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Francesco interpella i laici
 
di Antonio Labanca
 

L’elezione di Jorge Mario Bergoglio a vescovo di Roma sarà progressivamente avvertita come l’appello in questo tempo ai laici credenti perché assumano maggiore responsabilità nella Chiesa. Benché le sottolineature degli osservatori, soprattutto in tempo di Conclave, fossero orientate a chiedere una “conversione” delle persone dell’apparato vaticano, quel che Francesco ha immediatamente posto di fronte all’attenzione è infatti il compito regale, profetico, sacerdotale di tutti i cristiani, e l’invito a praticarlo. Vale a dire la conversione del popolo di Dio nel suo insieme.
Questo concetto – riconosco – non è emerso dai commenti affollatisi fra televisioni e carta stampata che hanno cercato di cogliere da ogni gesto e da ogni parola un “segnale” su come si svilupperà sul piano pastorale e mediatico il ministero di chi presiede alla carità della Chiesa.
Ma non è certamente una forzatura se guardiamo ai gesti e alle parole non quali semplici spettatori ma quali protagonisti della comunità ecclesiale.
Senz’altro la preghiera che Francesco ha chiesto per sé appena affacciato al balcone di San Pietro è il primo grande insegnamento della sua catechesi da Papa. Non si tratta evidentemente (per un teologo ben formato alla scuola gesuita) di un atto di rispetto per la gente che lo aveva atteso sotto la pioggia, ma di una attestazione della capacità sacramentale di ogni credente di rivolgersi efficacemente al Padre. Ogni cristiano la acquisisce con il battesimo, e deve curare che non sia soffocata o banalizzata.
Il Papa ha poi posto come compito, suo e dei diocesani di Roma, quello dell’evangelizzazione, prima ed essenziale azione che dà origine e giustifica l’esistenza della Chiesa: l’annuncio del Regno di pace e di giustizia. La regalità di Gesù si esprime anzitutto nella prossimità ai poveri e agli afflitti, ed è la stessa dote che ci assegna il battesimo, trasformandoci in lievito posto capillarmente nel mondo. La laicità è questa regalità, da esprimere nei luoghi in cui viviamo mediante la misericordia. Il messaggio di questa catechesi delle prime ore del nuovo Papa è il coinvolgimento radicale nella storia, che scavalca senza esitazioni l’idea che la Chiesa sia una sorta di “Ong” quando mostra attenzione concreta ai bisogni umani. Il tempo, la scienze, la società sono i luoghi nei quali siano umili protagonisti noi christifideles laici.
I cardinali hanno ascoltato la richiesta sovrabbondante di scegliere fra loro un pastore, a servizio del popolo di Dio tanto quanto servo di Dio. Non è stata una “concessione alla piazza”, per dare un contentino a una sorta di populismo ecclesiale, ma di un vero ascolto dello Spirito. Che ha soffiato prepotentemente, a incominciare dal gran diniego di Benedetto XVI, per porre sulle spalle di un più fresco Cireneo il compito talvolta defatigante della guida della Chiesa nel nuovo millennio. È un forte richiamo al ruolo profetico, che corrispondente al grado di trasparenza e di semplicità con la quale andare incontro al prossimo pur immersi nella complessità di questo tempo.
Evangelizzare il relativismo, non negarlo, è la sfida per i credenti laici che si abbeverano della Parola e vivono nel mondo.
Tutto questo messaggio della catechesi del nuovo Papa è sintetizzato nel nome scelto, quel richiamo al santo di Assisi che è riconosciuto e amato da tutti come sacerdote partecipe del sacrificio sulla croce, come re che amò la povertà per sé e per il bene dei poveri, come profeta che mosse alla conversione il Papato del Duecento. Francesco, un laico che fu capace di incarnare l’intera missione della Chiesa.