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I big ex DC al tramonto?
 
di Stefano Lepri
 

L’editoriale di Fabio Martini su “La Stampa” di domenica 7 ottobre e la sua intervista il giorno dopo a Pierluigi Castagnetti danno lo spunto per una riflessione che avevo personalmente già fatto con alcuni dei “big ex DC”. Secondo quegli articoli, i già sconfitti delle primarie sono loro: i leader di area popolare (Bindi, Franceschini, Letta, Fioroni, Marini). Assieme, aggiungo io, a qualche altro importante leader di area ex DS.
È probabile, e mi dispiace che ciò sia vero. Dalla disputa Bersani-Renzi escono ridimensionati i “colonnelli”, tra cui i leader di area popolare. Bersani dal bagno di popolo uscirà purificato e capace comunque di coraggio. Andrà in giro con una nuova generazione di collaboratori, individuandoli come la futura classe dirigente. Nessun altro (capogruppo, presidente e vicesegretario del partito) salirà sul palco con lui. Non ci saranno “caminetti”. E Renzi, comunque vada, ha già vinto: la sua area diventerà rilevante entro il partito.
Al di là degli effetti scenografici, il ridimensionamento è politico: la sintesi di Bersani non sarà tra culture politiche, visto che Bersani ci definisce tutti progressisti, esplicitamente ammettendo che i moderati stanno fuori dal PD. Il profilo della sintesi bersaniana è tra la nobile tradizione socialdemocratica e il rinnovamento generazionale, individuato quasi esclusivamente nella nuova nidiata di amministratori e funzionari di militanza ex DS. Non è un caso che i tre giovani coordinatori della campagna pro-Bersani siano tutti provenienti dalla corrente dei cosiddetti “giovani turchi”, la cui ossatura è fatta da funzionari di partito cooptati oggi in Segreteria nazionale e domani, probabilmente, in Parlamento o al Governo.
I “big ex DC” avrebbero potuto battere, insieme, un colpo, richiedendo più equilibrio nell’agenda e nella squadra di Bersani o (meglio) facendo candidare uno di loro, con l’impegno a sostenerlo tutti. Invece sono prevalsi i particolarismi e i consigli dei più vicini, tutti ovviamente disinteressati in prossimità delle elezioni.
Castagnetti poi non lo capisco: riconosce che “quelli che vengono dalla mia storia sono quelli che stanno soffrendo di più per il ripiegamento in se stesso del partito e per la nostalgia di un certo passato di sinistra”. Ma subito dopo dice che dovremmo seguire Bersani “che accetta la sfida della modernità”. Che vuol dire? Significa, ad esempio, che si vuole superare una certa ricorrente propensione egemonica? Che è passato il tempo del collateralismo, della copertura degli iperprotetti e del conflitto insanabile tra capitale e lavoro? Io non ho problema a considerarmi progressista e aperto alla modernità, a condizione che al centro delle preoccupazioni del PD, oltre ai principi fondamentali di giustizia, legalità, fratellanza, riconoscimento dei diritti, ci sia a pieno titolo anche la promozione della famiglia, della natalità, dei corpi intermedi, delle autonomie locali, di imprese fondate sulla partecipazione dei lavoratori, ecc.
Per queste primarie ci resta dunque Renzi. Che non mi entusiasma quando fa il rottamatore “ad personam” e che sbaglia mettendo sullo stesso piano Bindi e D’Alema, perché lei la battaglia a Berlusconi l’ha sempre fatta. Tuttavia il sindaco di Firenze, almeno, la dice chiara sul rigore, sul merito, sull’abolizione degli sprechi, sul sostegno alle municipalità, sui limiti di una generazione di politici. Chissà se Renzi, senza necessariamente dichiarare di essere ispirato dal popolarismo (ricordo che è stato segretario del PPI fiorentino da giovanissimo), saprà riprendere nel suo impegno e nel suo programma altri tratti di questa grande, e non esaurita, tradizione politica.


piergiorgio fornara - 2012-10-12
Condivido totalmente questa analisi. Il problema che Renzi al secondo turno avrà qualche difficoltà a vincere. Con la vittoria di Bersani speriamo di non avere un nuovo Penati a capogabinetto.