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Martinazzoli, la nobiltà della politica
 
di Aldo Novellini
 

“Nobiltà della politica”, di questi tempi, quasi una contraddizione di termini. Eppure il titolo dell’ultimo libro di Renzo Agasso è stato scelto a ragion veduta poiché ne è protagonista Mino Martinazzoli. Se infatti, tra gli uomini politici della nostra storia più recente, vi è stato qualcuno che ha cercato di vivere in modo nobile l’impegno pubblico questo è proprio lui. E a riprendere i suoi discorsi e le sue riflessioni si trova, per certi versi, il senso stesso dell'azione politica.
Nato nel 1931, ad Orzinuovi in provincia di Brescia, avvocato di professione e politico per vocazione, Martinazzoli è un democristiano che si ispira al cattolicesimo liberale. Si schiera nell'ala sinistra del partito, poco in assonanza però con le venature sociali di Carlo Donat Cattin. Per certi versi è più simile a Aldo Moro, condividendo con lo statista pugliese, un certo scetticismo di fondo sulla politica, intuendone i limiti della sua azione e l'incapacità nel leggere i mutamenti della società.
Senatore dal 1972, assurge alla grande notorietà nel biennio 1992-94 avendo la ventura di essere l’ultimo segretario della DC e il primo del neonato Partito popolare, confrontandosi con la sfida di far rivivere nel PPI l’impronta cattolico-democratica andata smarrita negli ultimi anni dello scudo crociato.
Rileggendo i suoi discorsi emerge l'auspicio di un’Italia, nello stesso tempo, riformista e moderata, capace di promuovere coraggiose riforme per aggredire le storture sociali ma di accostarsi ai grandi problemi senza radicalismi giacobini. Sta in questo l'essenza moderata di Martinazzoli: non un piatto moderatismo contiguo ai poteri forti, nella celata intenzione di tutelarne gli interessi, ma piuttosto la convinzione che, per conseguire grandi traguardi sociali e civili sia necessaria una politica mite. Mitezza da intendersi nel senso con cui Bobbio fece l’elogio di questa qualità troppo spesso misconosciuta che, tra l’altro, significa rispetto dell’avversario e capacità di gettare ponti verso chi la pensa diversamente da noi.
Filo conduttore di questi scritti, un impegno pubblico vissuto come servizio con l'idea che la “contesa per il potere non è la politica, ma solo il vizio della politica”. La sua matrice cattolica e liberale faceva quasi da schermo a tentazioni integraliste, avendo sempre ben presenti i limiti della politica, specie rispetto alle questioni ultime della vita. Ecco allora l'ammonimento a “non aspettarci dalla politica risposte a domande eccessive, invadendo ambiti che non le appartengono”. Lo disse anche a chi scrive queste righe in un'intervista parlando della “drammatica novità di una politica quasi trascinata a decidere non solo del cittadino ma dell'uomo. Ma ricordo che quando ero giovane un saggio sacerdote mi insegnava, convincendomi, che la politica deve girare al largo dalle domande ultime e che alla politica non tocca creare valori ma, se ne è capace, di porre le condizioni della loro concreta esistenza”.
Se è sempre presente in Martinazzoli l'antidoto agli eccessi ideologici viene altresì percepita “una minaccia ancora più insidiosa di quello del troppo della politica, ed è esattamente la minaccia del niente della politica”. Qualcosa che lo strapotere della finanza sta mostrando sempre più chiaramente. Da convinto europeista sente che solo una dimensione sovranazionale della politica può consentire di far riprendere quota a un progetto di sviluppo che riporti al centro un'equa distribuzione delle risorse e una maggior attenzione ai bisogni dei ceti subalterni. E se in alcune fasi politiche, per esigenze di bilancio debbono venir fatte scelte di austerità, è sempre bene ricordare che “non è il rigore che mortifica. Ciò che mortifica è l'ingiustizia e il privilegio”.
Scorrendo il libro, scaturiscono sempre più precisi i contorni di un ideale ambizioso: quello di un riformismo cattolico, intriso di laicità, alieno da qualsiasi integralismo e in grado di coniugare libertà e giustizia sociale. Un'idea di convivenza democratica che partendo dal basso, dal territorio, sappia sempre aprirsi ad un solidarismo capace di costruire relazioni politiche e sociali più umane.