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Pacem in Terris, 50 anni dopo
 
di Aldo Novellini
 

Mezzo secolo di vita, ma non lo dimostra perché resta più attuale che mai e, probabilmente, lo sarà sempre. Stiamo parlando della Pacem in Terris, l'ultima enciclica di Giovanni XXIII, di cui si celebrano in questi giorni i cinquant'anni. E infatti a riprenderla in mano se ne sente, intatta, la freschezza e, soprattutto, la capacità di leggere il nostro tempo. Perché i problemi della società contemporanea, ieri come oggi, sono all’incirca gli stessi e, in special modo, restano punti chiave: la pace nel mondo, la convivenza tra i popoli, la comunanza del destino umano, al di là di qualsiasi differenziazione geografica, razziale, ideologica o culturale.
In quella primavera del 1963, a pochi mesi dalla crisi di Cuba che nell'ottobre precedente aveva portato l’umanità sull'orlo di un conflitto nucleare, papa Roncalli espresse la visione della Chiesa sul mondo contemporaneo, parlando di pace, di rapporti tra gli uomini e le nazioni, di diritti e doveri inerenti la persona umana. Uno sguardo, quello del Pontefice, ben oltre i semplici, e tutto sommato angusti, confini della cristianità. Giovanni XXIII volle infatti parlare a tutti gli uomini di buona volontà, affermando la necessità di costruire degli assetti politici ed economici più giusti, specialmente a tutela chi è più debole.
Roncalli si rivolge a un mondo, già allora, ampiamente secolarizzato provando a scuotere le coscienze di credenti e non credenti verso il comune destino dell'uomo sulla terra. Vi è in embrione l'idea, poi meglio precisata da Paolo VI, di una pace intimamente legata allo sviluppo sociale e civile. “Sviluppo, nuovo nome della pace” dirà poi la Populorum Progressio, in un diverso e più equo rapporto tra Paesi ricchi e Terzo mondo, nella realizzazione di una comunità mondiale fondata sulla solidarietà e sulla destinazione universale dei beni naturali.
Snodo centrale dell'enciclica è il tema della coesistenza pacifica, minacciata dalla corsa agli armamenti. Giovanni XXIII si sofferma sul cosiddetto equilibrio del terrore, evidenziando persino il pericolo che una concatenazione di eventi involontari porti alla deflagrazione totale. Per questo occorre agire per ridurre il più possibile le armi di distruzione, puntando sulla reciproca collaborazione in sede sovranazionale e, in particolare, tra le due superpotenze. L'epoca è, d'altronde, quella della Guerra fredda, con il mondo e, soprattutto, l'Europa divisa dalla cortina di ferro.
Per la verità in quei primi anni Sessanta qualcosa rispetto al decennio precedente sta mutando, ma sempre entro un quadro rigidamente bipolare. In questo clima di disgelo si inserisce la visita a Giovanni XXIII della figlia e del genero di Krusciov, che portano al Papa il saluto del leader sovietico. La Chiesa intende porsi a presidio dell'umanità intera e non venir assimilata a guardiano spirituale dell'Occidente. La distensione diviene l’impegno di Kennedy e di Krusciov, dopo il vicolo cieco in cui, USA ed URSS, si stavano cacciando con i missili cubani. Una linea telefonica diretta (il famoso telefono rosso) comincia, in quelle settimane, a funzionare tra il Cremlino e la Casa Bianca per consentire un dialogo diretto e immediato tra i due statisti in caso di crisi, per spegnere sul nascere possibili escalation che con tremenda inesorabilità, un passo dopo l'altro, tra allarmismi e malintesi, potrebbero portare, anche involontariamente, al punto di non ritorno.
Questioni drammaticamente attuali. Problemi che ci parlano dell'oggi, basti pensare alla Corea del Nord o all’Iran, in un mondo che, per certi aspetti, è assai più complesso di quello di mezzo secolo fa, quasi spaccato in due come una mela. Eppure proprio questo universo multipolare è, a ben vedere, una sfida alla collaborazione e alla comprensione reciproca tra i popoli e tra gli Stati. Ci sono, inutile negarlo, differenze e divergenze, anche grandi, ma c'è anche un destino comune a noi tutti.
Proprio come diceva papa Roncalli quando invitava a cercare ciò che unisce e non ciò che divide. Perché alla fine viviamo pur sempre tutti quanti su questa terra; respiriamo la stessa aria; soffriamo e gioiamo per le stesse cose, allo stesso modo a tutte le latitudini. Scorgere in ogni uomo un fratello con cui lavorare per costruire un mondo più umano, questo ci dice la Pacem in Terris. Un messaggio di amore e di comprensione tra gli uomini lanciato mezzo secolo fa, su cui davvero vale la pena di edificare il nostro futuro.