilterra a fine Ottocento (crisi sociale a seguito della prima fase della rivoluzione industriale e nascita del movimento fabiano), in Germania durante il periodo weimariano (crisi post-bellica e nascita della socialdemocrazia tedesca), negli Stati Uniti (crisi del ’29 e nascita dell’approccio roosveltiano).
Per altri il piatto della bilancia pesa più dal lato dell’economia sociale e quindi gli aspetti di economia della libera impresa privata devono essere orientati dallo Stato nazionale “a fini sociali”. È avvenuto in Italia con la Costituzione del 1949, che all’art. 42 introduce il principio della “funzione sociale della proprietà” e all’art. 41 quello della “libertà di iniziativa economica”, che però non può svolgersi” in contrasto con l’utilità sociale” e che lo Stato può “coordinare e indirizzare a fini sociali”. Ne sono nate la nazionalizzazione delle imprese strategiche (banche, ENI, ENEL), le Partecipazioni statali – vanto del modello italiano di economia mista nell’Europa degli anni ’70 –, la pianificazione economica degli anni del boom economico.
In fase di crisi finanziario-economica e di transizione culturale verso nuovi paradigmi socio-politici (vedi su Rinascita popolare il mio precedente Servono regole per il mondo nuovo), occorre ripensare a tali approcci e valutare se lo “spettro” è morto e comunque comunica qualche messaggio utile. Oppure se è invece uno spettro di luce da analizzare per elaborare approcci adeguati ai tempi nuovi.
L’ESM nasce, come è noto, in Germania da un gruppo di economisti e giuristi che tendevano a elaborare regole di mercato adeguate allo sviluppo economico del loro Paese. È stato poi ripreso in epoca post-bellica come modello per la ricostruzione economico-sociale della Repubblica federale tedesca. Era legato a tale impostazione Hirschmann, negoziatore per la Germania del trattato della CECA e primo Presidente della Commissione della CEE. Ciò spiega perché tale approccio è stato seguito nel trattato di Roma e applicato negli anni dello sviluppo della Comunità europea, in particolare dalla Commissione di Bruxelles. Un approccio volto a definire le regole entro le quali si svolge l’attività economica: regolamentazione dei prezzi o di esercizio dell’attività economica, regole di concorrenza leale che hanno fatto il loro tempo o che hanno dimostrato la loro capacità di superare i fallimenti del mercato non regolato (norme comunitarie e nazionali antitrust, regolazione del mercato del lavoro).
Occorre ora pensare o ripensare ad altri aspetti “sociali” dell’attività economica che a fine Ottocento (per la dottrina) e negli anni ’50 (per la prassi politica) erano ignoti:
a) La protezione e i diritti dei cittadini-consumatori, che si sono sviluppati in vari Paesi europei negli anni ’70, a livello comunitario negli anni ’80 e ’90 e in Italia, con il recepimento delle direttive comunitarie, dagli anni ’90 al 2000. Sta emergendo una nuova forte asimmetria, soprattutto per i mercati innovativi (prodotti finanziari assicurativi, servizi telematici) tra grandi imprese e consumatori, micro e piccole imprese che occorre superare.
b) I diritti all’accesso al lavoro per i giovani: dall’orientamento a fini sociali della libera iniziativa economica deve scaturire il diritto di accesso a un lavoro dignitoso e a una “retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e comunque sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Costituzione).
c) La possibilità per “i capaci e meritevoli”, anche in periodi di crisi – anzi, soprattutto in questi periodi – di raggiungere i più alti gradi degli studi al fine di realizzare il pieno sviluppo della propria personalità umana (art. 3 Costituzione), la propria promozione sociale e contribuire allo sviluppo socio-economico della comunità in cui vivono, evitando la “fuga di cervelli” non compensata da ingressi riequilibratori, che grava come costo sociale sui cittadini contribuenti e non giova al progresso socio-economico del Paese.
d) La tutela della salute come diritto fondamentale, sia nella vita civile che lavorativa, nonché la “garanzia di cure gratuite agli indigenti” ( art. 32 Costituzione)
e) Lo stimolo alla formazione delle famiglie in giovane età, in particolare agevolando la maternità responsabile e la natalità ( art. 31 Costituzione), con misure economiche adeguate (asili nido di prossimità e aziendali, deduzioni fiscali per famiglie numerose) e sanzioni per le prassi aziendali volte a scoraggiare tale scopo sociale.
f) Un sistema di welfare sostenibile, equo e integrato (pubblico-privato) che non avvantaggi – in base a un’erronea concezione dei principi di “eguaglianza” e di intoccabilità dei “diritti acquisiti” – i privilegiati a danno della maggioranza dei cittadini contribuenti, creando “scandalo” verso i cittadini indigenti.
g) Un ripensamento della tradizionale dicotomia privato-pubblico spesso foriera di fallimenti del mercato e/o di diseconomie esterne e una rivisitazione del valore sociale dei beni comuni, da intendersi come beni delle comunità che li producono, li gestiscono, li usano: l’acqua, la cultura e l’arte, la creatività – in particolare sviluppata in rete –, gli spazi di territorio utilizzati dalle comunità, sino alle attività economiche no profit (terzo settore, microcredito, volontariato sociale).
Come si vede un approccio che bilancia i due piatti: sia il piatto dell’iniziativa economica privata, comunitaria e pubblica sia quello della solidarietà comunitaria, nazionale ed europea.
Molte esperienze sono state sviluppate e studiate nei vari Paesi europei, alcuni princìpi sono ricavabili dalla Costituzione italiana e adattabili alla Carta dei diritti e ai Trattati europei.
Il Trattato di Roma è nato in un’epoca di tensione verso il primo sviluppo economico e quindi verso la liberazione dai vincoli protezionistici bellici. Il trattato di Maastricht ha aggiornato l’impianto comunitario introducendo sì stimoli sociali, ma soprattutto timori derivanti da un uso distorto delle potenzialità dell’euro da parte delle classi dirigenti nazionali. Ancora figlio dell’illusione del progresso economico dell’Europa.
La Costituzione italiana è stata elaborata in una fase precedente, di transizione dai disastri economici post-bellici agli stimoli etici e politici alla ricostruzione: una fase di “vacche magre” in cui si ponderavano i costi-benefici delle scelte di valore e non le si assolutizzava in nome di princìpi di coerenza ideologica o di formalismo giuridico, ma li si mediava in nome della ritrovata “concordia repubblicana”.
Occorre ritornare a un tale approccio, riaggiornandolo, per elaborare una nuova Economia sociale di mercato, modello di gestione della fase di transizione (nuovo sviluppo, decrescita, decadenza?) da proporre come modello europeo rispetto a quelli anglosassoni e asiatici oggi ancora imperanti.
In questo percorso la visione e i valori dell’umanesimo cristiano, coniugati con le altre impostazioni umanistiche laiche, possono dare un valido contributo, così come fecero nella fase costituente. |