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Vogliamo il modello USA?
 
di Giuseppe Ladetto
 

È vero che non esiste democrazia senza partiti, ma purtroppo cresce l’onda di sfiducia e di risentimento degli italiani verso di essi. Pertanto è urgente e, come scrive Merlo, necessaria l’autoriforma dei partiti. Ma in quale direzione deve andare tale riforma?
Merlo denuncia il danno prodotto dai partiti “personali” che caratterizzano oggi la maggior parte delle forze politiche italiane. In realtà uno slittamento verso forme più o meno marcate di leaderismo contraddistingue l’intero panorama politico dei Paesi occidentali. Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera” del 16 aprile 2012, scrive che l’antipolitica può essere contenuta solo se i partiti accettano di diventare altro da ciò che sono oggi: è necessario che i partiti, come avviene nelle democrazie meglio funzionanti, accettino di essere organizzazioni specializzate nella raccolta del consenso elettorale e nella fornitura di personale per cariche di governo, senza avere più la pretesa di dominare le istituzioni. In contemporanea, ciò richiede il rafforzamento dell’autonomia e dei poteri decisionali attribuiti alle istituzioni di governo. E aggiunge che compito dei partiti non è di essere, gramscianamente, i “prìncipi”, ma di essere più modestamente gli “sherpa”, le strutture di supporto di coloro che si sfidano sul piano elettorale allo scopo di diventare, essi sì, i principi, per quanto con mandato a termine.
Se si vuole sconfiggere l’antipolitica, occorre che i partiti si rassegnino a un ruolo assai più modesto che in passato. In pratica, secondo Panebianco, i partiti dovrebbero diventare semplici comitati elettorali come negli Stati Uniti. Ora credo sia legittimo non essere d’accordo con l’autorevole editorialista ancorché larga parte dei media auspichi, con lui, una drastica riduzione del ruolo dei partiti.
La tipologia dei partiti è strettamente connessa o determinata dai sistemi elettorali. I sistemi maggioritari (a semplice o a doppio turno, o con premi di maggioranza) sono funzionali ai partiti leggeri, a schieramenti bipolari (tendenzialmente bipartitici) ove la figura del candidato diventa l’unico connotato per raccogliere voti. Inoltre, una forza politica seria deve sapere guardare lontano e proporre programmi che talora non sono ancora pienamente compresi dalla maggioranza degli elettori. Pertanto, “vincere le elezioni” per “andare al governo” non può essere il suo solo scopo, perché così facendo si limita a registrare quanto nell’immediato esige una potenziale maggioranza di elettori, anche se essa esprime richieste contraddittorie e sovente irrealizzabili. Altrettanto accade con le tanto decantate primarie, utili più che altro per fare una sorta di marketing elettorale.
Può essere talora assai più importante svolgere un ruolo di proposta e di convincimento, o di difesa di categorie deboli o di esigenze e di interessi trascurati. Oggi per dare una risposte alle molteplici crisi (economica, sociale, occupazionale, ambientale, per esaurimento delle risorse, per squilibri tra nord e sud del mondo, per processi migratori fuori controllo), tutte interconnesse, è indispensabile una sorta di rivoluzione culturale di cui solo dei partiti pesanti possono essere protagonisti. Quindi il rinnovamento deve salvaguardare i partiti pesanti (gramscianamente i partiti “prìncipi”) perché sono gli unici in grado di ridefinire le priorità e la scala dei valori oggi imperanti (incentrati sul denaro e su un individualismo estremo).
Se abbiamo bisogno di partiti reali capaci di realizzare progetti di lungo periodo per affrontare le molte e non passeggere crisi che ci investono, dobbiamo optare per i sistemi elettorali sostanzialmente a base proporzionale. Allora la denuncia dei partiti padronali o semplicemente del crescente leaderismo non basta se non si prende in considerazione lo stretto legame esistente fra sistemi elettorali e tipologia dei partiti.
Nel Partito Democratico, purtroppo, sono presenti consistenti se non prevalenti posizioni (da Veltroni a Prodi e Parisi) a favore del sistema elettorale maggioritario. Nel PD (e non solo in esso) molti guardano agli Stati Uniti per trarre ispirazione in materia, dimenticando che in tale Paese (proprio per il sistema elettorale maggioritario e per le primarie) l’attenzione è tutta rivolta ai potenziali leader, il cui successo è in larga misura determinato dalle lobby che li finanziano, mentre la partecipazione elettorale dei cittadini è assai bassa.