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Omosessuali e diritti civili individuali
 
di Giuseppe Ladetto
 

Il dibattito in merito al diritto delle coppie omosessuali di contrarre matrimonio e a quello di adottare bambini, già presente nel confronto elettorale, ha trovato nuovo alimento nella recente sentenza della Cassazione. Tale dibattito viene presentato dalla più parte dei commentatori politici e dei mezzi di informazione principalmente in termini di conflitto tra laici e cattolici, una rappresentazione che ritengo sbagliata – se non interessata – da parte di chi preferisce non entrare nel merito delle questioni.
Io non sono credente e guardo a questa problematica con ottica non confessionale, ancorché sulla mia formazione culturale il messaggio cristiano abbia avuto un rilevante peso, e tuttavia non mi riconosco nelle posizioni dettate dal diffuso laicismo ideologico. Ritengo giusto che la società riconosca l’esistenza e la dignità delle coppie omosessuali, accantonando pregiudizi ed eliminando tutta una serie di discriminazioni che pongono ad esse difficoltà e ostacoli nella vita di tutti i giorni. Tuttavia non si può, a mio parere, invocare diritti in materia di matrimonio o di adozione di bambini.
Nell’antica Grecia e nel Giappone feudale, le relazioni omosessuali non solo erano accettate ma privilegiate, perché ritenute di natura più elevata rispetto a quelle eterosessuali, risultando molto produttive sul piano della creazione artistica, dell’elaborazione del pensiero, e perfino in campo militare, ove si sono distinti guerrieri dichiaratamente omosessuali (tali erano molti dei samurai). Ciò smentisce la diffusa immagine denigratoria del maschio omosessuale imbelle ed effeminato. Ma né gli antichi greci né i giapponesi dell’epoca dei samurai hanno mai pensato che le relazioni omosessuali dovessero essere pubblicamente riconosciute da un atto ufficiale quale il matrimonio o che tali relazioni potessero portare alla fondazione di una famiglia. Erano loro ben presenti le connessioni esistenti tra matrimonio, famiglia, riproduzione e cure dedicate ai figli.
Nella società attuale, tuttavia, molti non sembrano consapevoli di tali connessioni e pertanto non vedono una sostanziale differenza tra una coppia omosessuale e le molte coppie eterosessuali che non hanno figli, intenzionalmente o meno. Tuttavia, il matrimonio è stato ed è oggetto di attenzione sociale proprio in vista della sua finalità procreativa, dalla quale dipende il futuro di ogni comunità. È giusto pertanto ancorarlo a tale prospettiva, almeno potenziale, e ciò in particolare in Paesi (come la più parte di quelli europei, Italia in primis) afflitti da una denatalità che è la causa prima del declino in cui sono avviati. In materia, però, i fautori del matrimonio fra omosessuali evidenziano che la tecnologia può garantire anche a quest’ultimi capacità riproduttiva: ci sono la fecondazione artificiale eterologa e il trasferimento embrionale abbinato all’utero in affitto; presto si potrà ricorrere alla clonazione riproduttiva. Sono tecniche, in larga misura originate in zootecnia (dove non hanno mancato già di creare guasti come la marcata diminuzione della biodiversità) che ci propongono un mondo artificiale potenzialmente pericoloso: su questa via, passo dopo passo, si realizza quel “mondo nuovo”, immaginato da Aldous Huxley, nel quale gli uomini, biologicamente manipolati e condizionati da una propaganda e da una pubblicità invasive, non hanno più la percezione di essere asserviti a un potere totalitario.
Quanto all’adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali, si afferma che è meglio l’affetto che può loro fornire una “nuova famiglia” rispetto alla vita negli orfanotrofi. Ma in realtà non esiste il problema di una scarsa domanda di adozioni da parte di coppie eterosessuali: i problemi sono le complesse normative vigenti in materia e, come al solito, la burocrazia che pongono ostacoli di varia natura, pesanti oneri finanziari e sempre tempi lunghissimi per giungere in porto, scoraggiando anche i meglio intenzionati. Tuttavia l’argomento principale dei fautori delle adozioni da parte delle coppie omosessuali è di ordine ideologico: i ruoli genitoriali come li abbiamo conosciuti fino a oggi sono frutto di comportamenti culturali che possono essere modificati non essendoci un ruolo materno o paterno di ordine naturale, perché è l’uomo che determina la propria natura di volta in volta attraverso le sue scelte in ambito culturale e tecnologico. Peccato per questi signori che tutta la ricerca etologica, l’antropologia evolutiva e le acquisizioni delle neuroscienze dicano il contrario: la nostra specie si è evoluta attraverso molte migliaia di anni, acquistando l’intelligenza che la contraddistingue, ma è ancora guidata da complesse emozioni ereditarie e da canali di apprendimento prestabiliti.
Ora, se pensiamo alla rilevanza che, per garantire l’affermazione e la sopravvivenza della nostra specie, hanno avuto e hanno le modalità riproduttive e i ruoli funzionali dei genitori nella cura della prole, risulta irragionevole immaginare che, su tali vitali funzioni, l’evoluzione non abbia investito molto in termini di elementi comportamentali geneticamente condizionati, e che, pertanto, la genitorialità espressa da una coppia eterosessuale sia equivalente ad altre possibili soluzioni (ancorché in grado di fornire affetto). Del resto, osservando, in ogni parte del mondo, qualunque madre o padre con i propri figlioli, risulta evidente che nell’esercizio delle cure parentali siano presenti peculiari attitudini e atteggiamenti femminili e maschili. Certamente la cultura, intesa come capacità di trasmettere regole di comportamento da una generazione all’altra, può (come oggi accade sempre più spesso) esercitare un’influenza in grado di prevalere su istinti e tendenze naturali: ma fino ad un certo punto, superato il quale, (come ci dice Konrad Lorenz) o gli schemi di comportamento radicati nel profondo si riaffermano e portano all’insuccesso le pratiche che li contraddicono, oppure la civiltà che esprime una tale cultura decade e tramonta.
Il diritto delle coppie omosessuali di contrarre matrimonio e quello di adottare bambini rientrano nella sempre più estesa rivendicazione di nuovi diritti individuali, i cosiddetti diritti civili. Un fenomeno parallelo a quello dell’esaltazione della libertà intesa unilateralmente, senza riferimento al bene comune. Ma mettere in discussione tali diritti comporta l’accusa di essere politicamente scorretto, il che significa l’esclusione dal pubblico confronto delle opinioni. In materia, pertanto, mi limiterò a richiamare quanto detto da rinomati intellettuali, peraltro genuinamente laici, i cui argomenti non sono facilmente accantonabili come irrilevanti.
Ha scritto Zigmunt Bauman (in Voglia di comunità) che la società odierna ha abbandonato l’aspirazione di costruire un mondo più giusto. In sua vece, ha adottato il riferimento ai diritti civili che debbono essere estesi nella ricerca di nuove forme di coabitazione in una società sempre più differenziata. A tale fine, registrando vecchie istanze inappagate e articolandone altre, scendono in campo militanze combattive che, per la logica insita nelle guerre di riconoscimento, sono portate a radicalizzare sempre più le differenze col rischio di sfociare nel fondamentalismo e nel settarismo e di promuovere divisione e separazione in seno alla società.
Anche Francis Fukuyama (La grande distruzione) ci dice che oggi gli Stati liberali usano il proprio potere per promuovere i diritti individuali a spese della comunità, e così indeboliscono il capitale sociale, quell’insieme di valori e di norme non ufficiali, condiviso dai membri di una comunità, che consente loro di aiutarsi a vicenda instaurando una reciproca fiducia. Estensione dei diritti individuali e consolidamento del capitale sociale sono, in una certa misura, obiettivi contrapposti. Occorre, pertanto, ricercare un equilibrio tra le opposte esigenze e non porre l’accento sui soli diritti individuali.
Ralf Dahrendorf (La libertà che cambia) identifica il progresso con la crescita della libertà che si realizza offrendo sempre più opzioni agli individui: a tal fine, ci dice, occorre mettere a loro disposizione sempre più beni e servizi e soprattutto favorire (anche con l’introduzione di nuovi diritti individuali) la rottura dei legami con le appartenenze, a cominciare da quelle familiari, con i luoghi, con le tradizioni, con tutto ciò che costituisce impedimento alla realizzazione di se stessi. Tuttavia il sociologo è costretto a riconoscere che oggi, quando molta parte di tali legami è stata dissolta, invece di essere più liberi siamo disorientati perché viviamo in una condizione di carenza di norme e di riferimenti, sicché le nostre scelte si verificano in un deserto sociale in cui mancano coordinate in grado di giustificare un orientamento piuttosto che un altro: di fatto non siamo più in grado di fare scelte consapevoli.
Mi permetto di aggiungere che anche la sempre maggiore disponibilità di beni e servizi ci ha condotti a quel consumismo che rappresenta oggi la causa prima del degrado ambientale. Lo riconosce Barbara Spinelli quando, tempo fa, in un articolo su “La Stampa”, commentando il Rapporto della Commissione Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici (IPCC) dell’Onu, ha scritto che la questione delle modificazioni climatiche è diventata il riferimento prioritario di ogni politica responsabile. Affrontare questo problema comporta la necessità di cambiare la nostra maniera di vivere e di pensare; ci impone di ripensare i saperi, compreso quello economico e di mutare i modi della politica. Bisogna essere consapevoli, aggiunge la giornalista, che per condurre la battaglia in difesa dell’ambiente, perirà una parte essenziale dell’esperienza liberale: quella parte che, a cominciare dalla rivoluzione industriale, ci ha abituati a credere nel progresso illimitato, nel cittadino-consumatore libero di fare quello che gli piace, nell’aspirazione a una felicità individuale indipendente dall’effetto che essa ha sulla Terra e sull’umanità. Ora voglio sottolineare che il necessario ritorno a modalità di vita più parche, con minori beni e servizi a disposizione, ha della conseguenze sulla libertà individuale come è oggi concepita e sui “diritti” che la sostengono. Infatti, in tale condizione, diventa sempre più difficile condurre un’esistenza al di fuori della protezione, con i connessi obblighi, che offre l’appartenenza a singole comunità, a cominciare da quella familiare. Per affrontare un futuro per molti aspetti più difficile del presente, bisognerà prendere decisioni e agire in comunità. Sempre meno conterà la volontà di chi vuole vivere separato dagli altri pensando esclusivamente a se stesso: un’esigenza che non sembra compatibile con la promozione di quei “diritti civili” che, come scrive Fukuyama, si contrappongono al consolidamento del tessuto sociale.


Leonello Mosole - 2013-02-03
Condivido. Anche se la politica non si fa con i "se", dico però che se il Card. Ruini invece di fare politica avesse pensato a fare solo il Pastore e quindi invece di affossare in tutti i modi i "DICO" avesse lasciato che fossero introdotti, magari nel modo più "leggero" possibile, a quest'ora non staremo a fare queste discussioni. Ora invece, con tutta probabilita, assisteremo all'introduzione del matrimonio omosessuale. Con buona pace di Ruini. Che Dio l'abbia in gloria
Aldo Cantoni - 2013-01-31
Grazie Beppe. Il tuo scritto dimostra che ragionevolezza e buon senso sono un patrimonio comune tra credenti e non credenti e solo l' individualismo esasperato o il fanatismo ideologico portano a rompere gli equilibri naturali.